sabato, aprile 02, 2016
Le riforme istituzionali lanciate da Deng Xiaoping per evitare il ripetersi degli orrori del maoismo sono state buttate a mare dall’attuale leader supremo, che oramai va chiamato “nucleo centrale della leadership”. 

AsiaNews - Nel dicembre del 2015, il presidente cinese Xi Jinping – anche Segretario generale del Partito comunista e presidente della Commissione militare centrale – ha assunto un nuovo titolo, quello di “nucleo centrale della leadership”. Questo è soltanto uno dei recenti segnali che indicano la costruzione di un culto della personalità di tipo maoista intorno al leader 62enne. All’interno dell’apparato Stato-Partito della Cina, il presidente e Segretario generale del Partito comunista cinese ha emanato nuove istruzioni sulla “assoluta fedeltà” che i quadri devono alla leadership. Mentre visitava tre dei più importanti organi di stampa del Partito, Xi ha chiesto ai giornalisti di “mantenere un alto livello di uniformità di visione con le autorità centrali del Pcc nel campo del pensiero, della politica e dell’azione”. Mentre alcuni degli osservatori che si interessano di Cina si sono chiesti se stia iniziando – cinquant’anni dopo quella di Mao Zedong – una nuova, disastrosa Rivoluzione culturale, altri si sono concentrati su una questione che ha molta più importanza dal punto di vista pratico per lo sviluppo organico della Cina: se il culto della personalità di Xi sia stato costruito per prolungare il suo dominio oltre i soliti 10-15 anni.

Questa questione assume ancora più importanza dato che i preparativi per il 19mo Congresso del Partito previsto per il prossimo anno – che fra i suoi compiti più importanti ha quello di cooptare una nuova, giovane generazione di leader nel Politburo e nella Commissione permanente che lo dirige – inizieranno a breve. All’inizio del marzo 2016, l’apparato incaricato della propaganda ha fatto circolare un’istruzione di Xi: tutti i quadri devono studiare un articolo scritto da Mao Zedong e intitolato “I metodi di lavoro delle Commissioni del Partito”. Nel pezzo, datato 1949, il Grande Timoniere invitava con forza i compagni a “seguire da vicino” il banzhang – letteralmente “il capo della classe sociale”, più spesso “il capo” – e a “non fare commenti infondati dietro alle sue spalle” [People’s Daily e Cable Tv, 26 febbraio]. Questo concetto suona simile ai precedenti dettami di Xi che, almeno secondo i suoi detrattori, miravano a imporre uniformità di pensiero fra i quadri. Lo scorso anno diversi funzionari di alto livello – fra cui l’ex Segretario dell’Henei Zhou Benshen e l’ex governatore del Sichuan Wei Hong – sono stati arrestati per aver istigato al wangyi [“pronunciare critiche infondate”] e per “essere stati sleali” nei confronti della leadership [Caixin.com, 4 febbraio; News.China.com, 10 gennaio]. Dato il nuovo status di Xi – “nucleo centrale della leadership” – di fatto questi compagni sono stati sottoposti ad azione disciplinare perché hanno fallito nel professare lealtà a Xi stesso. Dopo tutto infrazioni come il wangyi e la slealtà – soltanto da poco inserite nella lista delle violazioni disciplinari – sono state definite “troppo vaghe” e “troppo soggette all’interpretazione arbitraria della leadership” [Apple Daily, 2 novembre 2015; BBC Chinese; 20 ottobre 2015].

Durante la sua visita di ispezione al People’s Daily, all’agenzia Xinhua e alla China Central Television, Xi sembrava soltanto voler riproporre le tradizionali politiche di propaganda del Partito
quando ha chiesto a giornalisti e commentatori di “amare e proteggere il Partito” facendo in modo di “materializzare la volontà del Partito, riflettere i suoi punti di vista e salvaguardarne l’autorità” [People’s Daily, 20 febbraio]. Tuttavia, alla luce dello status “più grande della vita stessa” che Xi ha assunto, si potrebbe pensare che oramai il Partito e Xi siano la stessa cosa. Come ha notato il rispettato storico di Pechino Zhang Lifan riguardo il tour del presidente nelle tre istituzioni mediatiche, “il suo messaggio è stato: ‘Io sono l’unico grande boss, e voi dovete servirmi bene’”. [Ming Pao, 20 febbraio]. Lo status semi-divino di Xi di chiara matrice maoista è stato illustrato dalle meravigliose qualità che ora gli vengono attribuite. Una giovane giornalista dello staff della CCTV ha descritto la stretta di mano di Xi come “piena di carne e calda in modo particolare”. Secondo quanto detto da lei stessa, non si è lavata la mano per il resto della giornata [VOA Chinese e Eastday.com, 28 febbraio].

