lunedì, febbraio 23, 2015
Circa 600 militari di Ankara sono entrati domenica in territorio siriano per evacuare i soldati di stanza alla tomba di Suleyman Shah, 30 km a sud di Kobane. A nulla valgono però le ire di Damasco per un’incursione che anticipa quella, negoziata senza Assad e concordata tra Washington e Ankara, dei ribelli siriani cosiddetti “moderati” in chiave anti-Isis. Nella foto: soldati turchi preparano il sito che accoglierà il nuovo mausoleo di Suleyman Shah nella regione di Esmesi, in Siria (Foto: Anadolu/ Firat Yurdakul)
Nena News - “Un’aggressione palese”. Così il governo siriano, per bocca dell’agenzia stampa di Stato SANA, ha definito l’incursione turca nella notte tra sabato e domenica, quando circa 600 soldati di Ankara sono penetrati nel suo territorio scortati da droni e dall’aviazione per evacuare decine di soldati di guardia al mausoleo di Suleyman Shah, nonno del fondatore dell’impero ottomano Osman I, e portarne via le spoglie e alcune reliquie. La tomba, posta sulle rive dell’Eufrate a 30 chilometri a sud dal confine turco e dalla città curda di Kobane, è considerata un’enclave turca in Siria in base a un trattato del 1921 tra il neonato stato turco e la Francia potenza mandataria di Damasco. E si trova in piena zona controllata dallo Stato islamico.

L’operazione, denominata “Shah Firat”, si è svolta alle prime ore dell’alba di domenica e ha coinvolto 572 uomini, 39 cingolati e 100 altri mezzi di trasporto militari: il tutto per evacuare 40 soldati di stanza al mausoleo sulla riva destra dell’Eufrate e i resti di Suleyman Shah, venerato dai turchi come uno dei fondatori della “patria”. Nel marzo scorso l’Isis, che stando alle autorità siriane ha già distrutto molti siti religiosi (soprattutto sciiti, ndr) nel nord della Siria, ha minacciato di avvicinarsi al sito guardato a vista dai militari di Ankara: l’allora premier Recep Tayyip Erdogan aveva dichiarato che ogni attacco contro il mausoleo sarebbe stato considerato come “un attacco alla Turchia stessa”.

Il premier turco Ahmet Davutoglu ha dichiarato che l’operazione si è svolta senza attacchi – solo un soldato è rimasto ucciso in “un incidente di percorso” – e che le truppe sono riuscite a riportare in Turchia i resti di Suleyman Shah, dove “verranno custoditi per alcuni giorni prima di essere riportati in Siria, in un luogo sicuro da noi scelto”. Si tratta di un villaggio nella zona di Esisme, vicino al confine turco, che i militari hanno messo “in sicurezza” in attesa di riportarvi le spoglie del santo. Ankara, che sostiene di aver avvertito sia la coalizione internazionale anti-Isis sia il governo siriano e di aver “agito rispettando il diritto internazionale”, non avrebbe però “atteso l’autorizzazione di Damasco”, come denuncia l’agenzia stampa di stato siriana SANA. “La Turchia – si legge in un dispaccio – va oltre il sostegno alle bande terroristiche dell’ISIS e di Jabhat al-Nusra e lancia un’aggressione palese al territorio siriano”.

A nulla valgono però le ire di Damasco per un’incursione che anticipa quella, negoziata senza Assad e concordata tra Washington e Ankara con una firma la settimana scorsa dopo mesi di trattative, dei ribelli siriani cosiddetti “moderati” in chiave anti-Isis. Dopo la presa di Kobane da parte del “Califfato”, Washington aveva chiesto alla Turchia un impegno concreto, dopo le accuse giunte da più parti di un sostegno indiretto di Ankara allo Stato islamico. La Turchia alla fine ha acconsentito ad addestrare e armare i combattenti dell’opposizione siriana per un’offensiva che dovrebbe partire in primavera da Iraq e Siria in contemporanea e che vedrà schierati anche Giordania, Qatar e Arabia Saudita come addestratori e fornitori di armamenti a circa 5 mila combattenti scelti.

Intanto la Reuters informa che i combattenti curdi dell’YPG domenica hanno lanciato due offensive simultanee contro lo Stato islamico nella provincia di Hasaka, a nord-est della Siria al confine con l’Iraq, scortati da raid della coalizione anti-Isis. Najr Haj Mansour, funzionario dell’YPG, ha dichiarato che i combattenti curdi sono avanzati di 5 chilometri nella città di Tel Hamis, liberando “33 tra fattorie e villaggi” e uccidendo tra i 15 e i 20 miliziani dello Stato islamico.


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