Padre Lombardi sull'arresto: "c'era rischio di fuga e inquinamento prove"
Prima viene la giustizia, poi semmai la misericordia pure così cara a Papa Francesco. Almeno “sei, sette anni di carcere, salvo ulteriori aggravanti di pena”, secondo la previsione del portavoce vaticano padre Lombardi, ora a Jozef Wesolowski non li toglierà nessuno, per abuso di minori e possesso di materiale pedo-pornografico, accuse già costate all’ex nunzio a Santo Domingo un processo canonico e la dimissione dallo stato clericale. Perché un caso “così grave e delicato”, lo definiva nella serata di ieri la secca dichiarazione del direttore della Sala Stampa vaticana, va affrontato “senza ritardi, con il giusto e necessario rigore”.
E più “giusto” e “necessario” di così non si può, giacché l’interessato è agli arresti domiciliari da ieri, pur col permesso (per motivi di salute) di risiedere nei più confortevoli (si presume) locali del Collegio dei penitenizieri, anziché nella cella che fu due anni fa di Paolo Gabriele, il “corvo” fedifrago responsabile, nella veste di maggiordomo, della sottrazione di documenti privati dalla scrivania di Benedetto XVI.
Era il 2012, l’anno della bufera di “vatileax”. Ma dell’arresto di un prelato di così alto rango (anche se ex) in Vaticano, nessuna cronaca delle tante apparse su giornali e TV registra precedenti significativi. E gli "addebiti” su cui poggia l'arresto, informa oggi lo stesso padre Lombardi, poggiano sia sulla documentazione arrivata dalla Repubblica dominicana, sia sugli atti del processo canonico già tenuto presso la Congregazione per la dottrina della fede, dove pende però ancora una richiesta di appello alla sentenza di perdita dello stato clericale.
Ecco dunque il perché del provvedimento disposto dal Promotore di Giustizia (il “PM” vaticano) Gian Piero Milano con un'iniziativa “conseguente alla volontà espressa del Papa”, rimarcava la dichiarazione di ieri. Provvedimento che si è reso necessario per il rischio di fuga dell’ex nunzio e di inquinamento di prove, è stato quindi spiegato oggi ai giornalisti. Quando Milano, compiute le sue indagini, avanzerà al tribunale una richiesta di rinvio a giudizio, allora potrà iniziare il processo. E tutto questo iter richiederà “alcuni mesi, ad esempio gli ultimi di quest’anno e i primi del prossimo anno”, riferisce ancora Lombardi.
Tempi comunque rapidi, in raffronto a quelli della giustizia italiana, che seppur del tutto estranea alla vicenda potrebbe comunque esservi coinvolta poiché un curioso ma non troppo noto articolo dei patti lateranensi stabilisce che il Vaticano ha facoltà di chiedere all’Italia di fare scontare nelle nostre già affollate carceri le pene detentive comminate dentro le mura leonine. E non sarebbe comunque, per Wesolowski, la soluzione peggiore, dato che già la magistratura dominicana era sulle sue tracce. E le carceri di laggiù, è facile intuire, han poco a che vedere con le spiagge da favola dove l’ex arcivescovo adescava le sue vittime.
Se poi per “Paoletto” Gabriele, condannato in tribunale a 18 mesi di reclusione, intervenne la prevedibile grazia di Papa Ratzinger, per Wesolowski invece ora tira tutta un'altra aria. Sessantaseienne, polacco, ordinato prete nel ’72 dall’allora cardinale Wojtyla e quindi vescovo nel 2000, sempre per imposizione delle mani di Giovanni Paolo II, l’ex monsignore ha lavorato nella diplomazia della Santa Sede come nunzio in Bolivia, in Asia centrale e dal 2008 nella Repubblica dominicana, da dove sono arrivate a Roma voci e non solo, a suo carico, di molestie sessuali su minori, adescati in spiagge e altri luoghi dove si esercita la prostituzione minorile.