 La ricaduta politica più significativa dell’accentramento di poteri da parte di Xi è che in questo modo egli potrebbe mettere da parte la nota tradizione della leadership centrale di rimanere in carica per non più di 10 anni. Come risultato delle riforme istituzionali varate da Deng Xiaoping all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, la Costituzione cinese stabilisce che un premier o un presidente dello Stato non possano servire la nazione per più di un decennio. La Carta fondante del Partito comunista cinese, tuttavia, non pone limiti di tempo a posizioni come Segretario generale o capo della Commissione militare centrale, limitandosi a dire che nessuno può tenere queste cariche “a vita” e sottolineando che i compagni “con problemi di salute o di età” dovrebbero dimettersi. Inoltre, il concetto di “nucleo centrale della leadership” sembra portare con sé uno status speciale: Xi potrebbe essere in grado di seguire regole diverse da quelle degli altri, senza essere legato a termini correlati al suo ufficio o alle sue cariche. Sin dalla fine del 2015, questi sviluppi hanno generato diverse speculazioni secondo le quali Xi rimarrà al suo posto almeno fino al 21mo Congresso del Partito del 2027, quando avrà 74 anni [Ming Pao, 15 febbraio; Radio Free Asia, 8 febbraio]. In una nazione che rispetta gli anziani, diversi leader recenti – fra cui Deng e l’ex presidente Jiang Zemin – sono rimasti influenti ben oltre l’80mo compleanno. L’indicazione più evidente del desiderio di rimanere al potere per altri 15 anni o più verrà dallo stesso Xi Jinping, e da quanto si dimostrerà impaziente di far crescere i funzionari della Sesta Generazione (termine con cui si indicano i quadri nati negli anni Sessanta) promuovendoli nella Commissione permanente del Politburo durante il 19mo Congresso del Partito.

Al 18mo, quattro anni fa, soltanto due stelle nascenti della Sesta Generazione sono stati inseriti nel Politburo ordinario. Sono il Segretario comunista del Guangdong Hu Chunhua (nato nel 1963) e il Segretario della municipalità di Chongqing Sun Zhengcai (del 1963). Hu, ex primo segretario della Lega comunista giovanile, è un protetto dell’ex presidente Hu Jintao, che guida la fazione della Lega nelle politiche interne al Partito. Sun, ex ministro dell’Agricoltura, è considerato vicino all’ex premier Wen Jiabao. Se Xi volesse attenersi alle norme tradizionali, dovrebbe promuovere i due nella Commissione permanente del Politburo durante il prossimo Congresso, in modo da prepararli a divenire rispettivamente Segretario generale e primo ministro al 20mo Congresso del Partito, previsto per il 2022. Non è un segreto, tuttavia, che Xi voglia infrangere la tradizione che prevede che sia il suo predecessore a scegliere il suo successore. Si tratta di una designazione “infra-generazionale” che nasce durante il 14mo Congresso del Partito (1992): qui Deng Xiaoping scelse Hu Jintao come successore di Jiang Zemin; allo stesso modo, nel 17mo Congresso (2007) Jiang indicò Xi come leader. In modo particolare, l’attuale presidente è fortemente contrario alla scelta di Hu Chunhua, sostenitore della fazione della Lega giovanile a lui contraria, come suo successore [Chinadigitaltimes.net, 15 gennaio; Radio Free Asia, 17 agosto 2015]. Al tempo stesso, Xi sta preparando i suoi uomini della Sesta Generazione per assumere ruoli chiave nel Partito. Il fatto che quasi tutti questi neofiti manchino della statura e dell’esperienza per entrare il prossimo anno nella Commissione permanente del Politburo non sembra preoccupare il presidente. In effetti, questo potrebbe divenire un pretesto molto conveniente per rimandare di cinque anni il processo di ricambio della leadership. In altre parole, la Commissione permanente del Politburo che verrà delineata durante il 19mo Congresso del Partito sarà ancora dominata dai leader della Quinta Generazione (ovvero quei compagni nati negli anni Cinquanta), proprio come Xi e come il premier Li Keqiang.

