martedì, dicembre 16, 2014
Terminata la visita apostolica alle suore statunitensi – Braz de Aviz: “sulle relazioni uomo-donna abbiamo travisato”.

di Paolo Fucili

Dovendo condensare nella densa brevità di un proverbio un commento a caldo, “tutto è bene quel che finisce bene”, vien da dire di sei lunghi anni di faticoso lavoro attorno alla cosiddetta “visita apostolica” agli istituti religiosi femminili statunitensi, conclusa stamane ufficialmente con in sostanza nessuna critica degna davvero di nota e piuttosto un cordiale “grazie”, in bella evidenza, alle circa 50.000 suore (escluse le claustrali) interessate, appartenenti per la statistica a 341 diverse famiglie religiose presenti negli USA. Grazie ovvero per essere, fin dai primordi del cattolicesimo a stelle strisce, in “prima linea nella sua missione evangelizzatrice”, recita oggi un dettagliato “Rapporto finale”. Ma i vari riconoscimenti tributati a seguire alle alle suore americane eran tutt’altro che scontati nel dicembre 2008, allorché nell’annunciare appunto la visita si parlava di “esaminare la qualità della vita religiosa femminile negli Stati Uniti”; così diceva con severi accenti l’allora prefetto della Congregazione vaticana per gli Istituti di Vita consacrata e le Società di Vita apostolica (dicastero che prese per competenza questa iniziativa), lo sloveno cardinale Franc Rodé, riferendo pubblicamente di “voci critiche” arrivate da oltreoceano su “irregolarità”, “carenze” e non da ultima “una certa mentalità secolarista che si è propagata in queste famiglie religiose”.

Per la cronaca, si parla dell’invio di “visitatori” che ogni dicastero della Santa Sede può disporre “per valutare un’entità ecclesiastica e poter così aiutare il gruppo in questione a migliorare il mondo in cui svolge la sua missione nella vita della Chiesa”, spiegava in dettaglio stamane ai cronisti, in sala stampa vaticana, il francescano padre José Rodriguez Carballo, segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata.

Nella sostanza trattasi piuttosto di un’“ispezione” cui nei sacri palazzi si decide di far ricorso in circostanze piuttosto straordinarie: ecco spiegata perciò anche “apprensione” con cui non poche religiose reagirono, tanto da “non collaborare del tutto”, in non pochi casi, “nello svolgimento di essa”. Ma “amarezza” a parte, “cogliamo l’occasione per esprimere la nostra disponibilità ad instaurare rispettoso e fruttuoso”, è l’assai più conciliante tono con cui ora il “successore” di Rodé, cardinal Joao Braz de Aviz, si è rivolto loro dalla Sala stampa della Santa Sede, nel presentare ai cronisti il “Rapporto finale”.

Testo redatto in inglese, a firma Braz de Aviz e Carballo, allorché la visitatrice madre Mary Claire Millea consegnò in Congregazione, due anni orsono, una prima relazione conclusiva del suo lavoro: 266 colloqui con altrettante superiore generali, un questionario indirizzato ad ogni singolo istituto e infine una visita “in loco” alle sedi di 90 istituti. Il risultato finale è un’articolata fotografia della vita consacrata femminile negli States, suddivisa in dodici paragrafi, con in coda ad ognuno alcune “raccomandazioni”, le chiama il segretario Carballo, sul tema di volta in volta affrontato.

In evidenza son finiti quindi il brusco calo di vocazioni (le 125.000 suore degli anni ’60 ora sono appena 50.000), la sottolineatura che nella vita consacrata “non c’è spazio per l’autoritarismo o la cieca sottomissione”, il desiderio di “più grande riconoscimento e sostegno per il contributo delle religiose alla Chiesa da parte dei pastori”, giacché molte suore, si legge al paragafo 11 sulla “comunione ecclesiale”, pensano di non avere abbastanza “input” (“potere”, o qualcosa del genere) “nelle decisioni pastorali che le riguardano o su cui esse hanno una considerevole esperienza e competenza”.

Tanto da strappare a Braz de Aviz, in sala stampa, l’impegnativa affermazione che “dobbiamo guardare alle relazioni uomo-donna in una nuova luce, qui è il problema”, perché a suo dire “noi abbiamo travisato, abbiamo interpretato male San Paolo dicendo che l’uomo e’ capo della donna”. E la congregazione da lui presieduta è “impegnata” anch’essa, si è premurato di far sapere, “a collaborare per rispondere alla risoluzione di Papa Francesco che il genio femminile”, come si legge nella Evangelii gaudium, “trovi espressione nei diversi luoghi in cui vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali”.

E presto, annuncia il Rapporto poche righe sotto, la collaborazione tra vescovi, diocesi ed istituti maschili e femminili potrebbe conoscere qualche novità, con il prossimo “aggiornamento” richiesto dal Papa (incaricandone le congregazioni per la vita consacrata e per i vescovi) al documento “Mutuae relationes”che regola la materia in questione, allo scopo di “promuovere la comunione ecclesiale che tutti desideriamo".

Di risultati “sorprendentemente positivi” ha parlato oggi ai giornalisti la stessa “visitatrice” madre Millea, coadiuvata nel progettare e condurre la visita da una nutrita equipe di religiosi e religiose e ora ringraziata stamane a santa Marta anche da Francesco, perché “so che è stata un’ottima esperienza”, son parole del Papa riportate quindi in sala stampa. Della visita apostolica alle suore americane hanno riferito ai cronisti anche suor Agnes Mary Donovan, coordinatrice del “Council of Major Superiors of Women Religious, e suor Sharon Holland, presidente della “Leadership Conference of Women Religious”; sigla (LCWR) che rappresenta un buon 80% delle superiore d’oltreoceano, destinataria del “doctrinal assessment” (“valutazione dottrinale”) stilato il 18 aprile 2012 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Quella volta andò peggio alle religiose statunitensi, poiché quel testo elencava una serie di dettagliate accuse attorno a posizioni troppo “eterodosse” sostenute dalla LCWR in tema di teologia e morale. Da allora vigila sull’operato delle suore “ribelli” il vescovo di Seattle mons. Sartain. Col successivo benestare anche del neoeletto Francesco, come il prefetto della Congregazione cardinal Muller si affrettò a far sapere con un comunicato del 15 aprile dello scorso anno, non appena lo incassò.


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