In questo anno della misericordia vogliamo proporre un confronto con chi si è trovato a dover perdonare e ad accettare una situazione di morte. Lo facciamo attraverso le parole di Anna e Antonio, una coppia come tante altre, due genitori come tanti altri, ma con un’esperienza di vita vissuta in più, una di quelle esperienze che ti cambia l’esistenza, rischiando di annientarti. (prima parte)
intervista a cura di Monica Cardarelli
Non è questo il caso loro. Li incontriamo, e dai loro sguardi, dai loro sorrisi traspare una serenità e una forza nate dalla sofferenza vissuta che permane per la perdita del loro unico figlio, Filippo. A distanza di due anni, vogliono parlarne, raccontare di Filippo, non per un ricordo nostalgico ma per trasmettere tutta la vita che era in lui. Si mettono in gioco con semplicità, come farebbe ogni genitore per il proprio figlio e per tutti coloro che possono essere aiutati dalla loro testimonianza. Mostrano, con l’orgoglio di ogni genitore, gli scritti di Filippo e le sue foto, quelle in cui è ritratto con i familiari, con gli amici, in vacanza…fieri di lui. Lontani dal voler essere compatiti, Anna e Antonio oggi hanno costituito un’associazione, “Con lo sguardo di Filippo”, per cercare di moltiplicare e donare la vita piena che un ragazzo di 17 anni ha lasciato.
D. “Ho capito che l’amore di Dio si manifesta nelle persone che ti stanno accanto”, scriveva Filippo in una sua lettera del gennaio 2013 Vogliamo partire proprio dalle sue parole per presentare Filippo?
R. Quando Filippo ha scritto questa “lettera” sembrava ormai guarito: dopo sei mesi di chemioterapia e di radioterapia che avevano avuto un esito straordinario, insperato dai medici; dopo quasi nove mesi, nei quali era stato nutrito per via parenterale (per vena) perché la paralisi provocata dalla malattia gli aveva bloccato la gola (Filippo è stato colpito da un rabdomiosarcoma embrionale al rino-faringe) e non poteva deglutire, né mangiare né bere; dopo i controlli di routine fatti alla fine di tutto il ciclo di terapie…dopo tutto questo “era guarito”: il tumore alla gola era sparito, la deglutizione si era sbloccata ed aveva finalmente ripreso a mangiare e a bere regolarmente, anche le piccole metastasi ai polmoni erano sparite! Dopo tutto questo Filippo era “cambiato”, cresciuto e maturato: dai suoi 15 anni e mezzo di quando si è ammalato ai 16 poco più di quando era “guarito”, sembrava che invece di quasi un anno ne fossero passati dieci! Non perché fosse “invecchiato”, ma da ragazzino era diventato un giovane uomo. Questa lettera è una testimonianza che gli era stata chiesta dai redattori del giornalino parrocchiale, i quali gli avevano chiesto di raccontare, se se la sentiva, come aveva vissuto la malattia e come aveva fatto a superare quei momenti difficili, e lui (che prima non avrebbe mai scritto qualcosa da far pubblicare, per la sua timidezza e il suo carattere che non amava mettersi in evidenza in nessun modo) accolse questa richiesta e scrisse una lettera nella quale raccontava, con poche parole, il cammino compiuto durante la malattia, facendo capire la prova nella quale si era trovato e come l’aveva superata. La scoperta che Dio manifesta il suo amore attraverso le persone che ci stanno accanto, crediamo sia il motivo che l’ha portato al suo “cambiamento”: quello che gli ha fatto scrivere questa lettera (e poi anche la seconda dopo la ripresa della malattia); quello che gli ha fatto accettare di fare una testimonianza ad un gruppo di bambini del catechismo, che rimasero molto colpiti dalle sue parole; quello che gli ha fatto decidere di suonare la chitarra per accompagnare i canti della messa (che prima della malattia aveva sempre gentilmente rifiutato di fare, nonostante gli fosse stato chiesto più volte)
D. Come è cambiato il vostro ruolo di genitore, e come siete riusciti a stabilire con Filippo una relazione nuova che tenesse conto della sua malattia e della sua situazione?
