Nata da una felice intuizione di Luigi Gedda negli anni del dopoguerra, la Base missionaria incarna profeticamente lo spirito del Concilio Vaticano II ed esprime quella esigenza, ancor oggi attuale in quanto mai pienamente realizzata, di formazione di un laicato maturo e impegnato nella costruzione di un ordine sociale conforme al disegno di Dio secondo l’insegnamento evangelico.
Sono gli anni ’50 quelli del “monolitismo cattolico”, in cui tutti i settori della vita associata sono raggiunti da organizzazioni che, strutturate in maniera piramidale, fanno capo ad un forte accentramento decisionale nazionale e diocesano per raggiungere capillarmente tutta la società. L’Azione Cattolica Italiana, guidata da Luigi Gedda, svolge la basilare funzione di tenere unito e coeso il laicato cattolico, di formarlo culturalmente e di indirizzarlo all’azione sociale in obbedienza ai principi evangelici e alle indicazioni del Magistero. L’Azione Cattolica in quegli anni, pertanto, vuole essere di massa, “mira ad essere fotografia del popolo, nel senso che in essa dovrebbero essere proporzionalmente rappresentate tutte le categorie sociali presenti nella Parrocchia”, assumendo indirettamente anche una funzione politica (ancorché motivata religiosamente) in termini di opposizione all’ideologia comunista, dalla cui visione materialistica della storia e della realtà provengono i maggiori pericoli alla integrità della dottrina cristiana e all’unità religiosa del Paese.
L’attività che impegna più di tutte l’Azione cattolica degli anni Cinquanta è non a caso la realizzazione della “Base Missionaria”, ideata e voluta dal Presidente generale Luigi Gedda. L’idea della Base Missionaria nasce invero dall’uso pratico che Luigi Gedda fa del radiomessaggio che Pio XII rivolge ai cattolici di Roma la mattina del 10 febbraio 1952. Quello rivolto dal Santo Padre ai fedeli romani è un accorato “grido di risveglio”, un energico appello a tutti i fedeli, chierici e laici, perché intensifichino il loro impegno per la ricostruzione della società su rinnovate basi cristiane, nella lucida consapevolezza che dal Vangelo dipende l’autentica possibilità di riscatto di un mondo che, uscito dalla guerra, “occorre rifare dalle fondamenta”.
Scrive Pio XII nel suo radiomessaggio ai fedeli romani: “Accogliete con nobile impeto di dedizione, riconoscendola come chiamata di Dio e degna ragione di vita, la santa consegna, che il vostro Pastore e Padre oggi vi affida: dare inizio a un potente risveglio di pensiero e di opere. Risveglio che impegni tutti, senza evasioni di sorta, il clero ed il popolo, le autorità, le famiglie, i gruppi, ogni singola anima, sul fronte del rinnovamento totale della vita cristiana, sulla linea della difesa dei valori morali, nell’attuazione della giustizia sociale, nella ricostruzione dell’ordine cristiano, cosicché anche il volto esterno dell’Urbe, dai tempi apostolici centro della Chiesa, appaia in breve tempo fulgido di santità e di bellezza”; e aggiunge più avanti: “Non è questo il momento di discutere, di cercare nuovi principi, di assegnare nuovi scopi e mete. Gli uni e gli altri, già noti ed accertati nella loro sostanza, perché insegnati da Cristo stesso, chiariti dalla secolare elaborazione della Chiesa, adattati alle immediate circostanze dagli ultimi Sommi Pontefici, attendono una cosa sola: la concreta attuazione”.
Il Papa lancia dunque un appello: “Siamo certi che non mancheranno, né per numero né per qualità, i cuori generosi che accorreranno alla Nostra chiamata e che metteranno in atto questo Nostro voto. Vi sono anime ardenti, che attendono ansiosamente di essere convocate. Altre ve ne sono sonnacchiose, e occorrerà destarle; trepide, e bisognerà incoraggiarle; disorientate, e si dovrà guidarle. Di tutte si chiede un saggio inquadramento, un assennato impiego, un ritmo di lavoro corrispondente all’urgente necessità di difesa, di conquista, di positiva costruzione”. Gedda, dopo pochissimo, nel documento “La base missionaria” (a cura della Presidenza generale dell’Azione Cattolica Italiana, Roma, 1952), accogliendo l’esortazione del Santo Padre, scrive: “Si tratta di un esercito che deve essere creato ed ogni esercito ha bisogno di un saggio inquadramento (cioè di una disciplina), di un assennato impiego (cioè di un obiettivo) e di un ritmo di lavoro (cioè di un programma)”. Pio XII, il 12 ottobre 1952, nel discorso in occasione del XXX anniversario della fondazione dell’Unione Uomini di Azione Cattolica, infine ratifica le nuove linee della Presidenza Generale con queste parole: “Sappiamo che la vostra Presidenza Generale ha approntato un programma di lavoro ‘capillare’ per rendere efficiente la presenza dei cattolici militanti in ogni luogo e con tutte le persone in mezzo a cui vivono. Di quella ‘base missionaria’, come si è voluto chiamarla, siete quindi voi i principali componenti e propulsori”.
