“Quello che conta è l’amore che sappiamo donare”, con queste parole mons. Michele Castoro, arcivescovo di Manfredonia–Vieste–San Giovanni Rotondo, ha racchiuso la breve esistenza di Donatella, una bimba di 7 anni affetta dalla sindrome di Bruck.
Radio Vaticana - Ieri si sono svolti i funerali della piccola che ha vissuto tutta la sua vita nella Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, affidata dal Tribunale di Bari alla custodia dei medici dell'ospedale. Ce ne parla Benedetta Capelli: ascolta
E’ una grande menzogna far credere che certe vite non sono degne di essere vissute. Le parole di Papa Francesco sembrano ispirate dalla storia della piccola Donatella che, appena nata ha trovato l’amore e il calore di un intero ospedale. Una storia di quelle che in tanti definiscono “sfortunata”: una grave malattia, una famiglia che non ha la possibilità di seguirla come dovrebbe. E’ in questo apparente deserto che nasce la speranza. Ed ha il volto di suor Noemi, a tutti gli effetti la madre di Donatella, e del dott. Giuseppe Melchionda, responsabile del reparto di rianimazione della Casa Sollievo della sofferenza:
R. – Sono sette anni! E il quotidiano di sette anni vissuto con Donatella è stato scandito da alti e bassi; oggi sta bene, domani sta male… E’ stata una cosa piuttosto articolata ma non ha fatto altro che consolidare il legame, il legame di affetto; e se affetto è mancato prima, il testimone è stato poi dato al reparto e poi a tutto l’Ospedale. A macchia d’olio questa situazione è stata conosciuta e tutti hanno partecipato in modo presente, come fosse una componente di una famiglia in una casa. Io vado a vedere i miei parenti e loro venivano a visitare Donatella, ma in una condizione diversa: veniva curata come sanità, ma veniva vista come persona.
D. - La vita di Donatella è in una stanza di ospedale ma lei è bimba come tutti gli altri capace di dare e ricevere...
R. – Lei sentiva questo calore e lo trasmetteva pure quando stava male. Lei si è accorta di quello che stava succedendo, di questa solidarietà, di questo essere circondata da giocattoli o dal cartone animato che preferiva, essere coccolata soprattutto da suor Noemi: lei che conduceva, come una buona mamma di famiglia, tutta l’assistenza per Donatella.
D. - Nella vita di Donatella c’è anche spazio per un incontro pieno di bellezza. E’ in Vaticano nel 2009 con Benedetto XVI...
R. – Era in agitazione perché era uscita dalla Rianimazione. Non penso che si sia resa conto di essere di fronte al Papa – e questo obiettivamente glielo devo dire – però Papa Benedetto XVI è stato straordinario. E’ stato straordinario! Nelle sue benedizioni ha visto una fragilità che però era ricca di luce. Non so perché, ma i malati trasmettono tanto. Trasmettono tanto! I bambini poi trasmettono gioia e, anche nelle loro difficoltà, vogliono abbracciarti… Quando si entrava nella stanza di Donatella, se stava bene apriva gli occhi ed erano lucidi… Lei non poteva parlare molto o meglio non aveva grosse possibilità fisiche di relazione, però le espressioni degli occhi erano una cosa unica! Una cosa che ricorderò sempre sono gli occhi aperti, con i quali voleva dirti qualche cosa, voleva trasmettere qualche cosa, ma che – ahimè - non poteva fare…
D. - Ai funerali ieri ha partecipato anche la madre naturale di Donatella che negli ultimi tempi è tornata ad essere presente nella vita della figlia. Anche qui un miracolo inatteso. “E’ il compimento di un progetto d’amore”, lei così descrive la storia di Donatella, un seme capace ancora di far germogliare tanti fiori...
R. – Io credo che il messaggio che ha dato sia stato questo: avete profuso per me tanto amore, tanto affetto, tanto calore, adesso però quasi quasi vorrei che quello che avete dato a me lo trasferiste anche a tutti gli altri. Certo noi siamo medici, siamo operatori sanitari laureati, diplomati per assistere le persone, però a questo bisogna aggiungere qualcosa in più: la vita è quello che noi diamo alle persone in difficoltà. E le persone in difficoltà si accorgono di questa nostra presenza di continuità. La vita è proprio questo: stare con gli altri che devono supportare in modo preciso. Ecco, la dignità: la dignità di un malato!
