Mettersi al volante tutti i giorni per andare da casa a lavoro non è solo il risultato di una scelta consapevole, ma soprattutto il perpetuarsi di un’abitudine consolidata.
Greenreport - Come ci ricorda l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), il 14% dell’aumento annuo mondiale (+2.2% nel decennio 2000-2010) di emissioni di gas serra è imputato al settore dei trasporti, con un ruolo di rilievo ricoperto dal trasporto privato su gomma[1].Secondo l’indagine Term 2013, della European Environment Agency, in Europa, ogni mille abitanti sono presenti, in media, circa 500 auto[2]. In cima alla classifica, troviamo l’Italia, con addirittura 610 automobili ogni mille cittadini.
A livello mondiale, il settore è in fase di espansione. Rispetto a dieci anni fa, tra autoveicoli e veicoli commerciali, l’incremento delle immatricolazioni si aggira intorno al 44%, con Cina (+440%), Russia (+125%) e Brasile (+169%) sul podio dei mercati di distribuzione[3]. Sebbene il panorama automobilistico nei paesi occidentali, complice l’attuale congiuntura economica, stia vivendo un momento di seria difficoltà, le auto restano il mezzo di trasporto più utilizzato – con differenze specifiche per ogni nazione. Nel nostro paese, da un’elaborazione dell’Osservatorio sulla Mobilità Sostenibile di Airp, emerge che il 79,7% degli spostamenti urbani dello scorso anno è comunque avvenuto in auto, così come l’84,7% di quelli extraurbani[4].
Quali politiche efficaci di sostenibilità ambientale, sociale ed economica possono essere intraprese per bilanciare benefici e svantaggi del trasporto privato nella vita quotidiana e futura dei cittadini e del pianeta?
Paradossalmente, le politiche pubbliche indirizzate a modificare i comportamenti dei cittadini hanno ignorato un elemento imprescindibile, ovvero la comprensione dei fattori cognitivi che influenzano i comportamenti stessi dei cittadini. I modelli economici generalmente analizzano la scelta di preferire un mezzo di trasporto come il risultato di una razionale analisi costi-benefici. Se un cittadino decide di prendere l’automobile per muoversi, è perché i vantaggi strumentali che l’auto gli garantisce sono maggiori dei servizi forniti, per esempio, dal trasporto pubblico.
Questi modelli e le conseguenti politiche di intervento (regolazione dei prezzi, incentivi economici e campagne di educazione) si concentrano, però, su un unico aspetto della cognizione umana. Quello consapevole, razionale, riflessivo. Le scienze comportamentali, al contrario, insegnano come la maggior parte delle nostre decisioni sia dettata da processi cognitivi automatici e inconsci, che spesso deviano le nostre scelte da un’ideale economico di razionalità perfetta.
Un recente articolo pubblicato su Trends in Cognitive Sciences pone, per la prima volta a livello scientifico, l’accento su un aspetto trascurato dalle policy in tema di trasporti: l’indagine neuroscientifica del ruolo svolto dalle abitudini[5]. Dal punto di vista comportamentale, la scelta quotidiana di prendere l’auto, da soli, per percorrere il tragitto casa-lavoro, non deve essere vista come il solo risultato di una scelta consapevole e ponderata, ma come il perpetuarsi di un’abitudine consolidata. La maggior parte delle scelte di mobilità sono pattern di comportamenti abitudinari, che possono costituire una grande fonte di preoccupazione per le città sostenibili. Sapere come questi pattern si generano e consolidano fornisce gli strumenti corretti per poterli modificare, attraverso modelli di intervento maggiormente realistici, e non basati su supposizioni di efficacia.
Negli ultimi anni, infatti, le indagini neuroscientifiche hanno aperto la “scatola nera” delle abitudini, evidenziando promettenti linee di ricerca. Le abitudini sono innescate automaticamente da associazioni reiterate nel tempo tra azioni e stimoli contestuali presenti nell’ambiente. Una volta consolidate, le routine umane chiamano meno in causa aree della corteccia cerebrale deputate alla decisione riflessiva (come la corteccia frontale) rispetto ad aree come i nuclei della base (in particolare lo striato). Questi diversi gradi di attivazione si traducono in una maggiore impermeabilità ai tentativi di cambiamento dei comportamenti che fanno leva esclusivamente sulla modifica delle preferenze e delle intenzioni. Un esempio particolarmente istruttivo – e provocatorio – è fornito dagli studi sulla dipendenza dalle droghe, dove l’assunzione di specifiche sostanze dirotta il funzionamento di alcuni sistemi neurali di memoria e apprendimento. Avviene lo stesso con l’utilizzo dell’auto? Gli autori indicano una possibile analogia, mostrando come i meccanismi coinvolti possano essere in parte comuni[6]. Inoltre, fattori come lo stress – fortemente correlati con il pendolarismo – favoriscono la formazione e il rinforzo di abitudini, e ostacolano l’instaurarsi di comportamenti maggiormente consapevoli dal punto di vista ambientale. In questo caso, un connubio tra le ricerche in ambito cognitivo e quelle sul benessere soggettivo[7] potrebbe rivelare importanti scoperte per implementare interventi di behaviour change più efficaci.
Appurato che in tema di trasporti i processi cognitivi di valutazione razionale hanno una influenza limitata nello stabilire le scelte dei cittadini, non sorprende come gli attuali interventi non siano sufficienti per ridurre la dipendenza dall’auto. In tema di mobilità, gli investimenti per servizi pubblici e infrastrutture migliori devono essere supportati da innovative politiche pubbliche, che sappiano applicare i risultati delle scienze comportamentali e delle neuroscienze per progettare e sperimentare programmi che facciano leva sui fattori inconsci e riflessivi che alimentano le abitudini sostenibili e siano, così, maggiormente attrezzati per promuovere una diffusa cultura della consapevolezza ambientale[8].
