È iniziato in Siria il ritiro dei ribelli, che da oltre due anni occupavano la città vecchia di Homs, assediati dalle forze di Damasco.
Radio Vaticana - Un’intesa al riguardo era stata siglata nei giorni scorsi dai combattenti e dal regime siriano con l’obiettivo di porre fine all’assedio, mettendo in salvo oltre 2 mila persone, tra combattenti, civili e feriti. In cambio, i ribelli si sono impegnati a rilasciare dei prigionieri libanesi e iraniani detenuti ad Aleppo e a permettere l’accesso di aiuti umanitari in alcuni villaggi sciiti della stessa zona settentrionale, rimasti fedeli al regime. Il ritiro prevede più fasi: stamani sono state evacuate 120 persone a bordo di tre bus. Sull’intesa di Homs, ascoltiamo Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento, intervistato da Giada Aquilino: ascolta
R. – Bisognerà aspettare un po’ di tempo prima di dare un giudizio definitivo. Indubbiamente, questi avvenimenti sembrano testimoniare da una parte che i ribelli sono sulla difensiva e che, quindi, la prospettiva di un rovesciamento di Bashar al Assad attraverso la forza delle armi si allontana nel tempo e nello spazio. Dall’altra parte sembra potersi trarre l’ulteriore conferma del fatto che, in qualche modo, Bashar al Assad ha continuato a godere almeno di una parte di consenso, controlla le forze armate e, quindi, ha in mano gli strumenti per sopravvivere. Del resto, bisognerebbe capire esattamente, quando si parla di ribelli, di chi si parla: il fronte di opposizione ad Assad è molto variegato, ci sono componenti molto diversificate che vanno dai laici ad al Qaeda o ad altre organizzazioni jihadiste. In particolare queste organizzazioni jihadiste non hanno certo interesse ad arrivare ad un’intesa con il regime, perché il loro piano è quello di ‘balcanizzare’ la regione, partendo dal buco nero della Siria, con un effetto potenziale di allargamento che evidentemente serve alla strategia dei gruppi maggiormente estremisti e radicali.
D. – Homs nei tre anni di conflitto è stata spesso indicata come ‘capitale della rivoluzione’. Ora cambia il suo aspetto?
R. – Questa definizione di Homs come ‘capitale della rivoluzione’ può essere presa con le pinze, con le molle, nel senso che non credo che proprio questa eterogeneità di partecipazione dei gruppi ribelli al fronte di opposizione avesse una localizzazione propria nel senso di erigere una città, nel caso specifico Homs, come reale alternativa a Damasco, sede del potere di Bashar al Assad.
D. - A giugno le presidenziali organizzate dal presidente Assad: come potrà realizzarsi secondo lei il voto in un Paese, di fatto, ancora in conflitto?
R. – E’ ovvio che è anche una votazione non è che possa garantire vere e proprie certezze democratiche. Non solo perché la grande maggioranza dei siriani è preoccupata per la casa, la famiglia, il pane, il lavoro, quindi indubbiamente queste elezioni possono interessare in maniera anche relativa. Si tratterà probabilmente di un metodo attraverso cui Bashar al Assad si può presentare sia all’opinione pubblica interna, sia agli osservatori internazionali ancora come il ‘controllore’ della Siria.
Radio Vaticana - Un’intesa al riguardo era stata siglata nei giorni scorsi dai combattenti e dal regime siriano con l’obiettivo di porre fine all’assedio, mettendo in salvo oltre 2 mila persone, tra combattenti, civili e feriti. In cambio, i ribelli si sono impegnati a rilasciare dei prigionieri libanesi e iraniani detenuti ad Aleppo e a permettere l’accesso di aiuti umanitari in alcuni villaggi sciiti della stessa zona settentrionale, rimasti fedeli al regime. Il ritiro prevede più fasi: stamani sono state evacuate 120 persone a bordo di tre bus. Sull’intesa di Homs, ascoltiamo Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento, intervistato da Giada Aquilino: ascolta
R. – Bisognerà aspettare un po’ di tempo prima di dare un giudizio definitivo. Indubbiamente, questi avvenimenti sembrano testimoniare da una parte che i ribelli sono sulla difensiva e che, quindi, la prospettiva di un rovesciamento di Bashar al Assad attraverso la forza delle armi si allontana nel tempo e nello spazio. Dall’altra parte sembra potersi trarre l’ulteriore conferma del fatto che, in qualche modo, Bashar al Assad ha continuato a godere almeno di una parte di consenso, controlla le forze armate e, quindi, ha in mano gli strumenti per sopravvivere. Del resto, bisognerebbe capire esattamente, quando si parla di ribelli, di chi si parla: il fronte di opposizione ad Assad è molto variegato, ci sono componenti molto diversificate che vanno dai laici ad al Qaeda o ad altre organizzazioni jihadiste. In particolare queste organizzazioni jihadiste non hanno certo interesse ad arrivare ad un’intesa con il regime, perché il loro piano è quello di ‘balcanizzare’ la regione, partendo dal buco nero della Siria, con un effetto potenziale di allargamento che evidentemente serve alla strategia dei gruppi maggiormente estremisti e radicali.
D. – Homs nei tre anni di conflitto è stata spesso indicata come ‘capitale della rivoluzione’. Ora cambia il suo aspetto?
R. – Questa definizione di Homs come ‘capitale della rivoluzione’ può essere presa con le pinze, con le molle, nel senso che non credo che proprio questa eterogeneità di partecipazione dei gruppi ribelli al fronte di opposizione avesse una localizzazione propria nel senso di erigere una città, nel caso specifico Homs, come reale alternativa a Damasco, sede del potere di Bashar al Assad.
D. - A giugno le presidenziali organizzate dal presidente Assad: come potrà realizzarsi secondo lei il voto in un Paese, di fatto, ancora in conflitto?
R. – E’ ovvio che è anche una votazione non è che possa garantire vere e proprie certezze democratiche. Non solo perché la grande maggioranza dei siriani è preoccupata per la casa, la famiglia, il pane, il lavoro, quindi indubbiamente queste elezioni possono interessare in maniera anche relativa. Si tratterà probabilmente di un metodo attraverso cui Bashar al Assad si può presentare sia all’opinione pubblica interna, sia agli osservatori internazionali ancora come il ‘controllore’ della Siria.
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