sabato, maggio 14, 2016
La lotta contro la povertà non è “soltanto” un problema economico, ma “anzitutto” morale, tant’è vero che l’intera comunità mondiale è chiamata a individuare “risposte politiche, sociali ed economiche” all’attuale crisi dei profughi.  

Radio Vaticana - Così Papa Francesco ai partecipanti alla Conferenza internazionale “Iniziativa imprenditoriale nella lotta contro la povertà – L’emergenza profughi la nostra sfida”, organizzata dalla Fondazione Centesimus Annus – Pro Pontifice, a 25 anni dalla promulgazione della Lettera Enciclica di San Giovanni Paolo II. In Sala Clementina, il Pontefice ha ricordato pure come la disoccupazione giovanile sia uno “scandalo” da affrontare come “malattia sociale”. Il servizio di Giada Aquilino: ascolta

L’impegno della comunità internazionale, delle istituzioni, del mondo degli affari per un progresso economico volto “al bene comune, all’inclusione e allo sviluppo integrale, all’incremento del lavoro e all’investimento nelle risorse umane”. Torna su temi che gli stanno particolarmente a cuore il Papa, ricevendo i partecipanti alla Conferenza internazionale della Fondazione Centesimus Annus – Pro Pontifice, dedicata al contributo della comunità degli affari alla lotta contro la povertà, con riferimento all’attuale emergenza profughi. E’ Francesco stesso a parlare di una crisi a cui si sente “particolarmente vicino” e le cui proporzioni crescono “ogni giorno”, ricordando la recente visita a Lesbo, in cui – dice – con i “fratelli ortodossi” Bartolomeo I e Geronimo è stato testimone di “strazianti esperienze di sofferenza umana”, soprattutto di famiglie e bambini, di scene di “tragico e davvero disperato bisogno”:

“Al di là dell’immediato e pratico aspetto del fornire aiuto materiale a questi nostri fratelli e sorelle, la comunità internazionale è chiamata a individuare risposte politiche, sociali ed economiche di lungo periodo a problematiche che superano i confini nazionali e continentali e coinvolgono l’intera famiglia umana”.

Si tratta quindi di affrontare tali “questioni umanitarie” e gli “obblighi morali” che ne derivano per le nostre società, viste “le implicazioni pratiche ed etiche” dell’attuale economia mondiale, puntando – spiega il Pontefice - a “porre le fondamenta per una cultura economica e degli affari che sia più inclusiva e rispettosa della dignità umana”, perché la lotta contro la povertà non è “soltanto” un problema economico, ma “anzitutto” un problema morale: il riferimento è alla “solidarietà globale e allo sviluppo di un approccio più equo” nei confronti dei bisogni e delle aspirazioni degli individui e dei popoli in tutto il mondo:

“Come San Giovanni Paolo II ha più volte rilevato, l’attività economica non può essere condotta in un vuoto istituzionale o politico, ma possiede una essenziale componente etica; deve inoltre sempre porsi al servizio della persona umana e del bene comune”.

D’altra parte - come “l’esperienza quotidianamente ci mostra”, nota Francesco - una visione economica “esclusivamente” orientata al profitto e al benessere materiale è “incapace” di contribuire in modo positivo ad una globalizzazione “che favorisca lo sviluppo integrale dei popoli nel mondo, una giusta distribuzione delle risorse, la garanzia di lavoro dignitoso e la crescita dell’iniziativa privata e delle imprese locali”:

“Un’economia dell’esclusione e dell’inequità ha portato ad un più grande numero di diseredati e di persone scartate come improduttive e inutili”.

Gli effetti - mette in luce - si vedono anche nelle società più sviluppate, nelle quali povertà e decadimento sociale sono una seria minaccia “per le famiglie, per la classe media che si contrae e, in modo particolare, per i giovani”:

“I tassi di disoccupazione giovanile sono uno scandalo che non solo richiede di essere affrontato anzitutto in termini economici, ma che va affrontato anche, e non meno urgentemente, come una malattia sociale, dal momento che la nostra gioventù viene derubata della speranza e vengono sperperate le sue grandi risorse di energia, di creatività e di intuizione”.

Come ha insegnato il Concilio Vaticano II, per i cristiani l’attività economica, finanziaria e degli affari non può essere separata “dal dovere di lottare per il perfezionamento dell’ordine temporale in conformità con i valori del Regno di Dio”: l’auspicio finale del Papa è quello a “contribuire sempre alla crescita di quella civiltà dell’amore che abbraccia l’intera famiglia umana nella giustizia e nella pace”.


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