R. Non è stato difficile: non per nostra bravura e capacità, ma per “grazia”. Con Filippo abbiamo avuto il grande dono di avere un rapporto di grande amore, fin dall’inizio, nella normalità di una famiglia come tante (con il bambino birichino che fa perdere le staffe al babbo, che perde la pazienza e allunga uno scapaccione; con la mamma che perde la pazienza e urla…). Con lui abbiamo avuto un dialogo profondo fin da quando era bambino, fatto non tanto di parole, quanto di una grande complicità e affinità di spiriti. Negli anni tante volte ci siamo sentiti privilegiati, per avere un bambino e un figlio così, che a parte qualche arrabbiatura normale, non ci ha mai dato preoccupazioni e motivi per lamentarci, né per lo studio, né per il comportamento. Quando si è ammalato, abbiamo fatto insieme il cambiamento necessario, che è avvenuto come una naturale evoluzione della nostra vita: ci siamo ritrovati tutti e tre insieme catapultati d’improvviso in una realtà, quella della malattia grave, che avremmo pensato sempre lontana da noi. Noi genitori abbiamo avuto da subito l’energia, la forza, il coraggio e la serenità necessari per affrontare una situazione che, vista dall’esterno, sembra impossibile poter sostenere. E questo è stato il primo miracolo avvenuto in questa storia, perché per il nostro carattere non saremmo stati capaci di reagire come è avvenuto: siamo certi che è stato l’aiuto di Dio, chiesto per Filippo e per noi da tantissime persone, che hanno pregato fin dalle prime avvisaglie della malattia. Anche la reazione di Filippo è stata “speciale”: nonostante la preoccupazione (che non ha mai esternato) e lo stato fisico di sofferenza, è rimasto sereno e questo suo modo di essere anche nella sofferenza, che era sempre più evidente, è quello che ha sempre sorpreso le persone che sono venute a trovarlo. La stessa complicità che abbiamo sempre avuto (anche se probabilmente non ce ne siamo mai resi pienamente conto), l’abbiamo avuta ancora più profonda, durante la prova della malattia. Non abbiamo avuto bisogno di tante parole, ma il nostro modo di stare insieme parlava: noi abbiamo cercato di sostenere e proteggere il nostro “bambino”, per quello che ci è stato possibile, e lo stesso ha fatto lui con noi, cercando di proteggerci dal dolore.
D. Quanto è stata importante la fede per voi, per Filippo e per tutta la vostra famiglia?
R. La fede fa parte di noi e della nostra famiglia, è inscindibile da noi, è l’anima della nostra vita. Come ogni persona è una sola cosa fra corpo e anima (o spirito o comunque lo si voglia definire), così per noi la fede e la vita concreta sono una sola cosa. Intendiamoci: questo non vuol dire assolutamente che anche per noi non ci siano stati dubbi, momenti di stanchezza, momenti di prova e forse anche di rabbia, non solo nella malattia di Filippo, ma nel cammino della vita in generale. La fede è un cammino che incomincia in un certo momento della vita (ognuno ha il “suo”) e non finisce mai, a meno che uno non scelga di interromperlo. Anche Filippo, nonostante la sua giovane età, aveva già compiuto un cammino di fede, in un modo molto semplice e normale, tanto che noi non ci siamo accorti della sua profondità, fino alla fine della sua vita terrena. Il tempo della malattia gli è servito per fare un salto di “qualità”: è stato messo alla prova, “Dio l’ha provato e l’ha trovato degno di sé; l’ha saggiato come oro nel crogiuolo e l’ha gradito come l'offerta di un olocausto.” (Sap. 3,5-6) Nell’anno e mezzo fra la scoperta della malattia e la sua nascita al Cielo, ha avuto momenti di dubbio, di rabbia, di paura, ma con la grazia di Dio e il sostegno delle tante preghiere, che lui ha sentito (come ha scritto nella sua seconda lettera), ha superato la prova trovando la sua vittoria.
