Riparte la campagna Every One, lanciata anche in Italia dall’organizzazione umanitaria Save the Children, perché ognuno possa contribuire a salvare - con un'offerta o un sms solidale - oltre 6 milioni di bambini, che ogni anno muoiono nel mondo per cause prevenibili, come documenta il Rapporto “Nati per morire” pubblicato oggi. La raccolta fondi proseguirà per un mese nelle piazze di Milano, Roma e Bari. Roberta Gisotti ha intervistato il direttore generale di Save the Children- Italia, Valerio Neri: ascolta
Radio Vaticana - 6 milioni e 300 mila bambini non arrivano ai 5 anni, fra questi 2 milioni e 800 mila neonati non festeggiano neanche un compleanno. In fondo alla lista nera sono Somalia, Ciad, Niger, Centrafrica, Eritrea, Repubblica Democratica del Congo, Burkina Faso, Tanzania e Mozambico. Tutti Paesi africani, ma nella sola India muoiono circa un milione di bimbi l’anno. E le cause sono malattie facilmente curabili come la diarrea, o la mancanza di cibo o il freddo . E poi c’è la nuova emergenza di Ebola in Liberia, Guinea e Sierra Leone dove a rischio di contagio sono 2 milioni mezzo di bambini.
D. - Valerio Neri, quali sono gli obiettivi della campagna Every One, avviata già nel 2009, e quali risultati avete raggiunto?
R. – Quando abbiamo cominciato, moriva un bambino ogni tre secondi – immaginate di contare uno, due, tre – oggi muore un bambino ogni cinque secondi! Voglio dire, è sempre uno scandalo, ma è un miglioramento reale. Ed il successo, lo voglio dire chiaro, dipende anche da tutti noi, perché vanno bene i grandi governi, ma molti fondi che noi andiamo a spendere in questi Paesi, dipendono dalla gente normale, come immagino lei che mi intervista, come immagino le persone che ci stanno sentendo. Bastano due euro per comprare alcuni vaccini; bastano due euro per comprare una siringa, un anti diarroico o dei sali minerali. Anzi, costano assai meno: una pillola antimalarica costa 0.25 centesimi. Quindi, noi lanciamo la campagna di raccolta fondi e chiediamo anche un sms al 45508. Sono solo due euro, ma vi assicuro che, nei Paesi dove stiamo andando a lavorare, fanno la differenza fra la vita e la morte.
D. – Come sta operando Save the Children nei Paesi più colpiti da questo problema di mortalità infantile?
R. – Prepariamo operatori sanitari e li mandiamo con mezzi molto semplici - a volte la bicicletta è un po’ il simbolo di queste persone - nei Paesi anche più remoti dell’Africa e dell’Asia, in cui lavoriamo, per raggiungere i villaggi e aiutare le madri a sapere quelle poche cose, che già sapendole costituiscono il salvavita per i loro figli. Per esempio, l’allattamento al seno, che va comunque protratto per sei mesi. Non vanno date altre sostanze al bambino, che magari va portato anche appresso con il marsupio nei campi, e non lasciato alla nonna o alla sorella, che inevitabilmente dopo i primi mesi gli farebbero una pappetta con miglio ed altre sostanze locali e con acqua, però, non perfettamente pulita, e questo svilupperebbe una diarrea, una dissenteria che potrebbe provocare la morte. Save the children porta, quindi, con gli operatori sanitari molta informazione di igiene di base e poi anche poche, chiare indicazioni, per assistere al parto in maniera efficace. A volte i bambini nascono con una piccola difficoltà respiratoria e va fatta subito una semplice operazione manuale, con un piccolo strumento. Non ci vuole un neurochirurgo per fare una cosa così, basterebbe una persona qualsiasi, purché sapesse cosa fare. Fare questo anche nei villaggi più remoti salva molti, molti bambini. Immaginate che un milione di bambini muore il primo giorno di vita.
