lunedì, febbraio 22, 2016
Una lunga serie di esplosioni ha ucciso ieri almeno 150 persone nelle due città.  

Nena News - Lo Stato Islamico si muove liberamente e compie carneficine di civili mentre la comunità internazionale discute ancora precondizioni alla tregua e nessuno combatte davvero la minaccia jihadista Gli attacchi a Damasco (Fonte: Your News Wire)

– Una catena di esplosioni, una dopo l’altra: la domenica di sangue di Damasco e Homs sembrava non finire mai. Almeno 150 i morti, centinaia i feriti, anche se ancora questa mattina il bilancio cambiava a seconda dell’agenzia di stampa.

Nel mirino è finita la comunità sciita e il governo di Damasco. Nella capitale è stato colpito di nuovo uno dei simboli dello sciismo, il mausoleo di Sayyida Zeinab, meta di pellegrinaggio da tutto il Medio Oriente perché qui è sepolta la nipote del profeta Maometto e figlia del quarto califfo Ali. Il 31 gennaio era stata colpita da un altro attacco che aveva ucciso almeno 71 persone.

Stavolta sono state tre autobombe, una dietro l’altra, ad esplodere nel cuore del quartiere, uccidendo 96 persone secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, 178 i feriti secondo l’agenzia stampa siriana Sana. Contemporaneamente a Homs, città considerata per anni la roccaforte delle opposizioni e ripresa pochi mesi fa dal governo, altre due autobombe saltate in aria nel quartiere di al-Zahraa hanno ucciso almeno 60 persone. Le immagini che ieri arrivavano dai due luoghi dell’attacco mostravano l’ampiezza della devastazione e della carneficina: i soccorsi tentavano di portare via i corpi dei morti e di salvare i feriti, tra auto e autobus sventrati e negozi in macerie. La Tv di Stato ha fatto appello a donare il sangue.

A rivendicare gli attentati è stato lo Stato Islamico, come un polipo presente in tutto il paese, ad ovest dove ha le sue roccaforti ma anche al centro, a est, lungo la costa dove le sue cellule sono capaci di muoversi liberamente nel caos siriano. L’Isis è l’unico a ricordare alla comunità internazionale di essere ad oggi la principale minaccia per tutte le forze in campo.

Chissà cosa avrebbero pensato i siriani che ieri cercavano corpi ancora vivi tra le macerie se avessero saputo che nelle stesse ore Usa e Russia dicevano di essere vicine alla cessazione delle ostilità. Un annuncio che ripete quanto detto a Monaco 10 giorni fa, ma l’accordo dell’11 febbraio è stato sepolto dopo poche ore da tutte le parti coinvolte, con diversi pretesti. L’Isis, come al-Nusra, non è ovviamente parte della cessazione delle ostilità, essendo considerate ufficialmente dai due fronti (pro e anti-Assad) organizzazioni terroristiche.

Ma non le si combatte. Gli scontri – e i conseguenti screzi diplomatici – si svolgono tra le forze alleate al governo e quelle alleate alla galassia composita delle opposizioni. La Turchia bombarda le Ypg kurde, non l’Isis; l’Arabia Saudita minaccia di mandare le truppe contro Assad, non contro lo Stato Islamico; e Washington e Mosca dibattono sui limiti da imporre all’avanzata governativa o sui gruppi da invitare a Ginevra, non su una strategia unica contro il terrorismo islamista.

Ieri mentre a Homs e Damasco si moriva, il segretario di Stato Usa Kerry e il ministro degli Esteri russo Lavrov annunciavano di essere vicini alla definizione di un cessate il fuoco provvisorio: “Abbiamo raggiunto un accordo provvisorio, in principio, sui termini della cessazione delle ostilità da lanciare nei prossimi giorni”. La proposta sarà sottoposta, dicono i due, ai presidenti Obama e Putin, e dovrà essere successivamente accettata dai gruppi armati sul terreno. I dettagli non sono stati resi noti, così come il significato di “tregua provvisoria”.

L’Hnc, l’Alto Comitato per i Negoziati, ombrello delle opposizioni nato in Arabia Saudita a dicembre, aveva fatto sapere poco prima che avrebbe aderito solo se il governo e i suoi alleati avessero interrotto ogni azione militare: Russia, Iran e Hezbollah devono fermare le operazioni. Risponde il presidente siriano Assad che in un’intervista allo spagnolo El Pais ribadisce di essere pronto alla tregua, ma che questa non si applica ai terroristi: “La questione è impedire che altri paesi, specialmente la Turchia, mandino truppe, terroristi e armamenti o qualsiasi tipo di sostegno ai terroristi”.

Le stesse precondizioni dei mesi scorsi che fanno immaginare un nuovo fallimento, se mancherà consenso su chi è il nemico comune. L’Isis dovrebbe esserlo, ma la sua libertà di manovra non pare essere il principale obiettivo. Intanto il popolo siriano paga il prezzo terribile delle chiacchiere internazionali, di anni di negoziato farsa che servono solo a mantenere una situazione di devastazione e a permettere ai due fronti di guadagnare tempo e punti in vista di una transizione reale.


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