La Base Missionaria costituì insomma una forma sistematica e organizzata di “apostolato d’ambiente” da parte dei fedeli laici, messa in atto avvalendosi della diffusività dell’apparato organizzativo dell’A.C. e del radicamento dei gruppi di Azione cattolica a livello locale. Essa rappresentò un tentativo coraggioso del laicato cattolico italiano degli anni ‘50 per l’applicazione dei principi cristiani ad una società “nuova” che riemergeva dalle macerie della guerra, ma con preoccupanti spinte “scrizzianizzatrici” a livello sia politico che di costume; un singolare, e allo stato forse unico, grande esempio di cooperazione tra clero e laicato alla luce di un principio di corresponsabilità che, pur muovendo operativamente i primi passi in quegli anni, troverà compiuta teorizzazione circa dieci anni più tardi ad opera del Concilio Vaticano II con il decreto Apostolicam Actuositatem.
Occorre osservare a questo punto che, nonostante siano mutate alcune delle condizioni che avevano reso possibile concepire e in parte attuare il grandioso progetto della Base Missionaria e la stessa Azione Cattolica Italiana abbia rinunciato, con la “scelta religiosa” inaugurata dalla nuova Presidenza Generale di Bachelet (1964), all’impegno politico diretto per dedicarsi essenzialmente all’attività di studio dei problemi dei tempi e di formazione cristiana della coscienza dei soci, l’esperienza della Base Missionaria esprime una necessità tutt’altro che compiuta, anche ai giorni nostri: quella, cioè, di favorire la formazione di un laicato maturo, capace di assolvere al compito suo proprio e specifico di testimoniare i valori cristiani in un mondo secolarizzato, in modo da “perfezionare con lo spirito evangelico l’ordine temporale” secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II.
Questa necessità è stata ribadita di recente anche da Papa Francesco nell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale. Sottolinea in proposito il Papa, riferendosi alla situazione attuale: “Anche se si nota una maggiore partecipazione di molti ai ministeri laicali, questo impegno non si riflette nella penetrazione dei valori cristiani nel mondo sociale, politico ed economico. Si limita molte volte a compiti intraecclesiali senza un reale impegno per l’applicazione del Vangelo alla trasformazione della società. La formazione dei laici e l’evangelizzazione delle categorie professionali e intellettuali rappresentano un’importante sfida pastorale”. Sebbene come esperienza storica la Base missionaria – almeno per come concepita e operativamente attuata negli anni ’50 – possa ritenersi esaurita, il suo spirito “profetico” (che altro non è se non quello del Concilio Vaticano II) non di meno permane e richiede al laicato di oggi grande creatività alla ricerca di forme originali di attuazione.
di Bartolo Salone
Sono gli anni ’50 quelli del “monolitismo cattolico”, in cui tutti i settori della vita associata sono raggiunti da organizzazioni che, strutturate in maniera piramidale, fanno capo ad un forte accentramento decisionale nazionale e diocesano per raggiungere capillarmente tutta la società. L’Azione Cattolica Italiana, guidata da Luigi Gedda, svolge la basilare funzione di tenere unito e coeso il laicato cattolico, di formarlo culturalmente e di indirizzarlo all’azione sociale in obbedienza ai principi evangelici e alle indicazioni del Magistero. L’Azione Cattolica in quegli anni, pertanto, vuole essere di massa, “mira ad essere fotografia del popolo, nel senso che in essa dovrebbero essere proporzionalmente rappresentate tutte le categorie sociali presenti nella Parrocchia”, assumendo indirettamente anche una funzione politica (ancorché motivata religiosamente) in termini di opposizione all’ideologia comunista, dalla cui visione materialistica della storia e della realtà provengono i maggiori pericoli alla integrità della dottrina cristiana e all’unità religiosa del Paese.
L’attività che impegna più di tutte l’Azione cattolica degli anni Cinquanta è non a caso la realizzazione della “Base Missionaria”, ideata e voluta dal Presidente generale Luigi Gedda. L’idea della Base Missionaria nasce invero dall’uso pratico che Luigi Gedda fa del radiomessaggio che Pio XII rivolge ai cattolici di Roma la mattina del 10 febbraio 1952. Quello rivolto dal Santo Padre ai fedeli romani è un accorato “grido di risveglio”, un energico appello a tutti i fedeli, chierici e laici, perché intensifichino il loro impegno per la ricostruzione della società su rinnovate basi cristiane, nella lucida consapevolezza che dal Vangelo dipende l’autentica possibilità di riscatto di un mondo che, uscito dalla guerra, “occorre rifare dalle fondamenta”.
