Dalle intimidazioni si è passato ai fatti. Le Chiese cristiane cilene continuano a pagare l’accusa di essere conniventi dello Stato contro il popolo Mapuche. Smentite dai vertici pastorali, che anzi ribadiscono un pieno coinvolgimento del popolo amerindo nelle attività liturgiche.
All’alba di ieri una cappella cattolica è stata incendiata nella regione di Antiquina, nel comune di Cañete. L’edificio è stato distrutto completamente dalle fiamme e come nei precedenti casi incendiari, è seguito il ritrovamento di una tela con scritte contro la Chiesa, rea – a loro modo – di essere complice delle persecuzioni statali contro il popolo mapuche. Un pretesto costruito a regola d’arte: è questo ciò che in realtà accade in Cile. La profanazione dei luoghi sacri è una manovra politica, pilotata dagli attivisti e detrattori del Clero locale, il quale invece continua a spendere le proprie energie a favore degli ultimi.
Monsignor Hector Eduardo Vargas, Vescovo di Temuco, spiega che: “le chiese bruciate si trovano nelle comunità mapuche, dobbiamo pensare che queste chiese sono state costruite da loro stessi. I mapuche – continua il prelato – come ad esempio il gruppo dei loncos, sono i primi animatori delle comunità: guidano il catechismo, sono missionari laici, hanno perfino seminaristi. Le persone ora sono spaventate. Questi attacchi colpiscono non solo la Chiesa, ma le stesse comunità del posto. Il popolo mapuche è profondamente religioso e la soluzione definitiva parte dal dialogo".
Ma chi sono i mapuche? Quando nasce il cosiddetto “conflitto mapuche”?
Il popolo amerindo originario del Cile centrale e Meridionale è una variegata etnia la cui economia è sostanzialmente agricola. Organizzati in società secondo famiglie estese, sono alle dipendenze di un “capo”. Attualmente vivono tra il Cile e l’Argentina.
Dagli anni ’90 dello scorso secolo, tale gruppo si contrappone agli imprenditori e ai colossi agricoli a causa delle proprietà terriere. La Chiesa locale è dunque messa in mezzo a uno scontro che non le appartiene, anzi cerca di mediare per una risoluzione pacifica. Purtroppo gli opuscoli con la scritta “Tutte le chiese saranno bruciate” o le dichiarazioni per le quali “a Chiesa ha dimostrato di essere un membro in più dello Stato, e non ci sarà pace fino a quando la Chiesa non sarà espulsa dal territorio mapuche”, non fanno altro che incentivare il clima dell’odio, sterile e distruttivo.
Eliminare i luoghi di culto con atti vandalici equivale a cancellare parte della Storia di un popolo, oltre che arrecare danni alle persone. Le violenze consumate in Cile devono essere arginate attraverso una seria azione di tutela che preveda il diritto alla memoria, il diritto alla salvaguardia della tradizione, senza considerare che tale agire insensato, scredita il popolo mapuche nel riconoscimento della loro identità.
di Dario Cataldo
All’alba di ieri una cappella cattolica è stata incendiata nella regione di Antiquina, nel comune di Cañete. L’edificio è stato distrutto completamente dalle fiamme e come nei precedenti casi incendiari, è seguito il ritrovamento di una tela con scritte contro la Chiesa, rea – a loro modo – di essere complice delle persecuzioni statali contro il popolo mapuche. Un pretesto costruito a regola d’arte: è questo ciò che in realtà accade in Cile. La profanazione dei luoghi sacri è una manovra politica, pilotata dagli attivisti e detrattori del Clero locale, il quale invece continua a spendere le proprie energie a favore degli ultimi.
Monsignor Hector Eduardo Vargas, Vescovo di Temuco, spiega che: “le chiese bruciate si trovano nelle comunità mapuche, dobbiamo pensare che queste chiese sono state costruite da loro stessi. I mapuche – continua il prelato – come ad esempio il gruppo dei loncos, sono i primi animatori delle comunità: guidano il catechismo, sono missionari laici, hanno perfino seminaristi. Le persone ora sono spaventate. Questi attacchi colpiscono non solo la Chiesa, ma le stesse comunità del posto. Il popolo mapuche è profondamente religioso e la soluzione definitiva parte dal dialogo".
Ma chi sono i mapuche? Quando nasce il cosiddetto “conflitto mapuche”?
Il popolo amerindo originario del Cile centrale e Meridionale è una variegata etnia la cui economia è sostanzialmente agricola. Organizzati in società secondo famiglie estese, sono alle dipendenze di un “capo”. Attualmente vivono tra il Cile e l’Argentina.
Dagli anni ’90 dello scorso secolo, tale gruppo si contrappone agli imprenditori e ai colossi agricoli a causa delle proprietà terriere. La Chiesa locale è dunque messa in mezzo a uno scontro che non le appartiene, anzi cerca di mediare per una risoluzione pacifica. Purtroppo gli opuscoli con la scritta “Tutte le chiese saranno bruciate” o le dichiarazioni per le quali “a Chiesa ha dimostrato di essere un membro in più dello Stato, e non ci sarà pace fino a quando la Chiesa non sarà espulsa dal territorio mapuche”, non fanno altro che incentivare il clima dell’odio, sterile e distruttivo.
Eliminare i luoghi di culto con atti vandalici equivale a cancellare parte della Storia di un popolo, oltre che arrecare danni alle persone. Le violenze consumate in Cile devono essere arginate attraverso una seria azione di tutela che preveda il diritto alla memoria, il diritto alla salvaguardia della tradizione, senza considerare che tale agire insensato, scredita il popolo mapuche nel riconoscimento della loro identità.
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