Udienza generale di Francesco - Tutto il viaggio in Corea del Sud "in tre parole"
“Memoria”, “speranza” e infine “testimonianza”, che fanno pure rima: ovvero, come condensare in tre sole parole (secondo l'uso a lui caro di “tripartire” ogni argomento o tema di discorso) 11 discorsi, sei giorni di agende fittissime, 20.000 kilometri di viaggio tra andare e tornare dalla remota Corea del Sud, meta dell’ultima “esuberante” trasferta di Papa Francesco, tornato felicemente alla base lunedì sera così carico da trovare ancora l'energia per passare a santa Maria maggiore, sulla strada del Vaticano e lì omaggiare la Vergine con un mazzolino di fiori ricevuto da una bimba coreana alla partenza da Seoul.
Gesto di squisita delicatezza verso quella piccola e il popolo così affidato, tramite quel piccolo segno, alle "cure" benevole della famosa Salus Populi romani; ultima (in ordine di tempo), sicura prova di sensibilità non scontata nel destreggiarsi bene tra tutti i solenni e ufficiali impegni del programma, tra mille pensieri e fatiche, e trovare sempre un sorriso per accogliere ogni piccola ed improvvisata attenzione spontanea proveniente da chiunque fosse.
Ecco il dolce retrogusto del terzo viaggio internazionale di Bergoglio, ripercorso stamane in aula Nervi, com'è consuetudine ad ogni rientro in Vaticano, con la catechesi proposta ai circa 10.000 presenti, seguendo appunto il filo logico memoria-speranza-testimonianza: vale a dire, come spiegato, che in Corea "la Chiesa è custode della memoria e della speranza: è una famiglia spirituale in cui gli adulti trasmettono ai giovani la fiaccola della fede ricevuta dagli anziani; la memoria dei testimoni del passato diventa nuova testimonianza nel presente e speranza di futuro". E questo, nella prospettiva in cui Francesco li ha vissuti, è il nesso tra i due principali eventi del viaggio.
Primo, la beatificazione sabato a Seoul (dinanzi alla straripante folla di quasi un milione di fedeli) di 124 martiri coreani, Paul Jun Ji-Chung e compagni, minuscola porzione peraltro dell'esercito di oltre 10.000 vittime stimate di 100 anni terribili di persecuzioni anti-cristiane, nella Corea tra '700 e '800, con sevizie inenarrabili di cui furono scenario più di un luogo tra quelli inseriti nell'itinerario papale.
Secondo, gli incontri con gli entusiasti partecipanti alla Sesta Giornata asiatica della Gioventù, cui domenica pomeriggio ad Haemi è andato il caldissimo invito, in "stile" GP2, "non abbiate paura di portare la sapienza della fede in ogni ambito della vita sociale!", poiché "il continente asiatico, imbevuto di ricche tradizioni filosofiche e religiose, rimane una grande frontiera per la vostra testimonianza a Cristo", trattandosi come è noto del continente più popoloso e meno cattolico (3% circa) del globo.
Venendo dunque al nesso di cui sopra, "il giovane è sempre alla ricerca di qualcosa per cui valga la pena vivere, e il Martire dà testimonianza di qualcosa, anzi, di Qualcuno per cui vale la pena dare la vita", son parole di Francesco oggi in aula Nervi: "questa realtà è l'Amore di Dio, che ha preso carne in Gesù...". Altra sottolineatura in evidenza, dopo l'ampio risalto già avuto a Seoul e dintorni, "la memoria del ruolo primario che ebbero i laici sia agli albori della fede, sia nell’opera di evangelizzazione".
Così infatti è nata e cresciuta, senza inizialmente (caso più unico che raro) l'apporto di missionari stranieri, una piccola Chiesa, sì, cui si dichiara appartenente "solo" un coreano su dieci, ma la vitalità e il dinamismo di quel piccolo gregge manco se lo sognano altre chiese (europee soprattutto) di assai più antiche e illustre tradizioni. Una religione "straniera" che si è innestata però nella società coreana dal "di dentro", per il tramite anzitutto del fascino "culturale" esercitato da alcuni libri di vario argomento, di provenienza occidentale, su un manipolo di giovani tanto curiosi quanto ignari, inizialmente, di qualsiasi dottrina religiosa cristiana. Chiaro segno, lo ha letto il Papa con inappuntabile logica, di "come Cristo non annulla le culture, non sopprime il cammino dei popoli che attraverso i secoli e i millenni cercano la verità e praticano l’amore per Dio e il prossimo. Cristo non abolisce ciò che è buono, ma lo porta avanti, lo porta a compimento", nonostante timidezze e dubbi di oggigiorno, a tale riguardo, di tanta cultura cristiana occidentale in specie, ci sia consentito aggiungere.
