"Lavori in corso" al sinodo dei vescovi
di Paolo Fucili
La strada da fare, quella è ancora lunga, tanto che già un altro sinodo è in cantiere per ottobre 2015, dal titolo annunciato giusto stamane: “la vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa nel mondo contemporaneo”. Ma comunque vada, servono scelte pastorali “coraggiose”, le ha chiamate oggi il cardinale Erdo nell’aula dei lavori sinodali, per “vivere la fedeltà al Vangelo della famiglia come misericordioso prendersi cura di tutte le situazioni di fragilità”; e non invece usare quella che mons. Forte chiama "logica dell'accetta, la logica del 'tutto o niente' che non è mai quella vincente", perché "così si giudica, anziché capire".
Per dirla in gergo calcistico, ecco l’inizio secondo tempo di un equilibrato match giocato sì con intensità, ma perlopiù a centrocampo finora. Metafora che rende bene l’idea di due schieramenti a confronto, anche se a un sinodo né si vince né si perde, semmai "si cammina insieme”, come vuole l’etimologia della parola, “per trovare vie di verità e di misericordia per tutti”, è l’auspicio finale dell'odierna “relatio post disceptationem”; trattasi, per i non addetti ai lavori, dell’ampia relazione che il "relatore generale" (il card. Erdo, nella fattispecie) traccia a metà agenda di ogni sinodo, sintetizzando temi e proposte fin lì emersi perché il confronto su di essi prosegua poi nei cosiddetti “circoli minori”, gruppi più ristretti di padri sinodali suddivisi per lingue parlate.
Nella sostanza, chiusa questa necessaria parentesi tecnica, il "focus" è sempre “quali possibilità siano date ai coniugi che vivono il fallimento del loro matrimonio, ovvero come sia possibile offrire loro l’aiuto di Cristo attraverso il ministero della Chiesa”, come Erdo l’ha formulato. Traduzione, accesso ai sacramenti (Penitenza ed Eucarestia) sì o no per i divorziati che vivono una nuova unione: “alcuni”, riferisce dunque l'arcivescovo di Budapest, “hanno argomentato a favore della disciplina attuale in forza del suo fondamento teologico”, mentre “altri si sono espressi per una maggiore apertura a condizioni ben precise quando si tratta di situazioni che non possono essere sciolte senza determinare nuove ingiustizie e sofferenze”. E siccome "la comunione o si dà, o non si dà", ha spiegato poi Erdo alla stampa, per venire a capo del dilemma sarà comunque necessario ancora un approfondimento sia “teologico”, sia della “dimensione morale della problematica”, suggerisce la "relatio" senza sbilanciarsi troppo, dato il suo compito “istituzionale di tracciare un “riassunto” delle puntate precedenti senza indirizzare il successivo dibattito in un senso o nell’altro.
In undici cartelle di testo proposte stamane all’assemblea, riunita di nuovo dopo la “vacanza” di sabato e di ieri, gli accenti che suonano più “nuovi” riguardano semmai matrimoni civili e convivenze, tema che pure, per numeri, è forse anche più rilevante della comunione ai divorziati risposati: categoria numerosa anch’essa, tra cui però molti vivono con indifferenza l’impossibilità di confessarsi e comunicarsi. Perciò, annota Erdo, il diffondersi della “prassi” delle convivenze in specie, non può che essere annoverato tra le “sfide” della pastorale familiare oggi. Con la postilla che alla Chiesa compete pure il “riconoscere quei semi del Verbo sparsi oltre i suoi confini visibili e sacramentali”, per dirla come 50 anni fa al Concilio coi “semina verbi” della Gaudium et spes, citazione che ha suggestionato molto in positivo ("sembra di respirare lo spirito del Concilio") il fitto dibattito successivo (41 interventi).
Detto altrimenti ancora, “la Chiesa si volge con rispetto a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto e imperfetto, apprezzando più i valori positivi che custodiscono, anziché i limiti e le mancanze”. L’annuncio del Vangelo come lo vuole il Sinodo deve quindi presentar sì “con chiarezza l’ideale”, senza però trascurare quel che di “costruttivo” c’è in situazioni non ancora o non più corrispondenti ad esso vuoi per la “mentalità generale contraria agli impegni definitivi”, vuoi perché ancora mancano sicurezze su lavoro e relativo stipendio, vuoi perché in molti paesi sposarsi è un “lusso”, hanno raccontato fin qui molti interventi. E tuttavia “anche in tali unioni è possibile cogliere autentici valori familiari o almeno il desiderio di essi”, da cui partire con "l'accompagnamento pastorale [...] verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo”.
