Stati Uniti, Nella corsa alla Casa Bianca si va verso un testa a testa tra Hillary Clinton e Donald Trump.
Radio Vaticana - Nel "supermartedì", nel quale ieri si è votato in 14 Stati, in campo democratico l’ex first lady si è aggiudicata 8 Stati, 4 sono andati a Bernie Sanders. Nel Partito repubblicano, Trump primeggia in 7 Stati, 3 per Cruz, un solo Stato a Rubio. Possiamo, dunque, dire che Clinton e Trump abbiano messo una seria ipoteca sulla candidatura alla presidenza? Giancarlo La Vella lo ha chiesto all’americanista, Paolo Mastrolilli, del quotidiano La Stampa, raggiunto telefonicamente a New York:
R. – Per quanto riguarda la parte democratica, Bernie Sanders intende competere fino alla convention per cercare, qualora non fosse scelto come candidato, come ormai è altamente probabile, per cercare di condizionare comunque il programma del partito cercando di spingere la sua politica più a sinistra e comunque rimanere alla guida dell’area progressista del Partito democratico. Dalla parte repubblicana, Cruz e Rubio sostengono che resteranno in corsa perché l’establishment del Partito repubblicano ritiene in realtà che Trump non sia eleggibile a novembre e, quindi, sta cercando di individuare un candidato alternativo. Il problema è che non hanno ancora trovato questo candidato unico alternativo e quindi la divisione tra le varie fazioni favorisce Trump. Tanto Cruz quanto Rubio, però, stanno chiedendo agli altri candidati di ritirarsi, per fare in modo che uno di loro possa emergere come alternativa a Trump. Quindi, continueranno ad andare avanti anche se adesso naturalmente il vantaggio che ha acquisito il costruttore miliardario in termini di Stati vinti, ma soprattutto di delegati che ha raccolto, rende molto difficile questo tentativo di fermarlo.
D. – L’opinione pubblica internazionale, come è naturale, guarda con molta attenzione all’elezione del capo della Casa Bianca. Quali ricadute a livello di politica estera dall’elezione del candidato democratico o repubblicano?
R. – Questa naturalmente è un’attenzione giustificata, perché gli Stati Uniti continuano a essere Paese leader mondiale, lo Stato fondamentale per risolvere e affrontare le tante crisi globali che minacciano la stabilità del pianeta. Proviamo a fare questo discorso però provando ad analizzare le reazioni che ci sono all’interno degli stessi partiti americani. Il fatto che l’establishment repubblicano non sia convinto di eleggere Trump e che, appunto, lo ritenga una persona che a novembre perderebbe e comunque non sarebbe abbastanza affidabile per gestire il Paese, dice già qualcosa sulla preoccupazione che questo candidato crea all’interno dei suoi stessi compagni di partito. Naturalmente, questo giustifica le preoccupazioni per le posizioni che ha preso sull’immigrazione, sui rapporti con gli altri Stati, come la Cina e la Russia. Tutto questo crea naturalmente preoccupazione sul fatto che la sua elezione possa provocare instabilità invece che risolvere i problemi. Nel caso di Hillary Clinton, ci sarebbe una soluzione di maggiore continuità. È stata il aegretario di Stato durante l’amministrazione Obama per quattro anni, alle spalle ha l’establishment del Partito democratico e molte persone che lavorano per lei già hanno fatto esperienza alla Casa Bianca, sia durante la presidenza del marito Bill, che con l’amministrazione in corso. Quindi, non ci sarebbe da aspettarsi dei grandi cambiamenti sulla linea di politica estera.
D. – Hillary Clinton potrebbe diventare il primo presidente americano donna. Anche questo è un aspetto che conta in queste elezioni?
R. – Hillary Clinton spera di diventare il primo presidente donna, però è significativo un fatto: finora, durante le primarie democratiche il candidato che ha ottenuto più voti tra l’elettorato femminile è stato Sanders, soprattutto tra le donne più giovani. Quindi, in realtà Hillary deve ancora portare avanti un lavoro più significativo per convincere le donne che lei sia la candidata migliore. Molte di queste donne hanno detto che per loro essere donna non basta per scegliere il candidato e quindi il fatto che Hillary sia una donna non è sufficiente per avere il loro voto. Deve convincerle sui programmi. Finora non ci è riuscita. La speranza naturalmente è di conquistare questo elettorato e riuscire in questa maniera a diventare la prima donna ad entrare alla Casa Bianca.
