Quando lo sport non è più sport ma diventa pretesto per atti di violenza, allora bisogna fermarsi per riflettere, per prendere provvedimenti seri e per ricostruire una cultura della civiltà.
di Elisabetta Lo Iacono
Il pre-partita per la finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, disputata a Roma, ha rappresentato l'ulteriore campanello di allarme diventato ormai uno stonato campanaccio tranne che alle orecchie sorde di chi, anteponendo gli interessi economici a quelli sociali, non ha alcuna voglia di cogliere questi segnali preoccupanti. Gli scontri fuori dallo stadio con il ferimento di alcuni tifosi sono fatti gravi sui quali dovranno cimentarsi forze dell'ordine e giustizia e, sia che si tratti di scontri tra ultras sia di "conti in sospeso", conducono comunque e sempre a soggetti facilmente etichettabili come delinquenti. Altra situazione, ancora più inquietante, è quella vissuta all'interno dell'Olimpico dove si sono intrecciate come in un telaio impazzito violenza, brandelli di sport, debolezza delle istituzioni.
Le scene alle quali abbiamo assistito, se ci riflettiamo, sono ben più gravi di quanto si poteva vedere nell'immediatezza di quegli istanti.
La linea di confine tra illegalità e legalità si è sfrangiata nel momento in cui la squadra del Napoli ha sentito la necessità o, più probabilmente, si è sentita costretta a informare i tifosi presenti in curva della situazione in cui versavano i feriti. Una vera e propria consultazione - se giocare o meno la partita - che ha del paradossale: lo spaurito Marek Hamsik, capitano della squadra partenopea, stretto in un angolo dall'energumeno leader di quegli ultras che, nel frattempo, hanno fatto partire seggiolini, fumogeni e bombe carta contro gli steward e i vigili del fuoco. E anche questa può essere definita, senza mezzi termini, violenza da parte di delinquenti ma come è possibile che una squadra che milita in serie A scenda a patti con queste scalmanate tifoserie?
Di certo il problema - è bene chiarirlo - non è solo del Napoli in quanto negli anni abbiamo visto e rivisto scene di questo tipo, con i capitani di turno che si consultano con soggetti che tutto potranno amare meno che lo sport, il calcio e la sana competizione.
Ma i paradossi della serata non finiscono qui ed ecco che arriva la componente istituzionale. In tribuna, oltre ai vertici del mondo calcistico, sedevano anche il presidente del Senato Pietro Grasso e il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Entrambi hanno assistito a queste scene di violenza e a una tolleranza che non può essere adeguatamente giustificata neppure dalle valutazioni sulle opportunità in tema di ordine pubblico. Forse, e dico forse, sarebbe stato conveniente che i due alti rappresentanti delle istituzioni avessero lasciato quello stadio emblema di un Paese dove non sempre comanda la legalità, incapace di riconoscersi persino nel proprio inno nazionale, fischiato a pieni polmoni.
Sicuramente sarebbe opportuno che, dai prossimi giorni, venissero presi provvedimenti seri che non cerchino l'impossibile quadratura del cerchio in nome dei vari interessi ma siano pronti a disfare questa geometria della violenza e dell'inciviltà, ponendo la delinquenza su una sponda e lo sport su un'altra. Solo con una netta linea di demarcazione il calcio riacquisterebbe il suo fascino e ne gioverebbe anche il senso civico del nostro Paese.
Il pre-partita per la finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, disputata a Roma, ha rappresentato l'ulteriore campanello di allarme diventato ormai uno stonato campanaccio tranne che alle orecchie sorde di chi, anteponendo gli interessi economici a quelli sociali, non ha alcuna voglia di cogliere questi segnali preoccupanti. Gli scontri fuori dallo stadio con il ferimento di alcuni tifosi sono fatti gravi sui quali dovranno cimentarsi forze dell'ordine e giustizia e, sia che si tratti di scontri tra ultras sia di "conti in sospeso", conducono comunque e sempre a soggetti facilmente etichettabili come delinquenti. Altra situazione, ancora più inquietante, è quella vissuta all'interno dell'Olimpico dove si sono intrecciate come in un telaio impazzito violenza, brandelli di sport, debolezza delle istituzioni.
Le scene alle quali abbiamo assistito, se ci riflettiamo, sono ben più gravi di quanto si poteva vedere nell'immediatezza di quegli istanti.
La linea di confine tra illegalità e legalità si è sfrangiata nel momento in cui la squadra del Napoli ha sentito la necessità o, più probabilmente, si è sentita costretta a informare i tifosi presenti in curva della situazione in cui versavano i feriti. Una vera e propria consultazione - se giocare o meno la partita - che ha del paradossale: lo spaurito Marek Hamsik, capitano della squadra partenopea, stretto in un angolo dall'energumeno leader di quegli ultras che, nel frattempo, hanno fatto partire seggiolini, fumogeni e bombe carta contro gli steward e i vigili del fuoco. E anche questa può essere definita, senza mezzi termini, violenza da parte di delinquenti ma come è possibile che una squadra che milita in serie A scenda a patti con queste scalmanate tifoserie?
Di certo il problema - è bene chiarirlo - non è solo del Napoli in quanto negli anni abbiamo visto e rivisto scene di questo tipo, con i capitani di turno che si consultano con soggetti che tutto potranno amare meno che lo sport, il calcio e la sana competizione.
Ma i paradossi della serata non finiscono qui ed ecco che arriva la componente istituzionale. In tribuna, oltre ai vertici del mondo calcistico, sedevano anche il presidente del Senato Pietro Grasso e il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Entrambi hanno assistito a queste scene di violenza e a una tolleranza che non può essere adeguatamente giustificata neppure dalle valutazioni sulle opportunità in tema di ordine pubblico. Forse, e dico forse, sarebbe stato conveniente che i due alti rappresentanti delle istituzioni avessero lasciato quello stadio emblema di un Paese dove non sempre comanda la legalità, incapace di riconoscersi persino nel proprio inno nazionale, fischiato a pieni polmoni.
Sicuramente sarebbe opportuno che, dai prossimi giorni, venissero presi provvedimenti seri che non cerchino l'impossibile quadratura del cerchio in nome dei vari interessi ma siano pronti a disfare questa geometria della violenza e dell'inciviltà, ponendo la delinquenza su una sponda e lo sport su un'altra. Solo con una netta linea di demarcazione il calcio riacquisterebbe il suo fascino e ne gioverebbe anche il senso civico del nostro Paese.
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