D. “Riguardo alla domanda che mi sono posto sul ‘male’ io ho trovato la mia risposta: ciò che ci accade, nel bene e nel male, sono tutte ‘sfide’ che Dio ci pone e, a seconda del modo in cui le affrontiamo, Egli prepara la nostra ricompensa. Ognuno deve trovare la propria risposta”. Sono parole di Filippo. Come ha vissuto la malattia, vi aspettavate una testimonianza e una forza simili?
R. Noi non ci aspettavamo che Filippo si ammalasse e ci lasciasse, perciò non ci aspettavamo neanche che gli “toccasse” dare una simile testimonianza! No, non ce l’aspettavamo, perché non ci rendevamo conto di avere con noi un’anima speciale. Per noi era tutto normale, perché lo avevamo sempre sotto gli occhi, lo abbiamo visto crescere e siamo cresciuti insieme con lui; abbiamo fatto un cammino, che Dio ci ha fatto fare e di questo ne siamo certi, per prepararci a quel momento. Anche durante la malattia non ci siamo resi conto della straordinarietà del nostro figlio, fino alla fine: allora, quando la fede di Filippo si è svelata in tutta la sua forza, ci siamo avveduti di avere avuto per tutti quegli anni un bambino e un ragazzo speciale. Filippo ha vissuto la sua malattia, fin dall’inizio, con fiducia in Dio, nella consapevolezza che Lui avrebbe potuto compiere il miracolo in qualunque momento e di miracolo infatti ha parlato in modo più o meno velato, nella sua lettera, quando racconta la sua “guarigione”. Abbiamo pregato insieme, la sera prima di dormire, recitando anche il Rosario (spesso solo un mistero, ma era tanto!). Uno dei primi giorni di malattia, dicendo i misteri dolorosi, si mise a piangere mentre ascoltava una delle meditazioni scritte da san Giovanni Paolo II, dove si parla della malattia come condivisione della croce di Gesù: lui si rendeva conto che era quello che stava vivendo, quello a cui era chiamato, non per sua scelta. Quando la malattia è tornata, con una recidiva aggressiva che lo ha riempito di metastasi e non gli ha dato scampo, che lo ha reso paralizzato dalla vita in giù, perché lo ha colpito alla colonna vertebrale, c’è stato un mese di “deserto”, una prova veramente dura, per tutti e tre. In quelle settimane Filippo ha provato paura, angoscia, rabbia, ha avuto attacchi di panico. Poi di punto in bianco, il 15 di agosto, dopo un colloquio con la sua dottoressa tutor che gli ha esposto la situazione, con delicatezza ma anche con realismo, lui ha trovato una pace ed una serenità profonda che non lo hanno più abbandonato.
In tutti questi mesi di malattia non ha mai perso la voglia di vivere e di combattere fino in fondo, ha vissuto ogni istante con pienezza e intensità, senza mai perdere la speranza anche nella possibilità di un miracolo per guarire, fino agli ultimi giorni. Tant’è che, quando si arrese all’evidenza che ormai i medici non potevano fare più niente per lui, chiese di andare in pellegrinaggio a Lourdes; non fu possibile per il repentino peggioramento delle sue condizioni, ma in “alternativa”, grazie all’aiuto di Caterina Bellandi, di Taxi Milano 25, e alla disponibilità della Misericordia e dei suoi volontari, lo potemmo accompagnare in pellegrinaggio al santuario della Divina Misericordia a Collevalenza, sei giorni prima della sua partenza (al quale si preparò con un profondo desiderio di essere pronto), dove rinnovò le sue promesse battesimali nella Liturgia delle acque, fece il bagno nelle piscine aiutato dal babbo e dagli accompagnatori della Misericordia, prese l’ultima messa ricevendo la sua ultima comunione. Siamo certi che anche questo pellegrinaggio non sia avvenuto “per caso”. Non ha mai perso il suo splendido sorriso, neanche nei momenti peggiori. Solo la sofferenza (che nessuno può sapere) degli ultimi giorni, gliel’ha potuto togliere, ma solo per poco: perché nel momento stesso del “transito” il suo volto ha riacquistato subito un aspetto disteso e sorridente.
