mercoledì, settembre 24, 2014
Sempre più giù. Ma fino a quando?

di Silvio Foini

La crisi diviene, giorno dopo giorno, sempre più insopportabile. Il mondo del lavoro è stremato e giace allo sfascio. Quotidianamente sentiamo promesse e rassicurazioni da esponenti del governo ma i fatti latitano. Una epidemia paurosa sta falcidiando aziende che fino ad un decennio fa erano considerate i fiori all’occhiello della nostra terra. Chi è fortunato sopravvive con la cassa integrazione guadagni che tuttavia mostra anch’essa la corda. Le pastoie burocratiche soffocano chi si propone di fare impresa: le semplificazioni sono solo sulla carta. Provare per credere diceva anni fa qualcuno. Purtroppo è realtà. Le tasse, tutti ne siamo consci, è di dovere versarle, ma quando sono troppe, sono troppe. L’iva, ormai alle stelle, contribuisce a bloccare i consumi già ridotti al lumicino. Ed e’ di oggi la bella pensata scaturita da qualche mente fertile che sta a Roma: ridare impulso ai consumi facendo affluire nei portafogli vuoti dei lavoratori la metà del t.f.r. Questa misura durerebbe da uno fino a un massimo di tre anni ed inizialmente solo per i dipendenti privati. Però resterebbe da sciogliere un problema: quello delle “compensazioni alle aziende”. La scelta spetterebbe comunque al lavoratore.

La disposizione entrerebbe nella Legge di Stabilità, che il Governo punta varare il prossimo 10 ottobre, insieme alla stabilizzazione degli 80 euro e alla riduzione dell'Irap. Intanto, uno dei settori trainanti dell’impresa Italia, l’edilizia, è praticamente morta e senza speranze di tornare a rivivere almeno nell’immediato. Ovunque cada lo sguardo, persino su, nell’estremo Nord, Lombardia in testa, scheletri di edifici incompiuti e abbandonati ai senza tetto, per lo più nord africani che vi bivaccano senza alcun tipo di servizio immersi nel sudiciume. Le imprese edili muoiono come mosche lasciando a spasso padri di famiglia, veri professionisti dell’arte muraria. Patrimonio che va dissolvendosi. Attorno all’edilizia, gravitano aziende satelliti che si trovano, a loro volta, a chiudere. Parlo di falegnami, idraulici, vetrai, marmisti e di tutto quell’indotto che una volta viveva del proprio lavoro rompendosi la schiena anche undici dodici ore al giorno ma che lo faceva volentieri, per passione e per l’orgoglio di assicurare benessere alle proprie famiglie. E adesso? Cosa facciamo? Non deve destare meraviglia che il 33% della popolazione abbia timore della povertà. Non è più assicurato il futuro dei nostri figli. Povera Italia, “Sì bella e perduta.”

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