In Sud Sudan sono stati commessi crimini contro l’umanità da entrambi le parti coinvolte nel conflitto, sia ribelli, sia forze governative.
Radio Vaticana - Sono le conclusioni della Missione delle Nazioni Unite, secondo cui massacri e atrocità, sistematici e generalizzati, sono stati perpetrati contro civili per motivi etnici. L’Onu, come Amnesty International, denuncia quindi violazioni dei diritti umani particolarmente gravi anche contro donne e bambini. Grande attesa per l’incontro, domani ad Addis Abeba, tra il presidente sud sudanese, Salva Kiir, e l’ex suo vice, Riech Machar. I colloqui dovrebbero trovare una soluzione al sanguinoso conflitto in corso da metà dicembre tra esercito- fedele al capo dello Stato - e i ribelli guidati da Machar. Proprio in quest’occasione, il governo di Juba ha ordinato ai militari di interrompere per un mese gli attacchi contro i miliziani. Sulle spettative dell’incontro, Giancarlo La Vella ha intervistato l’africanista Michele Luppi, direttore del sito “www.africaeuropa.it”: ascolta
R. - E’ un incontro importante, perché per la prima volta ci sarà l’occasione di discutere seriamente su una possibile via di uscita da questa crisi, anche se non è così scontato che si riesca poi ad arrivare a delle decisioni concrete. Anche negli ultimi giorni, combattimenti tra le due fazioni, anche se in tono minore, sono comunque continuati, nonostante il cessate il fuoco.
D. - Quali le questioni più urgenti in ballo?
R. - Da un lato c’è la crisi umanitaria che il Paese sta vivendo: secondo i dati dell’Onu, in Sud Sudan abbiamo oltre un milione di sfollati; due sfollati ogni dieci, inoltre – dicono le Nazioni Unite – si trovano in zone non raggiungibili dagli aiuti. In questo senso, nei giorni scorsi è stato siglato un accordo tra le parti per garantire corridoi umanitari. Dal punto di vista politico, invece, la questione centrale è quella di un possibile governo ad interim, formato da rappresentanti di Salva Kiir e dall’altra parte però anche uomini dell’opposizione, che guidi il Paese fino alle elezioni del prossimo anno.
D. - C’è il rischio che, in caso di andamento positivo di questi colloqui, i ribelli, soprattutto, si abbandonino a scorribande incontrollate, dato che poi l’aspetto bellico è anche un modo per autosostentarsi…
R. - Questo senz’altro. Purtroppo sia dalla parte dei ribelli, sia dalla parte dell’esercito non sono mancati gesti di violenza efferata; si parla di decine di migliaia di morti. È chiaro che dalla forza che questo accordo avrà e dalla capacità che, Riek Machar da una parte e Salva Kiir dall’altra, avranno di tenere i propri uomini dipenderà anche la stabilizzazione del Sud Sudan.
D. - Con quale spirito il Sudan, quindi Khartoum, sta guardando alla guerra civile nel Sud Sudan?
R. - Khartoum è sempre stato un Paese alla “finestra”, nel senso che è seriamente preoccupato da un possibile prosieguo del blocco e della riduzione del flusso del petrolio che dal Sud Sudan va verso il Nord. Le tasse che di fatto vengono pagate dal governo del Sud Sudan al Sudan per il transito del petrolio negli oleodotti rappresentano una delle fonti importanti del bilancio del Sudan. Quindi, il Sudan ora sta vivendo una grave crisi economica, anche legata a tale questione. Invece, per quanto riguarda possibili sostegni del Sudan a Machar, o comunque a formazioni ribelli, la situazione è molto più nebulosa.
R. - E’ un incontro importante, perché per la prima volta ci sarà l’occasione di discutere seriamente su una possibile via di uscita da questa crisi, anche se non è così scontato che si riesca poi ad arrivare a delle decisioni concrete. Anche negli ultimi giorni, combattimenti tra le due fazioni, anche se in tono minore, sono comunque continuati, nonostante il cessate il fuoco.
D. - Quali le questioni più urgenti in ballo?
R. - Da un lato c’è la crisi umanitaria che il Paese sta vivendo: secondo i dati dell’Onu, in Sud Sudan abbiamo oltre un milione di sfollati; due sfollati ogni dieci, inoltre – dicono le Nazioni Unite – si trovano in zone non raggiungibili dagli aiuti. In questo senso, nei giorni scorsi è stato siglato un accordo tra le parti per garantire corridoi umanitari. Dal punto di vista politico, invece, la questione centrale è quella di un possibile governo ad interim, formato da rappresentanti di Salva Kiir e dall’altra parte però anche uomini dell’opposizione, che guidi il Paese fino alle elezioni del prossimo anno.
D. - C’è il rischio che, in caso di andamento positivo di questi colloqui, i ribelli, soprattutto, si abbandonino a scorribande incontrollate, dato che poi l’aspetto bellico è anche un modo per autosostentarsi…
R. - Questo senz’altro. Purtroppo sia dalla parte dei ribelli, sia dalla parte dell’esercito non sono mancati gesti di violenza efferata; si parla di decine di migliaia di morti. È chiaro che dalla forza che questo accordo avrà e dalla capacità che, Riek Machar da una parte e Salva Kiir dall’altra, avranno di tenere i propri uomini dipenderà anche la stabilizzazione del Sud Sudan.
D. - Con quale spirito il Sudan, quindi Khartoum, sta guardando alla guerra civile nel Sud Sudan?
R. - Khartoum è sempre stato un Paese alla “finestra”, nel senso che è seriamente preoccupato da un possibile prosieguo del blocco e della riduzione del flusso del petrolio che dal Sud Sudan va verso il Nord. Le tasse che di fatto vengono pagate dal governo del Sud Sudan al Sudan per il transito del petrolio negli oleodotti rappresentano una delle fonti importanti del bilancio del Sudan. Quindi, il Sudan ora sta vivendo una grave crisi economica, anche legata a tale questione. Invece, per quanto riguarda possibili sostegni del Sudan a Machar, o comunque a formazioni ribelli, la situazione è molto più nebulosa.
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