D. – In quanti Paesi riuscite a portare la vostra opera di educazione e di assistenza?
R. – Dobbiamo concentrarci nei Paesi più poveri. Questa campagna si rivolge particolarmente ad una ventina di Paesi, ovviamente, come lei ricordava, moltissimi della fascia sub-sahariana dell’Africa ma anche Paesi dell’America del Sud, oltre ad India, Vietnam e altri Paesi dell’Asia orientale e centrale.
Radio Vaticana - 6 milioni e 300 mila bambini non arrivano ai 5 anni, fra questi 2 milioni e 800 mila neonati non festeggiano neanche un compleanno. In fondo alla lista nera sono Somalia, Ciad, Niger, Centrafrica, Eritrea, Repubblica Democratica del Congo, Burkina Faso, Tanzania e Mozambico. Tutti Paesi africani, ma nella sola India muoiono circa un milione di bimbi l’anno. E le cause sono malattie facilmente curabili come la diarrea, o la mancanza di cibo o il freddo . E poi c’è la nuova emergenza di Ebola in Liberia, Guinea e Sierra Leone dove a rischio di contagio sono 2 milioni mezzo di bambini.
D. - Valerio Neri, quali sono gli obiettivi della campagna Every One, avviata già nel 2009, e quali risultati avete raggiunto?
R. – Quando abbiamo cominciato, moriva un bambino ogni tre secondi – immaginate di contare uno, due, tre – oggi muore un bambino ogni cinque secondi! Voglio dire, è sempre uno scandalo, ma è un miglioramento reale. Ed il successo, lo voglio dire chiaro, dipende anche da tutti noi, perché vanno bene i grandi governi, ma molti fondi che noi andiamo a spendere in questi Paesi, dipendono dalla gente normale, come immagino lei che mi intervista, come immagino le persone che ci stanno sentendo. Bastano due euro per comprare alcuni vaccini; bastano due euro per comprare una siringa, un anti diarroico o dei sali minerali. Anzi, costano assai meno: una pillola antimalarica costa 0.25 centesimi. Quindi, noi lanciamo la campagna di raccolta fondi e chiediamo anche un sms al 45508. Sono solo due euro, ma vi assicuro che, nei Paesi dove stiamo andando a lavorare, fanno la differenza fra la vita e la morte.
D. – Come sta operando Save the Children nei Paesi più colpiti da questo problema di mortalità infantile?
R. – Prepariamo operatori sanitari e li mandiamo con mezzi molto semplici - a volte la bicicletta è un po’ il simbolo di queste persone - nei Paesi anche più remoti dell’Africa e dell’Asia, in cui lavoriamo, per raggiungere i villaggi e aiutare le madri a sapere quelle poche cose, che già sapendole costituiscono il salvavita per i loro figli. Per esempio, l’allattamento al seno, che va comunque protratto per sei mesi. Non vanno date altre sostanze al bambino, che magari va portato anche appresso con il marsupio nei campi, e non lasciato alla nonna o alla sorella, che inevitabilmente dopo i primi mesi gli farebbero una pappetta con miglio ed altre sostanze locali e con acqua, però, non perfettamente pulita, e questo svilupperebbe una diarrea, una dissenteria che potrebbe provocare la morte. Save the children porta, quindi, con gli operatori sanitari molta informazione di igiene di base e poi anche poche, chiare indicazioni, per assistere al parto in maniera efficace. A volte i bambini nascono con una piccola difficoltà respiratoria e va fatta subito una semplice operazione manuale, con un piccolo strumento. Non ci vuole un neurochirurgo per fare una cosa così, basterebbe una persona qualsiasi, purché sapesse cosa fare. Fare questo anche nei villaggi più remoti salva molti, molti bambini. Immaginate che un milione di bambini muore il primo giorno di vita.
D. – In quanti Paesi riuscite a portare la vostra opera di educazione e di assistenza?
R. – Dobbiamo concentrarci nei Paesi più poveri. Questa campagna si rivolge particolarmente ad una ventina di Paesi, ovviamente, come lei ricordava, moltissimi della fascia sub-sahariana dell’Africa ma anche Paesi dell’America del Sud, oltre ad India, Vietnam e altri Paesi dell’Asia orientale e centrale.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.