R. – Per quanto riguarda la parte democratica, Bernie Sanders intende competere fino alla convention per cercare, qualora non fosse scelto come candidato, come ormai è altamente probabile, per cercare di condizionare comunque il programma del partito cercando di spingere la sua politica più a sinistra e comunque rimanere alla guida dell’area progressista del Partito democratico. Dalla parte repubblicana, Cruz e Rubio sostengono che resteranno in corsa perché l’establishment del Partito repubblicano ritiene in realtà che Trump non sia eleggibile a novembre e, quindi, sta cercando di individuare un candidato alternativo. Il problema è che non hanno ancora trovato questo candidato unico alternativo e quindi la divisione tra le varie fazioni favorisce Trump. Tanto Cruz quanto Rubio, però, stanno chiedendo agli altri candidati di ritirarsi, per fare in modo che uno di loro possa emergere come alternativa a Trump. Quindi, continueranno ad andare avanti anche se adesso naturalmente il vantaggio che ha acquisito il costruttore miliardario in termini di Stati vinti, ma soprattutto di delegati che ha raccolto, rende molto difficile questo tentativo di fermarlo.
D. – L’opinione pubblica internazionale, come è naturale, guarda con molta attenzione all’elezione del capo della Casa Bianca. Quali ricadute a livello di politica estera dall’elezione del candidato democratico o repubblicano?
R. – Questa naturalmente è un’attenzione giustificata, perché gli Stati Uniti continuano a essere Paese leader mondiale, lo Stato fondamentale per risolvere e affrontare le tante crisi globali che minacciano la stabilità del pianeta. Proviamo a fare questo discorso però provando ad analizzare le reazioni che ci sono all’interno degli stessi partiti americani. Il fatto che l’establishment repubblicano non sia convinto di eleggere Trump e che, appunto, lo ritenga una persona che a novembre perderebbe e comunque non sarebbe abbastanza affidabile per gestire il Paese, dice già qualcosa sulla preoccupazione che questo candidato crea all’interno dei suoi stessi compagni di partito. Naturalmente, questo giustifica le preoccupazioni per le posizioni che ha preso sull’immigrazione, sui rapporti con gli altri Stati, come la Cina e la Russia. Tutto questo crea naturalmente preoccupazione sul fatto che la sua elezione possa provocare instabilità invece che risolvere i problemi. Nel caso di Hillary Clinton, ci sarebbe una soluzione di maggiore continuità. È stata il aegretario di Stato durante l’amministrazione Obama per quattro anni, alle spalle ha l’establishment del Partito democratico e molte persone che lavorano per lei già hanno fatto esperienza alla Casa Bianca, sia durante la presidenza del marito Bill, che con l’amministrazione in corso. Quindi, non ci sarebbe da aspettarsi dei grandi cambiamenti sulla linea di politica estera.
D. – Hillary Clinton potrebbe diventare il primo presidente americano donna. Anche questo è un aspetto che conta in queste elezioni?
R. – Hillary Clinton spera di diventare il primo presidente donna, però è significativo un fatto: finora, durante le primarie democratiche il candidato che ha ottenuto più voti tra l’elettorato femminile è stato Sanders, soprattutto tra le donne più giovani. Quindi, in realtà Hillary deve ancora portare avanti un lavoro più significativo per convincere le donne che lei sia la candidata migliore. Molte di queste donne hanno detto che per loro essere donna non basta per scegliere il candidato e quindi il fatto che Hillary sia una donna non è sufficiente per avere il loro voto. Deve convincerle sui programmi. Finora non ci è riuscita. La speranza naturalmente è di conquistare questo elettorato e riuscire in questa maniera a diventare la prima donna ad entrare alla Casa Bianca.
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