Scrive Pio XII nel suo radiomessaggio ai fedeli romani: “Accogliete con nobile impeto di dedizione, riconoscendola come chiamata di Dio e degna ragione di vita, la santa consegna, che il vostro Pastore e Padre oggi vi affida: dare inizio a un potente risveglio di pensiero e di opere. Risveglio che impegni tutti, senza evasioni di sorta, il clero ed il popolo, le autorità, le famiglie, i gruppi, ogni singola anima, sul fronte del rinnovamento totale della vita cristiana, sulla linea della difesa dei valori morali, nell’attuazione della giustizia sociale, nella ricostruzione dell’ordine cristiano, cosicché anche il volto esterno dell’Urbe, dai tempi apostolici centro della Chiesa, appaia in breve tempo fulgido di santità e di bellezza”; e aggiunge più avanti: “Non è questo il momento di discutere, di cercare nuovi principi, di assegnare nuovi scopi e mete. Gli uni e gli altri, già noti ed accertati nella loro sostanza, perché insegnati da Cristo stesso, chiariti dalla secolare elaborazione della Chiesa, adattati alle immediate circostanze dagli ultimi Sommi Pontefici, attendono una cosa sola: la concreta attuazione”.
Il Papa lancia dunque un appello: “Siamo certi che non mancheranno, né per numero né per qualità, i cuori generosi che accorreranno alla Nostra chiamata e che metteranno in atto questo Nostro voto. Vi sono anime ardenti, che attendono ansiosamente di essere convocate. Altre ve ne sono sonnacchiose, e occorrerà destarle; trepide, e bisognerà incoraggiarle; disorientate, e si dovrà guidarle. Di tutte si chiede un saggio inquadramento, un assennato impiego, un ritmo di lavoro corrispondente all’urgente necessità di difesa, di conquista, di positiva costruzione”. Gedda, dopo pochissimo, nel documento “La base missionaria” (a cura della Presidenza generale dell’Azione Cattolica Italiana, Roma, 1952), accogliendo l’esortazione del Santo Padre, scrive: “Si tratta di un esercito che deve essere creato ed ogni esercito ha bisogno di un saggio inquadramento (cioè di una disciplina), di un assennato impiego (cioè di un obiettivo) e di un ritmo di lavoro (cioè di un programma)”. Pio XII, il 12 ottobre 1952, nel discorso in occasione del XXX anniversario della fondazione dell’Unione Uomini di Azione Cattolica, infine ratifica le nuove linee della Presidenza Generale con queste parole: “Sappiamo che la vostra Presidenza Generale ha approntato un programma di lavoro ‘capillare’ per rendere efficiente la presenza dei cattolici militanti in ogni luogo e con tutte le persone in mezzo a cui vivono. Di quella ‘base missionaria’, come si è voluto chiamarla, siete quindi voi i principali componenti e propulsori”.
La Base Missionaria costituì insomma una forma sistematica e organizzata di “apostolato d’ambiente” da parte dei fedeli laici, messa in atto avvalendosi della diffusività dell’apparato organizzativo dell’A.C. e del radicamento dei gruppi di Azione cattolica a livello locale. Essa rappresentò un tentativo coraggioso del laicato cattolico italiano degli anni ‘50 per l’applicazione dei principi cristiani ad una società “nuova” che riemergeva dalle macerie della guerra, ma con preoccupanti spinte “scrizzianizzatrici” a livello sia politico che di costume; un singolare, e allo stato forse unico, grande esempio di cooperazione tra clero e laicato alla luce di un principio di corresponsabilità che, pur muovendo operativamente i primi passi in quegli anni, troverà compiuta teorizzazione circa dieci anni più tardi ad opera del Concilio Vaticano II con il decreto Apostolicam Actuositatem.
Occorre osservare a questo punto che, nonostante siano mutate alcune delle condizioni che avevano reso possibile concepire e in parte attuare il grandioso progetto della Base Missionaria e la stessa Azione Cattolica Italiana abbia rinunciato, con la “scelta religiosa” inaugurata dalla nuova Presidenza Generale di Bachelet (1964), all’impegno politico diretto per dedicarsi essenzialmente all’attività di studio dei problemi dei tempi e di formazione cristiana della coscienza dei soci, l’esperienza della Base Missionaria esprime una necessità tutt’altro che compiuta, anche ai giorni nostri: quella, cioè, di favorire la formazione di un laicato maturo, capace di assolvere al compito suo proprio e specifico di testimoniare i valori cristiani in un mondo secolarizzato, in modo da “perfezionare con lo spirito evangelico l’ordine temporale” secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II.
Questa necessità è stata ribadita di recente anche da Papa Francesco nell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale. Sottolinea in proposito il Papa, riferendosi alla situazione attuale: “Anche se si nota una maggiore partecipazione di molti ai ministeri laicali, questo impegno non si riflette nella penetrazione dei valori cristiani nel mondo sociale, politico ed economico. Si limita molte volte a compiti intraecclesiali senza un reale impegno per l’applicazione del Vangelo alla trasformazione della società. La formazione dei laici e l’evangelizzazione delle categorie professionali e intellettuali rappresentano un’importante sfida pastorale”. Sebbene come esperienza storica la Base missionaria – almeno per come concepita e operativamente attuata negli anni ’50 – possa ritenersi esaurita, il suo spirito “profetico” (che altro non è se non quello del Concilio Vaticano II) non di meno permane e richiede al laicato di oggi grande creatività alla ricerca di forme originali di attuazione.
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