lunedì, novembre 03, 2014
Papa Francesco: sì alla diversità di opinioni, ma nell'armonia dello Spirito Santo

di Paolo Fucili

Il vecchio adagio “tot capita, tot sententiae” - vale a dire più o meno “tot teste, tot opinioni” – si presta bene a descrivere non “anche”, ma oseremmo dire “soprattutto” la Chiesa e la sua multiforme e non di rado faticosa vita quotidiana. Semmai ve ne fosse stato ancora il bisogno, pur essendo l'attualità quotidiana prodiga di esempi ogni giorno, lo ha dimostrato da ultimo pure il sinodo appena concluso, sulla famiglia e i suoi problemi e sfide pastorali.

Due settimane di fitte discussioni, peraltro non sempre serene, anzi tese non di rado – come certificato dall’intervento ultimo di papa Francesco in aula - per tornare quasi al punto di partenza, a conclusione dei lavori, al momento del mettere nero su bianco - e approvare con un voto di maggioranza - il risultato di tanto discutere: una "relazione" finale che specie sui punti più controversi all’ordine del giorno, vedi divorziati risposati, persone omosessuali e via discorrendo, contiene assai meno "novità" o "aperture" di quelle che molti in cuor loro auspicavano e quasi davano per certe, specie dopo qualche “fuga in avanti” annunciata e poi ritrattata.

Ora, che la Chiesa non sia né possa diventare mai una vera e propria "democrazia", questo è l'assodato (ma ahinoi assai poco compreso e meditato) abc della "ecclesiologia" cattolica, si dice, in forza della rivelazione e della millenaria tradizione della Chiesa stessa. E tuttavia, dicevamo, è l'esperienza concreta che lo dimostra: non sarà (né vuole essere) una democrazia in senso pieno, la Chiesa, ma a ben vedere è assai più democratica di quel che generalmente si pensi. Dove poi c'è democrazia, vale a dire anzitutto libertà di manifestare la propria opinione e di discutere quelle altrui (ammettendo, va da sé, che anche della propria sia lecito discutere), è inevitabile che della "democrazia" si paghi anche lo scotto: la laboriosità del confronto, la fatica del ricomporre tensioni, contrasti e divisioni in vista di un bene comune e un comune obiettivo, la lungaggine macchinosa delle democratiche "procedure" del dibattere e del far sintesi infine di esso, esattamente come al Sinodo ma non solo.

E qui, se il parallelo non è troppo vago o ardito, viene in mente quel che Francesco stamane ha detto a casa santa Marta, nell'omelia della quotidiana messa celebrata nella cappella della sua residenza. Era già san Paolo in realtà (prima lettura del giorno, Filippesi 2,1-4) a raccomandare sentitamente di non fare "nulla", nella Chiesa, "per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri...". Paolo, secondo dunque il commento di papa Bergoglio, invita appunto quella comunità a "non lottare l'uno contro l'altro, neppure per farsi vedere, per darsi l’aria di essere migliore degli altri”. E “si vede", ha aggiunto il Pontefice, "che questa non è soltanto cosa del nostro tempo”, ma piuttosto “viene da lontano”.

Il fatto è, per intendersi, che nella Chiesa certo, "si possono avere opinioni diverse, va bene, ma sempre dentro quest'aria, questa atmosfera: di umiltà, di carità, senza disprezzare nessuno". Un clima di "armonia", detto altrimenti, che se dipendesse da noi miseri uomini e cristiani, staremmo freschi; "è una grazia, la fa lo Spirito santo", che tuttavia non deve diventare un comodo alibi: "noi dobbiamo fare da parte nostra di tutto per aiutare lo Spirito santo a far questa armonia nella Chiesa". Che fare, allora?

Primo, esorta caldamente Francesco, bando a "rivalità" e "vanagloria", che "son due tarli che mangiano", proprio così, "la consistenza della Chiesa, la rendono debole". Piuttosto, Paolo docet, "ciascuno di voi, con tutta umiltà consideri gli altri superiori a se stesso. Lui sentiva questo, eh? Lui si qualifica ‘non degno di essere chiamato apostolo’, l’ultimo...".

Secondo, “cercare il bene dell’altro. Servire gli altri. Ma questa è la gioia di un vescovo, quando vede la sua Chiesa così: un medesimo sentire, la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Questa è l’aria che Gesù vuole nella Chiesa!".

Terzo, “è brutto, quando nelle istituzioni della Chiesa, di una diocesi, troviamo nelle parrocchie gente che cerca il suo interesse, non il servizio, non l’amore...". Gratuità, raccomanda perciò il Papa: "quando in una Chiesa c’è l’armonia, c’è l’unità, non si cerca il proprio interesse, c’è questo atteggiamento di gratuità. Io faccio il bene, non faccio un affare con il bene”.

Sarà solo un'impressione, del tutto personale, probabilmente pure destinata a rimaner tale, in assenza di altri riscontri: ma a legger queste meditazioni papali, come di consueto le han sunteggiate i media "ufficiali" vaticani (Radio e Osservatore romano), sembra quasi che Francesco avesse in mente, parlando, non solo la Chiesa che pure una democrazia vera e propria non è, ma anche l'assai poco edificante "spettacolo" che sovente offrono le democrazie "vere", chiamiamole, nel loro quotidiano funzionare, bene o più spesso male: la "vanagloria" che esaspera i personalismi, lo spirito di rivalità, l'orgoglio, l'intolleranza, il bieco far gli interessi propri a scapito di quelli di tutti. Provare per credere, rileggendo le riflessioni del Papa fin qui citate e sostituendo "Chiesa" (coi dovuti distinguo) con ad esempio "politica": ma attenzione a non prenderci gusto! E' solo un'impressione...


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