intervista a cura di Monica Cardarelli
Non è questo il caso loro. Li incontriamo, e dai loro sguardi, dai loro sorrisi traspare una serenità e una forza nate dalla sofferenza vissuta che permane per la perdita del loro unico figlio, Filippo. A distanza di due anni, vogliono parlarne, raccontare di Filippo, non per un ricordo nostalgico ma per trasmettere tutta la vita che era in lui. Si mettono in gioco con semplicità, come farebbe ogni genitore per il proprio figlio e per tutti coloro che possono essere aiutati dalla loro testimonianza. Mostrano, con l’orgoglio di ogni genitore, gli scritti di Filippo e le sue foto, quelle in cui è ritratto con i familiari, con gli amici, in vacanza…fieri di lui. Lontani dal voler essere compatiti, Anna e Antonio oggi hanno costituito un’associazione, “Con lo sguardo di Filippo”, per cercare di moltiplicare e donare la vita piena che un ragazzo di 17 anni ha lasciato.
D. “Ho capito che l’amore di Dio si manifesta nelle persone che ti stanno accanto”, scriveva Filippo in una sua lettera del gennaio 2013 Vogliamo partire proprio dalle sue parole per presentare Filippo?
R. Quando Filippo ha scritto questa “lettera” sembrava ormai guarito: dopo sei mesi di chemioterapia e di radioterapia che avevano avuto un esito straordinario, insperato dai medici; dopo quasi nove mesi, nei quali era stato nutrito per via parenterale (per vena) perché la paralisi provocata dalla malattia gli aveva bloccato la gola (Filippo è stato colpito da un rabdomiosarcoma embrionale al rino-faringe) e non poteva deglutire, né mangiare né bere; dopo i controlli di routine fatti alla fine di tutto il ciclo di terapie…dopo tutto questo “era guarito”: il tumore alla gola era sparito, la deglutizione si era sbloccata ed aveva finalmente ripreso a mangiare e a bere regolarmente, anche le piccole metastasi ai polmoni erano sparite! Dopo tutto questo Filippo era “cambiato”, cresciuto e maturato: dai suoi 15 anni e mezzo di quando si è ammalato ai 16 poco più di quando era “guarito”, sembrava che invece di quasi un anno ne fossero passati dieci! Non perché fosse “invecchiato”, ma da ragazzino era diventato un giovane uomo. Questa lettera è una testimonianza che gli era stata chiesta dai redattori del giornalino parrocchiale, i quali gli avevano chiesto di raccontare, se se la sentiva, come aveva vissuto la malattia e come aveva fatto a superare quei momenti difficili, e lui (che prima non avrebbe mai scritto qualcosa da far pubblicare, per la sua timidezza e il suo carattere che non amava mettersi in evidenza in nessun modo) accolse questa richiesta e scrisse una lettera nella quale raccontava, con poche parole, il cammino compiuto durante la malattia, facendo capire la prova nella quale si era trovato e come l’aveva superata. La scoperta che Dio manifesta il suo amore attraverso le persone che ci stanno accanto, crediamo sia il motivo che l’ha portato al suo “cambiamento”: quello che gli ha fatto scrivere questa lettera (e poi anche la seconda dopo la ripresa della malattia); quello che gli ha fatto accettare di fare una testimonianza ad un gruppo di bambini del catechismo, che rimasero molto colpiti dalle sue parole; quello che gli ha fatto decidere di suonare la chitarra per accompagnare i canti della messa (che prima della malattia aveva sempre gentilmente rifiutato di fare, nonostante gli fosse stato chiesto più volte)
D. Come è cambiato il vostro ruolo di genitore, e come siete riusciti a stabilire con Filippo una relazione nuova che tenesse conto della sua malattia e della sua situazione?