Spazio inoltre al tema degli omosessuali, ai punti 51-53 della relatio, dove si legge che essi "hanno doti e qualità da offrire alle comunità cristiane"; dunque vanno accolti ma "senza compromettere la dottrina su famiglia e matrimonio", giacché le unioni gay non possono essere equiparate al matrimonio, né è giusto parlar di "famiglia" in riferimento ad esse. Sottolineatura richiamata anche dal segretario speciale mons. Forte parlando poi coi giornalisti, con l'impegnativa aggiunta (rispetto al più equilibrato testo della "relatio") che "le persone coinvolte in queste unioni hanno diritti che devono essere tutelati", senza escludere anche una "codificazione" di essi, come "questione di civiltà e rispetto della dignità delle persone".
E ancora, in sintesi, sotto esame la "mentalità" secondo cui aver figli è una semplice variabile nel progettare la vita di coppia, anziché "esigenza intrinseca dell'amore coniugale". Ma anche in questo ambito, come in altri, suggeriscono i padri sinodali, ci vuole un "linguaggio realista", per partire dall'ascolto delle persone e "dar ragione della bellezza e verità di un'apertura incondizionata alla vita come ciò di cui l'amore umano ha bisogno, per essere vissuto in pienezza".
Ci vorrebbe un cartello "lavori in corso", ha sintetizzato con una battuta Forte, sottolineando che l'esperienza del sinodo in corso è una bella scuola di "chiesa in ascolto, in ricerca". Quel che la "relatio" chiama più o meno "conversione missionaria", spiegando che non basta un Vangelo "teorico" o "sganciato dai problemi reali delle persone"; al contrario, "l'annuncio deve far sperimentare che il Vangelo della famiglia è risposta alle attese più profonde della persona umana". Perché su una cosa almeno (si spera) non ci piove, e se così non fosse il "camminare insieme" sarebbe solo un vagare senza meta: "i grandi valori del matrimonio e della famiglia cristiana corrispondono alla ricerca che attraversa l'esistenza umana anche in un tempo segnato dall'individualismo e dall'edonismo".
di Paolo Fucili
La strada da fare, quella è ancora lunga, tanto che già un altro sinodo è in cantiere per ottobre 2015, dal titolo annunciato giusto stamane: “la vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa nel mondo contemporaneo”. Ma comunque vada, servono scelte pastorali “coraggiose”, le ha chiamate oggi il cardinale Erdo nell’aula dei lavori sinodali, per “vivere la fedeltà al Vangelo della famiglia come misericordioso prendersi cura di tutte le situazioni di fragilità”; e non invece usare quella che mons. Forte chiama "logica dell'accetta, la logica del 'tutto o niente' che non è mai quella vincente", perché "così si giudica, anziché capire".
Per dirla in gergo calcistico, ecco l’inizio secondo tempo di un equilibrato match giocato sì con intensità, ma perlopiù a centrocampo finora. Metafora che rende bene l’idea di due schieramenti a confronto, anche se a un sinodo né si vince né si perde, semmai "si cammina insieme”, come vuole l’etimologia della parola, “per trovare vie di verità e di misericordia per tutti”, è l’auspicio finale dell'odierna “relatio post disceptationem”; trattasi, per i non addetti ai lavori, dell’ampia relazione che il "relatore generale" (il card. Erdo, nella fattispecie) traccia a metà agenda di ogni sinodo, sintetizzando temi e proposte fin lì emersi perché il confronto su di essi prosegua poi nei cosiddetti “circoli minori”, gruppi più ristretti di padri sinodali suddivisi per lingue parlate.
Nella sostanza, chiusa questa necessaria parentesi tecnica, il "focus" è sempre “quali possibilità siano date ai coniugi che vivono il fallimento del loro matrimonio, ovvero come sia possibile offrire loro l’aiuto di Cristo attraverso il ministero della Chiesa”, come Erdo l’ha formulato. Traduzione, accesso ai sacramenti (Penitenza ed Eucarestia) sì o no per i divorziati che vivono una nuova unione: “alcuni”, riferisce dunque l'arcivescovo di Budapest, “hanno argomentato a favore della disciplina attuale in forza del suo fondamento teologico”, mentre “altri si sono espressi per una maggiore apertura a condizioni ben precise quando si tratta di situazioni che non possono essere sciolte senza determinare nuove ingiustizie e sofferenze”. E siccome "la comunione o si dà, o non si dà", ha spiegato poi Erdo alla stampa, per venire a capo del dilemma sarà comunque necessario ancora un approfondimento sia “teologico”, sia della “dimensione morale della problematica”, suggerisce la "relatio" senza sbilanciarsi troppo, dato il suo compito “istituzionale di tracciare un “riassunto” delle puntate precedenti senza indirizzare il successivo dibattito in un senso o nell’altro.
