Il Papa celebra il mercoledì delle Ceneri a santa Sabina sull’Aventino
Nell’immaginario del cattolico “mediamente” devoto c’è poco da stare allegri: dopo i bagordi carnevaleschi, da oggi e per lunghi 47 giorni (settimana santa compresa) ci toccherebbero - il condizionale è umilmente d’obbligo - preghiere, rinunce, privazioni varie, vedi l’ABC della buona vecchia dottrina dei “fioretti”, appresa al catechismo in parrocchia. Ma col progressivo sbiadire di quegli infantili ricordi, non è raro che le idee si confondano e soprattutto si perda di vista il perché vero ed autentico - per nulla triste né angosciante - di un po’ di breve tutto sommato e sana penitenza pre-pasquale.
Non che questa sia sempre facile da fare, sennò Francesco userebbe forse una terminologia meno dura di “combattimento spirituale” – addirittura – “contro il peccato”. E tuttavia, ha spiegato stasera sul colle romano dell’Aventino, se fosse solo per il nostro “sforzo”, staremmo freschi: quella “conversione a Dio con tutto il cuore” vivamente caldeggiata dal profeta Gioele (prima lettura) tutto è difatti tranne che “soltanto un’opera umana”. Fortuna invece che “il Signore non si stanca mai di aver misericordia di noi”, come il Papa argentino va predicando ad ogni occasione buona. E l’occasione offerta oggi in specie dal calendario liturgico sembrava fatta praticamente apposta.
La tradizione è tanto illustre quanto antica, quella delle “stazioni quaresimali romane”: assemblee di preghiera, vale a dire, convocate in chiese e santuari dove i primi cristiani dell’urbe veneravano i loro martiri, una ogni giorno in un diverso luogo per tutta la quaresima ed oltre, fin dal mercoledì delle ceneri proprio a Santa Sabina sull’Aventino. Pochi in realtà oggi lo sanno, e sarebbero meno ancora se non fosse consuetudine del Papa in persona (dai tempi all’incirca di Pio XII ad oggi) presiedere la prima “statio”, arrivando in processione dalla chiesa di sant’Anselmo per celebrare là quindi messa e benedizione ed imposizione delle ceneri.
Altra simbologia potente, il farsi tracciare una croce di cenere appunto sul capo accompagnata da una vagamente sinistro “ricordati che sei polvere e polvere ritornerai”, ispirato alla biblica reprimenda del buon Dio ai progenitori Adamo ed Eva (Genesi 3,19), rei di aver ceduto alle lusinghe del serpente. E anche Francesco, per la cronaca, sì è fatto cospargere di cenere dal cardinale Tomko (“titolare” di quella Chiesa), prima di imporla lui a sua volta ad altri. Oggi in realtà è più usuale ascoltare un più rassicurante “convertitevi e credete al Vangelo” (da Marco 1,15). Ma la sostanza, Francesco dice, non cambia granché, ed è semplicemente “un richiamo alla verità dell’esistenza umana: siamo creature limitate, peccatori sempre bisognosi di penitenza e conversione”. Anche quando ci armiamo delle migliori intenzioni.
Prendiamo quelle opere di carità a cui l’odierno Vangelo ci esorta: elemosina, preghiera e digiuno. Tutte lodevoli pratiche già ai sensi della legge mosaica, fin quando secondo Francesco non le intaccò “ruggine del formalismo esteriore”, fino a divenire “segni di superiorità sociale” per gli “ipocriti delle sinagoghe”, come Gesù li sferzava severo. Tentazioni peraltro attuali ancora, è stata la chiosa del Papa, giacché “quando si compie qualcosa di buono, quasi istintivamente nasce in noi il desiderio di essere stimati e ammirati per questa buona azione, per ricavare una soddisfazione…”.
Eppure l’antidoto c’è, basta chiederlo lassù, Bergoglio raccomanda, ed è “il dono delle lacrime, così da rendere la nostra preghiera e il nostro cammino di conversione sempre più autentici e senza ipocrisia”. Perché gli ipocriti son quelli appunto che “non sanno piangere, han dimenticato come si piange, non chiedono”, loro no, “il dono delle lacrime", da versare evidentemente sui propri peccati e sulle conseguenze di essi. Ma solo così l’auspicata conversione non sarà né “superficiale” né “transitoria”, bensì toccherà “il luogo più intimo della nostra persona”, il cuore sopra citato, “sede dei nostri sentimenti, il centro in cui maturano le nostre scelte, i nostri atteggiamenti”.