L’arresto di un ex arcivescovo e nunzio apostolico (gli “ambasciatori” del Papa nel mondo) è il passo finora più clamoroso sulla linea “tolleranza zero” sostenuta da Francesco fin dall’inizio del Pontificato, poiché abusare di un bambino “è come fare una Messa nera”, era stato il paragone usato da lui stesso a maggio scorso coi giornalisti, sul volo del ritorno a Roma dalla Terrasanta: “tu devi portarlo alla santità e lo porti a un problema che durerà tutta la vita…” E “in questo momento”, aveva annotato Bergoglio, “ci sono tre vescovi sotto indagine: e uno è già condannato e si sta valutando la pena da comminare. Non ci sono privilegi!”.
Nella cronistoria del pontificato spicca poi la messa e l’incontro a Santa Marta, lo scorso 7 luglio, con alcune vittime di abusi sessuali da parte del clero, accompagnati dai membri della Pontificia Commissione per la tutela dei minori ugualmente costituita per volontà di Francesco. “Chiedo perdono anche per i peccati di omissione da parte dei capi della Chiesa che non hanno risposto in maniera adeguata alle denunce di abuso… Questo, inoltre, ha recato una sofferenza ulteriore a quanti erano stati abusati e ha messo in pericolo altri minori che si trovavano in situazione di rischio”, furono allora le sue parole.
Ora “la fase istruttoria del procedimento penale a carico di Wesolowski richiede una comprensibile riservatezza", ha precisato oggi ancora il portavoce vaticano, che già prima della bufera scoppiata ieri sera aveva provveduto lo scorso 25 agosto ad aggiornare i giornalisti con un comunicato, dove è scritto che l’altro processo, quello canonico, di secondo grado a carico di Wesolowski potrebbe andare a sentenza il prossimo mese di ottobre. Ma già con la condanna di primo grado l’ex nunzio “ha già cessato le funzioni diplomatiche e perduto la connessa immunità”. Perciò “potrebbe essere soggetto a procedimenti giudiziari anche da parte di altre magistrature che ne abbiano eventuale titolo”.
di Paolo Fucili
Prima viene la giustizia, poi semmai la misericordia pure così cara a Papa Francesco. Almeno “sei, sette anni di carcere, salvo ulteriori aggravanti di pena”, secondo la previsione del portavoce vaticano padre Lombardi, ora a Jozef Wesolowski non li toglierà nessuno, per abuso di minori e possesso di materiale pedo-pornografico, accuse già costate all’ex nunzio a Santo Domingo un processo canonico e la dimissione dallo stato clericale. Perché un caso “così grave e delicato”, lo definiva nella serata di ieri la secca dichiarazione del direttore della Sala Stampa vaticana, va affrontato “senza ritardi, con il giusto e necessario rigore”.
E più “giusto” e “necessario” di così non si può, giacché l’interessato è agli arresti domiciliari da ieri, pur col permesso (per motivi di salute) di risiedere nei più confortevoli (si presume) locali del Collegio dei penitenizieri, anziché nella cella che fu due anni fa di Paolo Gabriele, il “corvo” fedifrago responsabile, nella veste di maggiordomo, della sottrazione di documenti privati dalla scrivania di Benedetto XVI.
Era il 2012, l’anno della bufera di “vatileax”. Ma dell’arresto di un prelato di così alto rango (anche se ex) in Vaticano, nessuna cronaca delle tante apparse su giornali e TV registra precedenti significativi. E gli "addebiti” su cui poggia l'arresto, informa oggi lo stesso padre Lombardi, poggiano sia sulla documentazione arrivata dalla Repubblica dominicana, sia sugli atti del processo canonico già tenuto presso la Congregazione per la dottrina della fede, dove pende però ancora una richiesta di appello alla sentenza di perdita dello stato clericale.
