domenica, maggio 11, 2014
Centinaia di civili rientrano nella città dopo l’evacuazione delle opposizioni. Trovate fosse comuni e reti di tunnel sotterranei, dice la stampa araba. Al via le procedure di sminamento.  

NenaNews - Ritorno ad Homs. Da ieri le famiglie siriane fuggite dalla città, terza per importanza in Siria e teatro dei più duri scontri tra regime e opposizioni, hanno cominciato la loro lenta processione verso le rovine dei loro quartieri, delle loro abitazioni. Poco resta nel cuore di Homs, ostaggio di violenze e bombardamenti per tre anni, fin dallo scoppio della guerra civile quando la città fu etichettata come “la capitale della rivoluzione”. Oggi, i ribelli hanno lasciato le proprie postazioni, sconfitti, sia i laici dell’Esercito Libero Siriano – braccio armato della Coalizione Nazionale– sia gli islamisti del Fronte Al-Nusra e dell’ISIL. Tutti fuori, in virtù di un accordo di cessate il fuoco negoziato da regime e Nazioni Unite (secondo quanto riportato dal direttore dell’OCHA, agenzia Onu, John Ging, a trattare sarebbero stati gli ambasciatori iraniano e russo in Siria).

Fuori i ribelli, tornano i civili. Non troppo scioccati nel trovare di fronte a sé quanto si aspettavano – rovine – ma comunque colpiti dall’immensa distruzione che ha travolto la città. Il suq, i quartieri dei bar e dei cafè non ci sono più, rasi al suolo. I primi ad arrivare sono i residenti nel distretto di Hamidiya, il primo ad essere messo in sicurezza dall’esercito. Ad Hamidiya, quartiere cristiano, sono arrivati oggi anche preti e religiosi a controllare le chiese della zona: tutte distrutte.

“Sono venuta a cercare la mia casa, ma non riesco a trovarla – dice una donna al giornalista dell’AFP – Non ho trovato il tetto, non ho trovato le pareti. Ho trovato solo questa tazza da caffè, la terrò come ricordo”. Intanto i bulldozer ripuliscono le strade dai detriti e le macerie. Il governatore di Homs ha fatto sapere che unità speciali di ingegneri stanno visionando i quartieri della città, compresa la parte più antica, alla ricerca di esplosivi e armi.

Secondo l’agenzia stampa iraniana Fars News, l’esercito siriano impegnato nello sminamento dell’area e la messa in sicurezza avrebbe trovato fosse comuni piene di cadaveri e tunnel che si aggrovigliano sotto la città e che permettevano ai miliziani di spostarsi facilmente da una parte all’altra di Homs.

Intanto, secondo quanto previsto dall’accordo gli ultimi miliziani sono arrivati a Al-Dar Al-Kabir, distretto in cui saranno “confinati”: sono almeno 1.700 i ribelli che hanno lasciato Homs negli ultimi tre giorni, una vittoria per il regime di Assad che con la riconquista della città “ribelle” si è garantito il quasi totale controllo del corridoio che da Damasco giunge fino al mare e alle città costiere a Nord.

L’accordo di Homs non è il primo ad essere archiviato: altri negoziati tra regime e opposizioni – soprattutto volti a permettere l’ingresso di aiuti umanitari nelle città sotto assedio – hanno preceduto quello di Homs, la prova – secondo le Nazioni Unite – che “una soluzione politica è possibile”. Che lo sia davvero è dubbioso, con la comunità internazionale ancora spaccata sul ruolo di Assad e le opposizioni siriane sempre meno unite e meno credibili come interlocutore per la pace. Washington torna a premere l’acceleratore sulla questione delle armi chimiche, dopo che le Nazioni Unite hanno fatto sapere che parte dell’arsenale di Assad non è per ora raggiungibile a causa degli scontri con le milizie dell’opposizione. Secondo l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, il 92% dell’arsenale è stato già rimosso o distrutto. Resta quell’8% da eliminare entro il prossimo 30 giugno, dopo di che Assad potrà dire di aver rispettato la sua parte dell’accordo.


È presente 1 commento

Anonimo ha detto...

Fonalmente i residenti possono tornare in pace.
Dovrebbero tornare anche i contras che si sono dati prigionieri ed essere adibiti ai lavori necessari per la ricostruzione.

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