E ancora, benché l'episodio oggi non sia stata rammentato, ai coreani non è sfuggita la commozione (confessata anche ai giornalisti al seguito sul volo del ritorno) nell'incontrare domenica a Seoul, celebrando la messa per la riconciliazione e la pace, una piccola delegazione di anziane "comfort women", le centinaia di migliaia di donne di cui l'impero giapponese, finché occupò la Corea nel 1945, fece "schiave sessuali" per i suoi eserciti. Altra ferita della storia che brucia ancora, in quelle lande, è la divisione della penisola coreana tra un nord e un sud formalmente in guerra, da ben 61 anni, dato che oggi vige ancora tra Seoul e Pyongyang un semplice armistizio. Tema vieppiù delicato da maneggiare anche per Francesco, che pure non lo ha evitato, esortando di nuovo oggi i fedeli riuniti in aula Nervi: "anche ora preghiamo affinché tutti i figli della terra coreana, che patiscono le conseguenze di guerre e divisioni, possano compiere un cammino di fraternità e di riconciliazione".
Intanto prima reazione ufficiale pervenuta stamane dalla Cina, sorvolata sia all'andata che al ritorno (prima volta) dal Papa, con annessa dichiarazione (sempre ai giornalisti al seguito) che il Papa avrebbe voglia anche di atterrare là (come mai un predecessore ha fatto) "anche domani! Eh sì... noi rispettiamo il popolo cinese, soltanto la Chiesa chiede libertà per il suo mestiere, il suo lavoro...". Un papa gesuita, scrivono China Daily e Global Times, è una buona carta per il Vaticano, data la lunga tradizione di rispetto e collaborazione della Società di Gesù con la Cina; segue richiamo però alle solite ed inaccettabili condizione su cui Pechino da decenni è irremovibile, rompere i rapporti con Taiwan e lasciare alla Chiesa patriottica cinese, controllata dal governo, la nomina dei vescovi.
Ultime due note di cronaca di segno opposto, nella mattinata di oggi. Presente in aula Paolo VI una piccola delegazione del San Lorenzo, l’undici rossoblu’ per cui batte il cuore di tifoso del Papa ("saludo a los campeones de América, al equipo de San Lorenzo, aquí presente, que es parte de mi identidad cultural"), freschi vincitori della prestigiosa Coppa libertadores, l’equivalente della Champions League europea.
Altra notizia arrivata ieri dall'Argentina è l'incidente stradale occorso ieri ad uno dei 16 nipoti di Jorge Bergoglio con la sua famiglia: "è morta la moglie, i due figli piccoli di due anni uno e di pochi mesi l’altro, e lui in questo momento è in stato critico" ha riferito lui. Perciò "vi ringrazio tanto, tanto, delle condoglianze e della preghiera".
“Memoria”, “speranza” e infine “testimonianza”, che fanno pure rima: ovvero, come condensare in tre sole parole (secondo l'uso a lui caro di “tripartire” ogni argomento o tema di discorso) 11 discorsi, sei giorni di agende fittissime, 20.000 kilometri di viaggio tra andare e tornare dalla remota Corea del Sud, meta dell’ultima “esuberante” trasferta di Papa Francesco, tornato felicemente alla base lunedì sera così carico da trovare ancora l'energia per passare a santa Maria maggiore, sulla strada del Vaticano e lì omaggiare la Vergine con un mazzolino di fiori ricevuto da una bimba coreana alla partenza da Seoul.
Gesto di squisita delicatezza verso quella piccola e il popolo così affidato, tramite quel piccolo segno, alle "cure" benevole della famosa Salus Populi romani; ultima (in ordine di tempo), sicura prova di sensibilità non scontata nel destreggiarsi bene tra tutti i solenni e ufficiali impegni del programma, tra mille pensieri e fatiche, e trovare sempre un sorriso per accogliere ogni piccola ed improvvisata attenzione spontanea proveniente da chiunque fosse.
Ecco il dolce retrogusto del terzo viaggio internazionale di Bergoglio, ripercorso stamane in aula Nervi, com'è consuetudine ad ogni rientro in Vaticano, con la catechesi proposta ai circa 10.000 presenti, seguendo appunto il filo logico memoria-speranza-testimonianza: vale a dire, come spiegato, che in Corea "la Chiesa è custode della memoria e della speranza: è una famiglia spirituale in cui gli adulti trasmettono ai giovani la fiaccola della fede ricevuta dagli anziani; la memoria dei testimoni del passato diventa nuova testimonianza nel presente e speranza di futuro". E questo, nella prospettiva in cui Francesco li ha vissuti, è il nesso tra i due principali eventi del viaggio.
Primo, la beatificazione sabato a Seoul (dinanzi alla straripante folla di quasi un milione di fedeli) di 124 martiri coreani, Paul Jun Ji-Chung e compagni, minuscola porzione peraltro dell'esercito di oltre 10.000 vittime stimate di 100 anni terribili di persecuzioni anti-cristiane, nella Corea tra '700 e '800, con sevizie inenarrabili di cui furono scenario più di un luogo tra quelli inseriti nell'itinerario papale.