In undici cartelle di testo proposte stamane all’assemblea, riunita di nuovo dopo la “vacanza” di sabato e di ieri, gli accenti che suonano più “nuovi” riguardano semmai matrimoni civili e convivenze, tema che pure, per numeri, è forse anche più rilevante della comunione ai divorziati risposati: categoria numerosa anch’essa, tra cui però molti vivono con indifferenza l’impossibilità di confessarsi e comunicarsi. Perciò, annota Erdo, il diffondersi della “prassi” delle convivenze in specie, non può che essere annoverato tra le “sfide” della pastorale familiare oggi. Con la postilla che alla Chiesa compete pure il “riconoscere quei semi del Verbo sparsi oltre i suoi confini visibili e sacramentali”, per dirla come 50 anni fa al Concilio coi “semina verbi” della Gaudium et spes, citazione che ha suggestionato molto in positivo ("sembra di respirare lo spirito del Concilio") il fitto dibattito successivo (41 interventi).
Detto altrimenti ancora, “la Chiesa si volge con rispetto a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto e imperfetto, apprezzando più i valori positivi che custodiscono, anziché i limiti e le mancanze”. L’annuncio del Vangelo come lo vuole il Sinodo deve quindi presentar sì “con chiarezza l’ideale”, senza però trascurare quel che di “costruttivo” c’è in situazioni non ancora o non più corrispondenti ad esso vuoi per la “mentalità generale contraria agli impegni definitivi”, vuoi perché ancora mancano sicurezze su lavoro e relativo stipendio, vuoi perché in molti paesi sposarsi è un “lusso”, hanno raccontato fin qui molti interventi. E tuttavia “anche in tali unioni è possibile cogliere autentici valori familiari o almeno il desiderio di essi”, da cui partire con "l'accompagnamento pastorale [...] verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo”.
Spazio inoltre al tema degli omosessuali, ai punti 51-53 della relatio, dove si legge che essi "hanno doti e qualità da offrire alle comunità cristiane"; dunque vanno accolti ma "senza compromettere la dottrina su famiglia e matrimonio", giacché le unioni gay non possono essere equiparate al matrimonio, né è giusto parlar di "famiglia" in riferimento ad esse. Sottolineatura richiamata anche dal segretario speciale mons. Forte parlando poi coi giornalisti, con l'impegnativa aggiunta (rispetto al più equilibrato testo della "relatio") che "le persone coinvolte in queste unioni hanno diritti che devono essere tutelati", senza escludere anche una "codificazione" di essi, come "questione di civiltà e rispetto della dignità delle persone".
E ancora, in sintesi, sotto esame la "mentalità" secondo cui aver figli è una semplice variabile nel progettare la vita di coppia, anziché "esigenza intrinseca dell'amore coniugale". Ma anche in questo ambito, come in altri, suggeriscono i padri sinodali, ci vuole un "linguaggio realista", per partire dall'ascolto delle persone e "dar ragione della bellezza e verità di un'apertura incondizionata alla vita come ciò di cui l'amore umano ha bisogno, per essere vissuto in pienezza".
Ci vorrebbe un cartello "lavori in corso", ha sintetizzato con una battuta Forte, sottolineando che l'esperienza del sinodo in corso è una bella scuola di "chiesa in ascolto, in ricerca". Quel che la "relatio" chiama più o meno "conversione missionaria", spiegando che non basta un Vangelo "teorico" o "sganciato dai problemi reali delle persone"; al contrario, "l'annuncio deve far sperimentare che il Vangelo della famiglia è risposta alle attese più profonde della persona umana". Perché su una cosa almeno (si spera) non ci piove, e se così non fosse il "camminare insieme" sarebbe solo un vagare senza meta: "i grandi valori del matrimonio e della famiglia cristiana corrispondono alla ricerca che attraversa l'esistenza umana anche in un tempo segnato dall'individualismo e dall'edonismo".
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