Ecco dunque il perché del provvedimento disposto dal Promotore di Giustizia (il “PM” vaticano) Gian Piero Milano con un'iniziativa “conseguente alla volontà espressa del Papa”, rimarcava la dichiarazione di ieri. Provvedimento che si è reso necessario per il rischio di fuga dell’ex nunzio e di inquinamento di prove, è stato quindi spiegato oggi ai giornalisti. Quando Milano, compiute le sue indagini, avanzerà al tribunale una richiesta di rinvio a giudizio, allora potrà iniziare il processo. E tutto questo iter richiederà “alcuni mesi, ad esempio gli ultimi di quest’anno e i primi del prossimo anno”, riferisce ancora Lombardi.
Tempi comunque rapidi, in raffronto a quelli della giustizia italiana, che seppur del tutto estranea alla vicenda potrebbe comunque esservi coinvolta poiché un curioso ma non troppo noto articolo dei patti lateranensi stabilisce che il Vaticano ha facoltà di chiedere all’Italia di fare scontare nelle nostre già affollate carceri le pene detentive comminate dentro le mura leonine. E non sarebbe comunque, per Wesolowski, la soluzione peggiore, dato che già la magistratura dominicana era sulle sue tracce. E le carceri di laggiù, è facile intuire, han poco a che vedere con le spiagge da favola dove l’ex arcivescovo adescava le sue vittime.
Se poi per “Paoletto” Gabriele, condannato in tribunale a 18 mesi di reclusione, intervenne la prevedibile grazia di Papa Ratzinger, per Wesolowski invece ora tira tutta un'altra aria. Sessantaseienne, polacco, ordinato prete nel ’72 dall’allora cardinale Wojtyla e quindi vescovo nel 2000, sempre per imposizione delle mani di Giovanni Paolo II, l’ex monsignore ha lavorato nella diplomazia della Santa Sede come nunzio in Bolivia, in Asia centrale e dal 2008 nella Repubblica dominicana, da dove sono arrivate a Roma voci e non solo, a suo carico, di molestie sessuali su minori, adescati in spiagge e altri luoghi dove si esercita la prostituzione minorile.
L’arresto di un ex arcivescovo e nunzio apostolico (gli “ambasciatori” del Papa nel mondo) è il passo finora più clamoroso sulla linea “tolleranza zero” sostenuta da Francesco fin dall’inizio del Pontificato, poiché abusare di un bambino “è come fare una Messa nera”, era stato il paragone usato da lui stesso a maggio scorso coi giornalisti, sul volo del ritorno a Roma dalla Terrasanta: “tu devi portarlo alla santità e lo porti a un problema che durerà tutta la vita…” E “in questo momento”, aveva annotato Bergoglio, “ci sono tre vescovi sotto indagine: e uno è già condannato e si sta valutando la pena da comminare. Non ci sono privilegi!”.
Nella cronistoria del pontificato spicca poi la messa e l’incontro a Santa Marta, lo scorso 7 luglio, con alcune vittime di abusi sessuali da parte del clero, accompagnati dai membri della Pontificia Commissione per la tutela dei minori ugualmente costituita per volontà di Francesco. “Chiedo perdono anche per i peccati di omissione da parte dei capi della Chiesa che non hanno risposto in maniera adeguata alle denunce di abuso… Questo, inoltre, ha recato una sofferenza ulteriore a quanti erano stati abusati e ha messo in pericolo altri minori che si trovavano in situazione di rischio”, furono allora le sue parole.
Ora “la fase istruttoria del procedimento penale a carico di Wesolowski richiede una comprensibile riservatezza", ha precisato oggi ancora il portavoce vaticano, che già prima della bufera scoppiata ieri sera aveva provveduto lo scorso 25 agosto ad aggiornare i giornalisti con un comunicato, dove è scritto che l’altro processo, quello canonico, di secondo grado a carico di Wesolowski potrebbe andare a sentenza il prossimo mese di ottobre. Ma già con la condanna di primo grado l’ex nunzio “ha già cessato le funzioni diplomatiche e perduto la connessa immunità”. Perciò “potrebbe essere soggetto a procedimenti giudiziari anche da parte di altre magistrature che ne abbiano eventuale titolo”.
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