Ore di paura ieri a Tripoli, in Libia, per l’attacco all’hotel Corinthia, costato la vita a 11 persone tra di loro diversi stranieri. L’azione, rivendicata dalla branca libica dell’Is, è arrivata mentre a Ginevra sotto l’egida dell’Onu erano in corso i negoziati tra gruppi rivali per mettere fine alla crisi politica nel Paese. Ce ne parla Benedetta Capelli:
Radio Vaticana - La Libia come avamposto per l’Europa. Il sedicente Stato Islamico da mesi sta lavorando per arrivare ad infiltrarsi nel Paese, conquistare la costa e giungere in Europa attraverso le barche dei migranti. In questo contesto, molti analisti leggono l’attacco di ieri all’hotel Corinthia, sede del governo “parallelo” di Omar al Hassi che controlla Tripoli ma che non è riconosciuto dalla comunità internazionale. Al Hassi sarebbe in salvo, una decina invece le vittime nell’azione iniziata con un'autobomba nel cortile dell’hotel, seguita da una sparatoria nella hall e una presa di ostaggi poi finita male. Subito dopo l'attacco, la sedicente “provincia di Tripoli dello Stato islamico” ha rivendicato l'agguato come rappresaglia per la morte in un carcere americano di Al Libi, leader di al Qaeda e mente degli attentati alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania negli anni '90. Fonti locali puntano il dito sui fedeli di Gheddafi. Condanna dalla comunità internazionale e anche dai diversi gruppi, parzialmente rappresentativi dello scenario libico, che a Ginevra stanno tentando di trovare una soluzione per pacificare il Paese.
Radio Vaticana - La Libia come avamposto per l’Europa. Il sedicente Stato Islamico da mesi sta lavorando per arrivare ad infiltrarsi nel Paese, conquistare la costa e giungere in Europa attraverso le barche dei migranti. In questo contesto, molti analisti leggono l’attacco di ieri all’hotel Corinthia, sede del governo “parallelo” di Omar al Hassi che controlla Tripoli ma che non è riconosciuto dalla comunità internazionale. Al Hassi sarebbe in salvo, una decina invece le vittime nell’azione iniziata con un'autobomba nel cortile dell’hotel, seguita da una sparatoria nella hall e una presa di ostaggi poi finita male. Subito dopo l'attacco, la sedicente “provincia di Tripoli dello Stato islamico” ha rivendicato l'agguato come rappresaglia per la morte in un carcere americano di Al Libi, leader di al Qaeda e mente degli attentati alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania negli anni '90. Fonti locali puntano il dito sui fedeli di Gheddafi. Condanna dalla comunità internazionale e anche dai diversi gruppi, parzialmente rappresentativi dello scenario libico, che a Ginevra stanno tentando di trovare una soluzione per pacificare il Paese.
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