È stata definita “uno tra i luoghi più inquinati del mondo”: è la baraccopoli di Agbobloshie, alla periferia della capitale del Ghana, Accra.
Radio Vaticana - Qui finiscono, tra l’altro, molti elettrodomestici dismessi e prodotti elettronici usati, provenienti anche da Paesi non africani. Ma qui prestano la loro opera anche alcuni missionari cattolici, unendo evangelizzazione e programmi educativi. A descrivere la realtà della baraccopoli, nell’intervista di Davide Maggiore, è fra Arcadio Sicher, francescano conventuale, che vi ha trascorso oltre dieci anni: ascolta
R. – La gente è attirata, perché c’è possibilità di lavoro. Lì c’è specialmente il mercato. Quando sono arrivato io c’era anche la raccolta dell’usato, in particolare del ferro vecchio. E’ cresciuta man mano. Più che una discarica è una zona di lavoro: sono i giovani stessi che vanno in giro per la città a raccogliere l’usato e il ferro vecchio. Poi è nato anche il boom dell’elettronica di seconda mano, specialmente computer, frigoriferi e altro.
D. – L’espansione della baraccopoli è stata anche provocata dall’arrivo dello scarto delle nuove tecnologie, che spesso vengono proprio dal nostro mondo, dal mondo occidentale…
R. – Purtroppo è così: i poveri vivono di quello che si butta via. Il sogno di poter fare i soldi presto e subito porta a pensare soltanto per soldi, senza pensare a quell’inquinamento che si dà a se stessi e agli altri. Per loro arrivare qui dai villaggi è un sogno, perché si viene, si fa il picco di lavoro e pian piano si riesce a fare un capitale. Il rischio è - specialmente adesso sempre più - quello di avere sì un po’ di soldi, ma di perdere la salute. Quando si pensa a vivere giorno per giorno, le malattie che possono venire fuori dopo dieci o vent’anni non fanno paura...
D. – Questo fa pensare a dei temi che Papa Francesco ha fatto molto suoi, come la denuncia che spesso, anche nei rapporti di ogni giorno, a dominare è il denaro e la cultura dello scarto…
R. – Alla fine il discorso è proprio quello di ripensare lo stile di vita. Anche questi nostri prodotti tecnologi, questo prendere e buttare: chi produce un prodotto dovrebbe anche pensare a come riciclarlo. Non si può lasciare che siano proprio i poveri a prendersi poi sulle spalle lo scarto.
D. – Lei può dire, come religioso, che c’è qualcosa che l’esperienza di oltre dieci anni di baraccopoli le ha insegnato, le ha lasciato?
R. – La baraccopoli è ricca di problemi, ma è anche ricca di vita. Mi ha colpito Papa Francesco quando dice che sono proprio le periferie che sono la vera cultura e che costituiscono il futuro. Questo lo sento profondamente. Questo è un grande insegnamento: veramente tra i più poveri, tra i più abbandonati c’era proprio questo Regno di Dio. Nonostante tutti i problemi, e anzi proprio in tutti questi problemi, c’è una forza di vita che è speranza. Al di là di questa paura per il futuro, al di là di questa paura la vita fisica, le malattie, c’è una vita che funziona, ci sono i bambini che crescono. C’è una vita quotidiana che è viva, vera! Ci sono anche "profezie": gente proveniente da tutte le tribù del Ghana, si vive in questa diversità… E’ una Babele, ma allo stesso tempo è una Pentecoste. C’è lo Spirito che veramente dà la vita, in tante manifestazioni. Penso che la cosa più importante non sia giudicare, non sia condannare, ma essere là, vivere con loro. E’ vero che ci sono anche dei sogni malsani, ma non è condannandoli che troveremo la soluzione. Non è nel dire: “Buttiamo via tutto o demoliamo tutto!”.
Radio Vaticana - Qui finiscono, tra l’altro, molti elettrodomestici dismessi e prodotti elettronici usati, provenienti anche da Paesi non africani. Ma qui prestano la loro opera anche alcuni missionari cattolici, unendo evangelizzazione e programmi educativi. A descrivere la realtà della baraccopoli, nell’intervista di Davide Maggiore, è fra Arcadio Sicher, francescano conventuale, che vi ha trascorso oltre dieci anni: ascolta
R. – La gente è attirata, perché c’è possibilità di lavoro. Lì c’è specialmente il mercato. Quando sono arrivato io c’era anche la raccolta dell’usato, in particolare del ferro vecchio. E’ cresciuta man mano. Più che una discarica è una zona di lavoro: sono i giovani stessi che vanno in giro per la città a raccogliere l’usato e il ferro vecchio. Poi è nato anche il boom dell’elettronica di seconda mano, specialmente computer, frigoriferi e altro.
D. – L’espansione della baraccopoli è stata anche provocata dall’arrivo dello scarto delle nuove tecnologie, che spesso vengono proprio dal nostro mondo, dal mondo occidentale…
R. – Purtroppo è così: i poveri vivono di quello che si butta via. Il sogno di poter fare i soldi presto e subito porta a pensare soltanto per soldi, senza pensare a quell’inquinamento che si dà a se stessi e agli altri. Per loro arrivare qui dai villaggi è un sogno, perché si viene, si fa il picco di lavoro e pian piano si riesce a fare un capitale. Il rischio è - specialmente adesso sempre più - quello di avere sì un po’ di soldi, ma di perdere la salute. Quando si pensa a vivere giorno per giorno, le malattie che possono venire fuori dopo dieci o vent’anni non fanno paura...
D. – Questo fa pensare a dei temi che Papa Francesco ha fatto molto suoi, come la denuncia che spesso, anche nei rapporti di ogni giorno, a dominare è il denaro e la cultura dello scarto…
R. – Alla fine il discorso è proprio quello di ripensare lo stile di vita. Anche questi nostri prodotti tecnologi, questo prendere e buttare: chi produce un prodotto dovrebbe anche pensare a come riciclarlo. Non si può lasciare che siano proprio i poveri a prendersi poi sulle spalle lo scarto.
D. – Lei può dire, come religioso, che c’è qualcosa che l’esperienza di oltre dieci anni di baraccopoli le ha insegnato, le ha lasciato?
R. – La baraccopoli è ricca di problemi, ma è anche ricca di vita. Mi ha colpito Papa Francesco quando dice che sono proprio le periferie che sono la vera cultura e che costituiscono il futuro. Questo lo sento profondamente. Questo è un grande insegnamento: veramente tra i più poveri, tra i più abbandonati c’era proprio questo Regno di Dio. Nonostante tutti i problemi, e anzi proprio in tutti questi problemi, c’è una forza di vita che è speranza. Al di là di questa paura per il futuro, al di là di questa paura la vita fisica, le malattie, c’è una vita che funziona, ci sono i bambini che crescono. C’è una vita quotidiana che è viva, vera! Ci sono anche "profezie": gente proveniente da tutte le tribù del Ghana, si vive in questa diversità… E’ una Babele, ma allo stesso tempo è una Pentecoste. C’è lo Spirito che veramente dà la vita, in tante manifestazioni. Penso che la cosa più importante non sia giudicare, non sia condannare, ma essere là, vivere con loro. E’ vero che ci sono anche dei sogni malsani, ma non è condannandoli che troveremo la soluzione. Non è nel dire: “Buttiamo via tutto o demoliamo tutto!”.
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