R. Non è stato difficile: non per nostra bravura e capacità, ma per “grazia”. Con Filippo abbiamo avuto il grande dono di avere un rapporto di grande amore, fin dall’inizio, nella normalità di una famiglia come tante (con il bambino birichino che fa perdere le staffe al babbo, che perde la pazienza e allunga uno scapaccione; con la mamma che perde la pazienza e urla…). Con lui abbiamo avuto un dialogo profondo fin da quando era bambino, fatto non tanto di parole, quanto di una grande complicità e affinità di spiriti. Negli anni tante volte ci siamo sentiti privilegiati, per avere un bambino e un figlio così, che a parte qualche arrabbiatura normale, non ci ha mai dato preoccupazioni e motivi per lamentarci, né per lo studio, né per il comportamento. Quando si è ammalato, abbiamo fatto insieme il cambiamento necessario, che è avvenuto come una naturale evoluzione della nostra vita: ci siamo ritrovati tutti e tre insieme catapultati d’improvviso in una realtà, quella della malattia grave, che avremmo pensato sempre lontana da noi. Noi genitori abbiamo avuto da subito l’energia, la forza, il coraggio e la serenità necessari per affrontare una situazione che, vista dall’esterno, sembra impossibile poter sostenere. E questo è stato il primo miracolo avvenuto in questa storia, perché per il nostro carattere non saremmo stati capaci di reagire come è avvenuto: siamo certi che è stato l’aiuto di Dio, chiesto per Filippo e per noi da tantissime persone, che hanno pregato fin dalle prime avvisaglie della malattia. Anche la reazione di Filippo è stata “speciale”: nonostante la preoccupazione (che non ha mai esternato) e lo stato fisico di sofferenza, è rimasto sereno e questo suo modo di essere anche nella sofferenza, che era sempre più evidente, è quello che ha sempre sorpreso le persone che sono venute a trovarlo. La stessa complicità che abbiamo sempre avuto (anche se probabilmente non ce ne siamo mai resi pienamente conto), l’abbiamo avuta ancora più profonda, durante la prova della malattia. Non abbiamo avuto bisogno di tante parole, ma il nostro modo di stare insieme parlava: noi abbiamo cercato di sostenere e proteggere il nostro “bambino”, per quello che ci è stato possibile, e lo stesso ha fatto lui con noi, cercando di proteggerci dal dolore.
D. Quanto è stata importante la fede per voi, per Filippo e per tutta la vostra famiglia?
R. La fede fa parte di noi e della nostra famiglia, è inscindibile da noi, è l’anima della nostra vita. Come ogni persona è una sola cosa fra corpo e anima (o spirito o comunque lo si voglia definire), così per noi la fede e la vita concreta sono una sola cosa. Intendiamoci: questo non vuol dire assolutamente che anche per noi non ci siano stati dubbi, momenti di stanchezza, momenti di prova e forse anche di rabbia, non solo nella malattia di Filippo, ma nel cammino della vita in generale. La fede è un cammino che incomincia in un certo momento della vita (ognuno ha il “suo”) e non finisce mai, a meno che uno non scelga di interromperlo. Anche Filippo, nonostante la sua giovane età, aveva già compiuto un cammino di fede, in un modo molto semplice e normale, tanto che noi non ci siamo accorti della sua profondità, fino alla fine della sua vita terrena. Il tempo della malattia gli è servito per fare un salto di “qualità”: è stato messo alla prova, “Dio l’ha provato e l’ha trovato degno di sé; l’ha saggiato come oro nel crogiuolo e l’ha gradito come l'offerta di un olocausto.” (Sap. 3,5-6) Nell’anno e mezzo fra la scoperta della malattia e la sua nascita al Cielo, ha avuto momenti di dubbio, di rabbia, di paura, ma con la grazia di Dio e il sostegno delle tante preghiere, che lui ha sentito (come ha scritto nella sua seconda lettera), ha superato la prova trovando la sua vittoria.
