lunedì, ottobre 13, 2014
“Stati Uniti e Gran Bretagna non vogliono sconfiggere lo Stato islamico ma creare divisioni all’interno dell’Islam”.  

Radio Vaticana - E’ duro l’attacco della guida suprema iraniana l’ayatollah Ali Khamenei, davanti allo stallo dei raid della coalizione internazionale contro le postazioni dei miliziani dell’Is in Siria e Iraq. Se aumenta il pericolo di un accerchiamento jihadista su Baghdad, la battaglia si concentra ancora nell’enclave curda siriana di Kobane e un nuovo grido di allarme arriva intanto dall’ostaggio britannico John Cantlie, che in video dice: “Aspetto il mio turno". Il servizio di Gabriella Ceraso: ascolta

L’offensiva su Kobane che dura da settimane è ormai arrivata vicinissima al confine con la Turchia. Qui gli
scontri tra i combattenti curdi e jihadisti del sedicente Stato Islamico, rischiano di tagliare l’accesso alla citta' curda, per metà controllata degli estremisti, e bloccare le vie di fuga per i profughi verso la Turchia. Non basta, a quanto pare, il supporto della coalizione che in 36 ore ha condotto almeno 23 raid fino all’area di Raqqa roccaforte dei jihadisti, e che non riesce a mitigare secondo le Ong, l’emergenza umanitaria né le razzie degli estremisti su bambini e donne presi come bottino di guerra. E Ankara resta ancora a guardare. Aumenta la sua presenza militare al confine, ma non interviene e anzi nega quanto affermato in mattinata da Washington e cioè il proprio assenso all’uso di basi militari del sud da parte dei caccia della coalizione a meno che non si accettino le proprie condizioni, in primis la creazione di una zona cuscinetto e di una no-fly zone nel nord della Siria e poi la fornitura di armi ai ribelli siriani contro il regime di Damasco. E intanto i jihadisti del sedicente Stato islamico avanzano anche in Iraq dove hanno conquistato Hit, nella provincia occidentale di Anbar, e tornano a minacciare il Regno Unito con il video dell’ostaggio John Cantlie da due anni nelle loro mani. Stasera e domani il punto sulla situazione in un vertice convocato a Washington con i responsabili militari della coalizione.

Sulla situazione a cui è giunto il conflitto Elvira Ragosta ha raccolto il commento di Alberto Negri, inviato del Sole 24Ore: ascolta

R. – I raid aerei non sono affatto sufficienti a fermare le milizie dello "Stato Islamico", non lo sono state a Kobane e non lo sono neppure in Iraq, vista l’avanzata delle truppe del califfato verso la provincia di Al Anbar e verso Baghdad. Quindi, è chiaro che questa strategia di bombardamenti dall’alto deve essere rivista; del resto, lo stesso capo di stato maggiore americano Dempsey l’aveva detto: i bombardamenti aerei sono una parte di questa campagna; poi, bisogna fare la lotta al califfato sul terreno e questa lotta, come sappiamo bene, viene fatta in Iraq dalle milizie sciite - essenzialmente dai curdi di Erbil, di Barzani - e in campo siriano viene combattuta quasi essenzialmente dai curdi, in questa zona a contatto con il confine turco.

D. – Intanto, a Kobane, dopo oltre tre settimane di assedio, è emergenza umanitaria e la Turchia ha messo a disposizione della coalizione anti-Is le sue basi militari al confine siriano…

R. – In realtà l’assedio di Kobane città, dura da tre settimane. L’avanzata del califfato in quel distretto – che era popolato da un milione e 200 mila persone – dura dall’inizio di agosto: hanno conquistato 380 villaggi intorno alla capitale Kobane; quindi, l’avanzata dura da molto tempo e c’è un’emergenza umanitaria evidente, perché sono rimasti pochi dentro Kobane, quasi essenzialmente combattenti. È chiaro che c’è anche un’emergenza umanitaria. Si parlava dell’idea di aprire un corridoio umanitario, ma i turchi per ora non l’hanno fatto perché temono che i combattenti curdi del Pkk – la formazione turca di Abdullah Öcalan – fluiscano verso questo corridoio e vadano a combattere da un’altra parte. La priorità della Turchia non è tanto combattere il califfato; quanto far in modo che i curdi vadano allo stremo, perché l’idea che possa nascere una zona autonoma curda dall’altra parte, evidentemente, infastidisce molto Ankara.

D. – Tornando proprio al tema umanitario, al ruolo delle donne in questa guerra: noi vediamo da un lato una donna di 40 anni alla guida dei combattenti curdi, a Kobane; dall’altro, sulla frontiera irachena, le tantissime prigioniere yazide che vengono vendute come schiave sessuali ai miliziani dell’Is…

R. - Non solo le prigioniere yazide. Delle yazide abbiamo notizie perché c’è stato raccontato, ma dovunque siano entrati hanno fatto prigioniere anche cristiane, donne anche sunnite e sono state asservite ai miliziani, e a quelli islamici. L’esempio curdo, dall’altra parte, è chiaramente quasi scioccante per la differenza; ma qui parliamo di un altro tipo di situazione in cui i partiti curdi, i movimenti di guerriglia curda, sin dall’inizio – 30 anni fa – avevano dato alle donne un ruolo preminente; così preminente da essere entrate nella leadership politica e poi anche in quella militare.


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