Greenreport - Come ci ricorda l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), il 14% dell’aumento annuo mondiale (+2.2% nel decennio 2000-2010) di emissioni di gas serra è imputato al settore dei trasporti, con un ruolo di rilievo ricoperto dal trasporto privato su gomma[1].Secondo l’indagine Term 2013, della European Environment Agency, in Europa, ogni mille abitanti sono presenti, in media, circa 500 auto[2]. In cima alla classifica, troviamo l’Italia, con addirittura 610 automobili ogni mille cittadini.
A livello mondiale, il settore è in fase di espansione. Rispetto a dieci anni fa, tra autoveicoli e veicoli commerciali, l’incremento delle immatricolazioni si aggira intorno al 44%, con Cina (+440%), Russia (+125%) e Brasile (+169%) sul podio dei mercati di distribuzione[3]. Sebbene il panorama automobilistico nei paesi occidentali, complice l’attuale congiuntura economica, stia vivendo un momento di seria difficoltà, le auto restano il mezzo di trasporto più utilizzato – con differenze specifiche per ogni nazione. Nel nostro paese, da un’elaborazione dell’Osservatorio sulla Mobilità Sostenibile di Airp, emerge che il 79,7% degli spostamenti urbani dello scorso anno è comunque avvenuto in auto, così come l’84,7% di quelli extraurbani[4].
Quali politiche efficaci di sostenibilità ambientale, sociale ed economica possono essere intraprese per bilanciare benefici e svantaggi del trasporto privato nella vita quotidiana e futura dei cittadini e del pianeta?
Paradossalmente, le politiche pubbliche indirizzate a modificare i comportamenti dei cittadini hanno ignorato un elemento imprescindibile, ovvero la comprensione dei fattori cognitivi che influenzano i comportamenti stessi dei cittadini. I modelli economici generalmente analizzano la scelta di preferire un mezzo di trasporto come il risultato di una razionale analisi costi-benefici. Se un cittadino decide di prendere l’automobile per muoversi, è perché i vantaggi strumentali che l’auto gli garantisce sono maggiori dei servizi forniti, per esempio, dal trasporto pubblico.
Questi modelli e le conseguenti politiche di intervento (regolazione dei prezzi, incentivi economici e campagne di educazione) si concentrano, però, su un unico aspetto della cognizione umana. Quello consapevole, razionale, riflessivo. Le scienze comportamentali, al contrario, insegnano come la maggior parte delle nostre decisioni sia dettata da processi cognitivi automatici e inconsci, che spesso deviano le nostre scelte da un’ideale economico di razionalità perfetta.
Un recente articolo pubblicato su Trends in Cognitive Sciences pone, per la prima volta a livello scientifico, l’accento su un aspetto trascurato dalle policy in tema di trasporti: l’indagine neuroscientifica del ruolo svolto dalle abitudini[5]. Dal punto di vista comportamentale, la scelta quotidiana di prendere l’auto, da soli, per percorrere il tragitto casa-lavoro, non deve essere vista come il solo risultato di una scelta consapevole e ponderata, ma come il perpetuarsi di un’abitudine consolidata. La maggior parte delle scelte di mobilità sono pattern di comportamenti abitudinari, che possono costituire una grande fonte di preoccupazione per le città sostenibili. Sapere come questi pattern si generano e consolidano fornisce gli strumenti corretti per poterli modificare, attraverso modelli di intervento maggiormente realistici, e non basati su supposizioni di efficacia.
Negli ultimi anni, infatti, le indagini neuroscientifiche hanno aperto la “scatola nera” delle abitudini, evidenziando promettenti linee di ricerca. Le abitudini sono innescate automaticamente da associazioni reiterate nel tempo tra azioni e stimoli contestuali presenti nell’ambiente. Una volta consolidate, le routine umane chiamano meno in causa aree della corteccia cerebrale deputate alla decisione riflessiva (come la corteccia frontale) rispetto ad aree come i nuclei della base (in particolare lo striato). Questi diversi gradi di attivazione si traducono in una maggiore impermeabilità ai tentativi di cambiamento dei comportamenti che fanno leva esclusivamente sulla modifica delle preferenze e delle intenzioni. Un esempio particolarmente istruttivo – e provocatorio – è fornito dagli studi sulla dipendenza dalle droghe, dove l’assunzione di specifiche sostanze dirotta il funzionamento di alcuni sistemi neurali di memoria e apprendimento. Avviene lo stesso con l’utilizzo dell’auto? Gli autori indicano una possibile analogia, mostrando come i meccanismi coinvolti possano essere in parte comuni[6]. Inoltre, fattori come lo stress – fortemente correlati con il pendolarismo – favoriscono la formazione e il rinforzo di abitudini, e ostacolano l’instaurarsi di comportamenti maggiormente consapevoli dal punto di vista ambientale. In questo caso, un connubio tra le ricerche in ambito cognitivo e quelle sul benessere soggettivo[7] potrebbe rivelare importanti scoperte per implementare interventi di behaviour change più efficaci.
Appurato che in tema di trasporti i processi cognitivi di valutazione razionale hanno una influenza limitata nello stabilire le scelte dei cittadini, non sorprende come gli attuali interventi non siano sufficienti per ridurre la dipendenza dall’auto. In tema di mobilità, gli investimenti per servizi pubblici e infrastrutture migliori devono essere supportati da innovative politiche pubbliche, che sappiano applicare i risultati delle scienze comportamentali e delle neuroscienze per progettare e sperimentare programmi che facciano leva sui fattori inconsci e riflessivi che alimentano le abitudini sostenibili e siano, così, maggiormente attrezzati per promuovere una diffusa cultura della consapevolezza ambientale[8].
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