Radio Vaticana - Ieri si sono svolti i funerali della piccola che ha vissuto tutta la sua vita nella Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, affidata dal Tribunale di Bari alla custodia dei medici dell'ospedale. Ce ne parla Benedetta Capelli: ascolta
E’ una grande menzogna far credere che certe vite non sono degne di essere vissute. Le parole di Papa Francesco sembrano ispirate dalla storia della piccola Donatella che, appena nata ha trovato l’amore e il calore di un intero ospedale. Una storia di quelle che in tanti definiscono “sfortunata”: una grave malattia, una famiglia che non ha la possibilità di seguirla come dovrebbe. E’ in questo apparente deserto che nasce la speranza. Ed ha il volto di suor Noemi, a tutti gli effetti la madre di Donatella, e del dott. Giuseppe Melchionda, responsabile del reparto di rianimazione della Casa Sollievo della sofferenza:
R. – Sono sette anni! E il quotidiano di sette anni vissuto con Donatella è stato scandito da alti e bassi; oggi sta bene, domani sta male… E’ stata una cosa piuttosto articolata ma non ha fatto altro che consolidare il legame, il legame di affetto; e se affetto è mancato prima, il testimone è stato poi dato al reparto e poi a tutto l’Ospedale. A macchia d’olio questa situazione è stata conosciuta e tutti hanno partecipato in modo presente, come fosse una componente di una famiglia in una casa. Io vado a vedere i miei parenti e loro venivano a visitare Donatella, ma in una condizione diversa: veniva curata come sanità, ma veniva vista come persona.
D. - La vita di Donatella è in una stanza di ospedale ma lei è bimba come tutti gli altri capace di dare e ricevere...
R. – Lei sentiva questo calore e lo trasmetteva pure quando stava male. Lei si è accorta di quello che stava succedendo, di questa solidarietà, di questo essere circondata da giocattoli o dal cartone animato che preferiva, essere coccolata soprattutto da suor Noemi: lei che conduceva, come una buona mamma di famiglia, tutta l’assistenza per Donatella.
D. - Nella vita di Donatella c’è anche spazio per un incontro pieno di bellezza. E’ in Vaticano nel 2009 con Benedetto XVI...
R. – Era in agitazione perché era uscita dalla Rianimazione. Non penso che si sia resa conto di essere di fronte al Papa – e questo obiettivamente glielo devo dire – però Papa Benedetto XVI è stato straordinario. E’ stato straordinario! Nelle sue benedizioni ha visto una fragilità che però era ricca di luce. Non so perché, ma i malati trasmettono tanto. Trasmettono tanto! I bambini poi trasmettono gioia e, anche nelle loro difficoltà, vogliono abbracciarti… Quando si entrava nella stanza di Donatella, se stava bene apriva gli occhi ed erano lucidi… Lei non poteva parlare molto o meglio non aveva grosse possibilità fisiche di relazione, però le espressioni degli occhi erano una cosa unica! Una cosa che ricorderò sempre sono gli occhi aperti, con i quali voleva dirti qualche cosa, voleva trasmettere qualche cosa, ma che – ahimè - non poteva fare…
D. - Ai funerali ieri ha partecipato anche la madre naturale di Donatella che negli ultimi tempi è tornata ad essere presente nella vita della figlia. Anche qui un miracolo inatteso. “E’ il compimento di un progetto d’amore”, lei così descrive la storia di Donatella, un seme capace ancora di far germogliare tanti fiori...
R. – Io credo che il messaggio che ha dato sia stato questo: avete profuso per me tanto amore, tanto affetto, tanto calore, adesso però quasi quasi vorrei che quello che avete dato a me lo trasferiste anche a tutti gli altri. Certo noi siamo medici, siamo operatori sanitari laureati, diplomati per assistere le persone, però a questo bisogna aggiungere qualcosa in più: la vita è quello che noi diamo alle persone in difficoltà. E le persone in difficoltà si accorgono di questa nostra presenza di continuità. La vita è proprio questo: stare con gli altri che devono supportare in modo preciso. Ecco, la dignità: la dignità di un malato!
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