D. “Riguardo alla domanda che mi sono posto sul ‘male’ io ho trovato la mia risposta: ciò che ci accade, nel bene e nel male, sono tutte ‘sfide’ che Dio ci pone e, a seconda del modo in cui le affrontiamo, Egli prepara la nostra ricompensa. Ognuno deve trovare la propria risposta”. Sono parole di Filippo. Come ha vissuto la malattia, vi aspettavate una testimonianza e una forza simili?
R. Noi non ci aspettavamo che Filippo si ammalasse e ci lasciasse, perciò non ci aspettavamo neanche che gli “toccasse” dare una simile testimonianza! No, non ce l’aspettavamo, perché non ci rendevamo conto di avere con noi un’anima speciale. Per noi era tutto normale, perché lo avevamo sempre sotto gli occhi, lo abbiamo visto crescere e siamo cresciuti insieme con lui; abbiamo fatto un cammino, che Dio ci ha fatto fare e di questo ne siamo certi, per prepararci a quel momento. Anche durante la malattia non ci siamo resi conto della straordinarietà del nostro figlio, fino alla fine: allora, quando la fede di Filippo si è svelata in tutta la sua forza, ci siamo avveduti di avere avuto per tutti quegli anni un bambino e un ragazzo speciale. Filippo ha vissuto la sua malattia, fin dall’inizio, con fiducia in Dio, nella consapevolezza che Lui avrebbe potuto compiere il miracolo in qualunque momento e di miracolo infatti ha parlato in modo più o meno velato, nella sua lettera, quando racconta la sua “guarigione”. Abbiamo pregato insieme, la sera prima di dormire, recitando anche il Rosario (spesso solo un mistero, ma era tanto!). Uno dei primi giorni di malattia, dicendo i misteri dolorosi, si mise a piangere mentre ascoltava una delle meditazioni scritte da san Giovanni Paolo II, dove si parla della malattia come condivisione della croce di Gesù: lui si rendeva conto che era quello che stava vivendo, quello a cui era chiamato, non per sua scelta. Quando la malattia è tornata, con una recidiva aggressiva che lo ha riempito di metastasi e non gli ha dato scampo, che lo ha reso paralizzato dalla vita in giù, perché lo ha colpito alla colonna vertebrale, c’è stato un mese di “deserto”, una prova veramente dura, per tutti e tre. In quelle settimane Filippo ha provato paura, angoscia, rabbia, ha avuto attacchi di panico. Poi di punto in bianco, il 15 di agosto, dopo un colloquio con la sua dottoressa tutor che gli ha esposto la situazione, con delicatezza ma anche con realismo, lui ha trovato una pace ed una serenità profonda che non lo hanno più abbandonato.
In tutti questi mesi di malattia non ha mai perso la voglia di vivere e di combattere fino in fondo, ha vissuto ogni istante con pienezza e intensità, senza mai perdere la speranza anche nella possibilità di un miracolo per guarire, fino agli ultimi giorni. Tant’è che, quando si arrese all’evidenza che ormai i medici non potevano fare più niente per lui, chiese di andare in pellegrinaggio a Lourdes; non fu possibile per il repentino peggioramento delle sue condizioni, ma in “alternativa”, grazie all’aiuto di Caterina Bellandi, di Taxi Milano 25, e alla disponibilità della Misericordia e dei suoi volontari, lo potemmo accompagnare in pellegrinaggio al santuario della Divina Misericordia a Collevalenza, sei giorni prima della sua partenza (al quale si preparò con un profondo desiderio di essere pronto), dove rinnovò le sue promesse battesimali nella Liturgia delle acque, fece il bagno nelle piscine aiutato dal babbo e dagli accompagnatori della Misericordia, prese l’ultima messa ricevendo la sua ultima comunione. Siamo certi che anche questo pellegrinaggio non sia avvenuto “per caso”. Non ha mai perso il suo splendido sorriso, neanche nei momenti peggiori. Solo la sofferenza (che nessuno può sapere) degli ultimi giorni, gliel’ha potuto togliere, ma solo per poco: perché nel momento stesso del “transito” il suo volto ha riacquistato subito un aspetto disteso e sorridente.
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