Secondo, gli incontri con gli entusiasti partecipanti alla Sesta Giornata asiatica della Gioventù, cui domenica pomeriggio ad Haemi è andato il caldissimo invito, in "stile" GP2, "non abbiate paura di portare la sapienza della fede in ogni ambito della vita sociale!", poiché "il continente asiatico, imbevuto di ricche tradizioni filosofiche e religiose, rimane una grande frontiera per la vostra testimonianza a Cristo", trattandosi come è noto del continente più popoloso e meno cattolico (3% circa) del globo.
Venendo dunque al nesso di cui sopra, "il giovane è sempre alla ricerca di qualcosa per cui valga la pena vivere, e il Martire dà testimonianza di qualcosa, anzi, di Qualcuno per cui vale la pena dare la vita", son parole di Francesco oggi in aula Nervi: "questa realtà è l'Amore di Dio, che ha preso carne in Gesù...". Altra sottolineatura in evidenza, dopo l'ampio risalto già avuto a Seoul e dintorni, "la memoria del ruolo primario che ebbero i laici sia agli albori della fede, sia nell’opera di evangelizzazione".
Così infatti è nata e cresciuta, senza inizialmente (caso più unico che raro) l'apporto di missionari stranieri, una piccola Chiesa, sì, cui si dichiara appartenente "solo" un coreano su dieci, ma la vitalità e il dinamismo di quel piccolo gregge manco se lo sognano altre chiese (europee soprattutto) di assai più antiche e illustre tradizioni. Una religione "straniera" che si è innestata però nella società coreana dal "di dentro", per il tramite anzitutto del fascino "culturale" esercitato da alcuni libri di vario argomento, di provenienza occidentale, su un manipolo di giovani tanto curiosi quanto ignari, inizialmente, di qualsiasi dottrina religiosa cristiana. Chiaro segno, lo ha letto il Papa con inappuntabile logica, di "come Cristo non annulla le culture, non sopprime il cammino dei popoli che attraverso i secoli e i millenni cercano la verità e praticano l’amore per Dio e il prossimo. Cristo non abolisce ciò che è buono, ma lo porta avanti, lo porta a compimento", nonostante timidezze e dubbi di oggigiorno, a tale riguardo, di tanta cultura cristiana occidentale in specie, ci sia consentito aggiungere.
E ancora, benché l'episodio oggi non sia stata rammentato, ai coreani non è sfuggita la commozione (confessata anche ai giornalisti al seguito sul volo del ritorno) nell'incontrare domenica a Seoul, celebrando la messa per la riconciliazione e la pace, una piccola delegazione di anziane "comfort women", le centinaia di migliaia di donne di cui l'impero giapponese, finché occupò la Corea nel 1945, fece "schiave sessuali" per i suoi eserciti. Altra ferita della storia che brucia ancora, in quelle lande, è la divisione della penisola coreana tra un nord e un sud formalmente in guerra, da ben 61 anni, dato che oggi vige ancora tra Seoul e Pyongyang un semplice armistizio. Tema vieppiù delicato da maneggiare anche per Francesco, che pure non lo ha evitato, esortando di nuovo oggi i fedeli riuniti in aula Nervi: "anche ora preghiamo affinché tutti i figli della terra coreana, che patiscono le conseguenze di guerre e divisioni, possano compiere un cammino di fraternità e di riconciliazione".
Intanto prima reazione ufficiale pervenuta stamane dalla Cina, sorvolata sia all'andata che al ritorno (prima volta) dal Papa, con annessa dichiarazione (sempre ai giornalisti al seguito) che il Papa avrebbe voglia anche di atterrare là (come mai un predecessore ha fatto) "anche domani! Eh sì... noi rispettiamo il popolo cinese, soltanto la Chiesa chiede libertà per il suo mestiere, il suo lavoro...". Un papa gesuita, scrivono China Daily e Global Times, è una buona carta per il Vaticano, data la lunga tradizione di rispetto e collaborazione della Società di Gesù con la Cina; segue richiamo però alle solite ed inaccettabili condizione su cui Pechino da decenni è irremovibile, rompere i rapporti con Taiwan e lasciare alla Chiesa patriottica cinese, controllata dal governo, la nomina dei vescovi.
Ultime due note di cronaca di segno opposto, nella mattinata di oggi. Presente in aula Paolo VI una piccola delegazione del San Lorenzo, l’undici rossoblu’ per cui batte il cuore di tifoso del Papa ("saludo a los campeones de América, al equipo de San Lorenzo, aquí presente, que es parte de mi identidad cultural"), freschi vincitori della prestigiosa Coppa libertadores, l’equivalente della Champions League europea.
Altra notizia arrivata ieri dall'Argentina è l'incidente stradale occorso ieri ad uno dei 16 nipoti di Jorge Bergoglio con la sua famiglia: "è morta la moglie, i due figli piccoli di due anni uno e di pochi mesi l’altro, e lui in questo momento è in stato critico" ha riferito lui. Perciò "vi ringrazio tanto, tanto, delle condoglianze e della preghiera".
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