Perciò, il Papa esorta noi tutti, “iniziamo il cammino quaresimale fiduciosi e gioiosi” addirittura. E il perché di tanta gioia, a dispetto di pianti e combattimenti vari, lo spiega bene pure il suo “penitenziere” maggiore cardinal Piacenza oggi all’agenzia Zenit: “un tempo di conversione non può essere un tempo triste, perché è il tempo della misericordia, dell’abbraccio benedicente di Dio, del ritorno alla casa del Padre di quel ‘figliol prodigo’ che è dentro ognuno di noi”. E bando alla tentazione di sbandierare ai quattro venti le nostre penitenze, quali che siano (oggi va “di moda” anche suggerire di spegner TV, internet e social network): “è lo stile sobrio” - Piacenza rammenta – “tipicamente cristiano del ‘non sappia la tua destra quel che fa la tua sinistra’. Sta qui il vero merito davanti a Dio. La discrezione più assoluta, anche nelle opere penitenziali e di elemosina, è un vero e proprio ‘atto di fede’ in Dio”.
Nell’immaginario del cattolico “mediamente” devoto c’è poco da stare allegri: dopo i bagordi carnevaleschi, da oggi e per lunghi 47 giorni (settimana santa compresa) ci toccherebbero - il condizionale è umilmente d’obbligo - preghiere, rinunce, privazioni varie, vedi l’ABC della buona vecchia dottrina dei “fioretti”, appresa al catechismo in parrocchia. Ma col progressivo sbiadire di quegli infantili ricordi, non è raro che le idee si confondano e soprattutto si perda di vista il perché vero ed autentico - per nulla triste né angosciante - di un po’ di breve tutto sommato e sana penitenza pre-pasquale.
Non che questa sia sempre facile da fare, sennò Francesco userebbe forse una terminologia meno dura di “combattimento spirituale” – addirittura – “contro il peccato”. E tuttavia, ha spiegato stasera sul colle romano dell’Aventino, se fosse solo per il nostro “sforzo”, staremmo freschi: quella “conversione a Dio con tutto il cuore” vivamente caldeggiata dal profeta Gioele (prima lettura) tutto è difatti tranne che “soltanto un’opera umana”. Fortuna invece che “il Signore non si stanca mai di aver misericordia di noi”, come il Papa argentino va predicando ad ogni occasione buona. E l’occasione offerta oggi in specie dal calendario liturgico sembrava fatta praticamente apposta.
La tradizione è tanto illustre quanto antica, quella delle “stazioni quaresimali romane”: assemblee di preghiera, vale a dire, convocate in chiese e santuari dove i primi cristiani dell’urbe veneravano i loro martiri, una ogni giorno in un diverso luogo per tutta la quaresima ed oltre, fin dal mercoledì delle ceneri proprio a Santa Sabina sull’Aventino. Pochi in realtà oggi lo sanno, e sarebbero meno ancora se non fosse consuetudine del Papa in persona (dai tempi all’incirca di Pio XII ad oggi) presiedere la prima “statio”, arrivando in processione dalla chiesa di sant’Anselmo per celebrare là quindi messa e benedizione ed imposizione delle ceneri.
Altra simbologia potente, il farsi tracciare una croce di cenere appunto sul capo accompagnata da una vagamente sinistro “ricordati che sei polvere e polvere ritornerai”, ispirato alla biblica reprimenda del buon Dio ai progenitori Adamo ed Eva (Genesi 3,19), rei di aver ceduto alle lusinghe del serpente. E anche Francesco, per la cronaca, sì è fatto cospargere di cenere dal cardinale Tomko (“titolare” di quella Chiesa), prima di imporla lui a sua volta ad altri. Oggi in realtà è più usuale ascoltare un più rassicurante “convertitevi e credete al Vangelo” (da Marco 1,15). Ma la sostanza, Francesco dice, non cambia granché, ed è semplicemente “un richiamo alla verità dell’esistenza umana: siamo creature limitate, peccatori sempre bisognosi di penitenza e conversione”. Anche quando ci armiamo delle migliori intenzioni.
Perciò, il Papa esorta noi tutti, “iniziamo il cammino quaresimale fiduciosi e gioiosi” addirittura. E il perché di tanta gioia, a dispetto di pianti e combattimenti vari, lo spiega bene pure il suo “penitenziere” maggiore cardinal Piacenza oggi all’agenzia Zenit: “un tempo di conversione non può essere un tempo triste, perché è il tempo della misericordia, dell’abbraccio benedicente di Dio, del ritorno alla casa del Padre di quel ‘figliol prodigo’ che è dentro ognuno di noi”. E bando alla tentazione di sbandierare ai quattro venti le nostre penitenze, quali che siano (oggi va “di moda” anche suggerire di spegner TV, internet e social network): “è lo stile sobrio” - Piacenza rammenta – “tipicamente cristiano del ‘non sappia la tua destra quel che fa la tua sinistra’. Sta qui il vero merito davanti a Dio. La discrezione più assoluta, anche nelle opere penitenziali e di elemosina, è un vero e proprio ‘atto di fede’ in Dio”.
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