Da oggi nelle sale italiane “La sedia della felicità”, l’ultimo film girato dal regista padovano Carlo Mazzacurati, scomparso lo scorso gennaio all’età di cinquantasette anni, dopo una lunga malattia vissuta con esemplare dignità, rispetto per la vita e per la morte. Il servizio di Luca Pellegrini: ascolta
Radio Vaticana - Tre personaggi cercano la felicità in una sedia, perché racchiude un tesoro. Mazzacurati, prima di lasciarci, ha cercato la vita nei suoi film, i suoi risvolti misteriosi e malinconici, e ha cercato anche la sua personale porzione di felicità. Ha scritto il film nel tempo in cui la malattia ancora non lo aveva del tutto aggredito, lo ha girato quando la speranza terrena si era ormai affievolita del tutto. Ma non la virtù, quella che lo faceva sempre guardare in alto, guardare oltre: come dice Dino alla fine del film, “volare”, sempre che sia possibile. Schivo e amabilissimo, legato al territorio veneto che per lui rappresentava la cultura d’origine e una geografia dell’anima, dove sono ambientate anche le surreali vicende legate alla “sedia”, ha lasciato una serie di opere sempre soffuse di ironia, leggerezza e profondità di sguardo. Sull’essere umano, sul cuore e sull’amore, anche su certe velleità che si stemperano nella fantasia della fiaba, della commedia, nell’amore per la natura, soprattutto nel conoscere bene come siamo e quali sono le nostre perdonabili debolezze. I suoi attori più amati hanno preso parte, anche se per brevissimi camei, all’ultimo set. Mentre i tre protagonisti lo ricordano con queste parole. Isabella Ragonese, un’estetista distratta e di gran cuore:
“Credo che questo film rappresenti lui, il momento che stava vivendo, ed è un saluto anche pieno di grazia, com’era lui”.
Giuseppe Battiston, un sacerdote impacciato e amabile:
“Questo film, “La sedia della felicità”, ci lascia una bellissima lezione di cinema, per la ricchezza dei personaggi. Rappresenta in pieno il percorso di Carlo, quello che era la sua passione, ovvero raccontare storie di personaggi imperfetti, imprecisi; offre il ritratto di un’umanità sempre alla ricerca di qualcosa, alla ricerca di un modo per migliorare la propria condizione di vita. Professionalmente, ci lascia questo, umanamente molto di più”.
Valerio Mastandrea, un tatuatore spiantato e generoso:
“Un ricordo... Possiamo dividerlo in due: un ricordo puramente professionale e uno umano, di cui è difficile parlare e forse anche ingiusto. Carlo, infatti, si racconta molto attraverso i film che ha fatto, attraverso i personaggi che ha esplorato. Io, personalmente, sono uno che voleva lavorare con Carlo molto prima. Da un lato, sono contento, perché ho meno nostalgia; dall’altro, capisco pure che mi mancherà moltissimo”.
Radio Vaticana - Tre personaggi cercano la felicità in una sedia, perché racchiude un tesoro. Mazzacurati, prima di lasciarci, ha cercato la vita nei suoi film, i suoi risvolti misteriosi e malinconici, e ha cercato anche la sua personale porzione di felicità. Ha scritto il film nel tempo in cui la malattia ancora non lo aveva del tutto aggredito, lo ha girato quando la speranza terrena si era ormai affievolita del tutto. Ma non la virtù, quella che lo faceva sempre guardare in alto, guardare oltre: come dice Dino alla fine del film, “volare”, sempre che sia possibile. Schivo e amabilissimo, legato al territorio veneto che per lui rappresentava la cultura d’origine e una geografia dell’anima, dove sono ambientate anche le surreali vicende legate alla “sedia”, ha lasciato una serie di opere sempre soffuse di ironia, leggerezza e profondità di sguardo. Sull’essere umano, sul cuore e sull’amore, anche su certe velleità che si stemperano nella fantasia della fiaba, della commedia, nell’amore per la natura, soprattutto nel conoscere bene come siamo e quali sono le nostre perdonabili debolezze. I suoi attori più amati hanno preso parte, anche se per brevissimi camei, all’ultimo set. Mentre i tre protagonisti lo ricordano con queste parole. Isabella Ragonese, un’estetista distratta e di gran cuore:
“Credo che questo film rappresenti lui, il momento che stava vivendo, ed è un saluto anche pieno di grazia, com’era lui”.
Giuseppe Battiston, un sacerdote impacciato e amabile:
“Questo film, “La sedia della felicità”, ci lascia una bellissima lezione di cinema, per la ricchezza dei personaggi. Rappresenta in pieno il percorso di Carlo, quello che era la sua passione, ovvero raccontare storie di personaggi imperfetti, imprecisi; offre il ritratto di un’umanità sempre alla ricerca di qualcosa, alla ricerca di un modo per migliorare la propria condizione di vita. Professionalmente, ci lascia questo, umanamente molto di più”.
Valerio Mastandrea, un tatuatore spiantato e generoso:
“Un ricordo... Possiamo dividerlo in due: un ricordo puramente professionale e uno umano, di cui è difficile parlare e forse anche ingiusto. Carlo, infatti, si racconta molto attraverso i film che ha fatto, attraverso i personaggi che ha esplorato. Io, personalmente, sono uno che voleva lavorare con Carlo molto prima. Da un lato, sono contento, perché ho meno nostalgia; dall’altro, capisco pure che mi mancherà moltissimo”.
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