Le stelle “in media crescita” vicini a Xi saranno incluse soltanto durante il 20mo Congresso. Dopo averli addestrati per cinque anni, il “nucleo centrale della leadership” potrebbe cedere il bastone del comando in maniera ufficiale nel 2027. Fino ad oggi, i funzionari della Sesta Generazione vicini a Xi che hanno goduto delle luci della ribalta consistono negli aiutanti personali del Segretario generale e nei suoi ex segretari. Prendiamo ad esempio Ding Xuexiang (nato nel 1962), un amministratore capace che era il braccio destro di Xi quando quest’ultimo ricopriva l’incarico di Segretario del Partito di Shanghai, nel 2007. Ding, che ha studiato ingegneria meccanica, è divenuto a metà del 2013 direttore dell’Ufficio del presidente e vice direttore dell’Ufficio generale centrale del Partito comunista cinese. Nel gennaio 2016, Ding è stato promosso a vice direttore esecutivo di quest’ultimo Ufficio, e questo dimostra che potrebbe assumerne il comando e divenire membro del Politburo durante il 19mo Congresso del Partito. L’attuale direttore esecutivo e membro del Politburo, Li Zhanshu, potrebbe divenire in contemporanea membro della Commissione permanente [Hong Kong Economic Journal, 15 febbraio; Chinaelections.com, 24 agosto 2015]. Una affermazione simile è stata quella di Zhong Shaojun (nato nel 1968), un tempo funzionario anziano del Dipartimento dell’organizzazione della provincia del Zhejiang quando Xi era Segretario del Partito della provincia, ovvero dal 2002 al 2007. Zhong si è spostato con Xi a Shanghai – e poi nel quartiere della leadership nazionale, Zhongnanhai, quando Xi entra nella Commissione permanente nel 2007 – come suo aiutante personale. Nel 2013 sempre Zhong, che non ha alcuna esperienza militare, è stato paracadutato nella gerarchia dell’Esercito di liberazione popolare come direttore dell’Ufficio del presidente della Commissione militare centrale e vice direttore dell’Ufficio generale della Commissione. Zhong ha giocato un ruolo centrale nell’aiutare il suo capo a catturare le “tigri corrotte”, in modo particolare i seguaci dei due vice presidenti della Commissione caduti in disgrazia, i generali Xu Caihou e Guo Boxiong. Nel corso del 19mo Congresso Zhong è in predicato di divenire direttore dell’Ufficio generale della Commissione militare centrale, ufficio che ha guadagnato moltissima influenza durante le ambiziose ristrutturazioni del settore militare lanciate dalla leadership negli ultimi mesi [South China Morning Post, 11 marzo 2015; Reuters, 17 aprile 2014]. Fra gli altri funzionari della Sesta Generazione con rosee prospettive di carriera vi è Li Shuli (nato nel 1964), che era l’assistente di Xi quando quest’ultimo ricopriva la carica di presidente della Scuola centrale del Partito dal 2007 al 2012.

Li, che attualmente ha la carica di capo dell’Ufficio per l’ispezione disciplinare all’interno della Commissione comunista di Pechino, potrebbe guadagnare il rango di capo della struttura per l’ideologia e la propaganda. Vi sono poi il Segretario del Partito di Guizhou, Chen Min’er (1960) e il governatore del Zhejiang Li Quang. Entrambi hanno “risolto problemi” per Xi quando il capo del Partito provinciale era lui. Entrambi hanno delle ragionevoli opportunità di entrare nel Politburo ordinario durante il prossimo Congresso [Apple Daily, 2 febbraio; Radio Free Asia, 8 settembre 2015]. Di fatto, mentre gli ex presidenti Jiang Zemin e Hu Jintao hanno entrambi costruito enormi “cricche” personali – rispettivamente la Fazione di Shanghai e quella della Lega giovanile – la cosiddetta “cricca” di Xi Jinping è ancora allo stadio embrionale [China Brief, 15 febbraio 2013].

Questa è una ragione in più perché il “nucleo centrale della leadership” Xi ritenga necessario rimanere al potere almeno per altri tre mandati quinquennali, in modo da poter costruire la sua corte di successori e seguaci: questi avranno fra gli altri il compito di salvaguardare quella che molti osservatori definiscono un’eredità “controversa”. Che tutto questo rappresenti di fatto un enorme passo indietro rispetto alle riforme istituzionali volute da Deng Xiaoping – e introdotte per prevenire il ritorno delle norme dell’epoca maoista – sembra preoccupare ben poco Xi Jinping. La cui più grande ambizione sembra essere quella di divenire il Mao Zedong del 21mo secolo.

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