“Vogliamo stare con loro”. All’Angelus, il Papa ha fatto proprio il motto dell’Onu per la Giornata mondiale del rifugiato di domani per rilanciare nei loro riguardi l’impegno dell’accoglienza. Francesco ha spronato i cristiani ad assumere ogni giorno la “croce del proprio dovere”, della “disponibilità” verso gli ultimi, e ha concluso invitando alla preghiera per le Chiese ortodosse riunite in uno storico Concilio a Creta. Il servizio di Alessandro De Carolis: ascolta
Radio Vaticana - Se si è capaci di dare la risposta che Pietro diede a Gesù – e i cristiani, afferma Papa Francesco, “sono chiamati” a rispondere così – si accetta di caricarsi sulle spalle la “croce del proprio dovere” e della solidarietà “con i poveri”.
Vogliamo stare con i rifugiati
La riflessione che il Papa sviluppa prima di pregare l’Angelus diviene quasi la premessa spirituale dell’appello che segue, l’ennesimo per Francesco, che non perde occasione di radicare nella coscienza del mondo, soprattutto quello di spalle e indifferente, che i rifugiati non sono numeri di una massa da scansare ma “carne di Cristo” da accogliere e aiutare, come invita a fare il motto scelto dall’Onu per la Giornata mondiale del Rifugiato – “Noi stiamo dalla parte di chi è costretto a fuggire” – che Francesco cita alla vigilia dell’evento:
“I rifugiati sono persone come tutti, ma alle quali la guerra ha tolto casa, lavoro, parenti, amici. Le loro storie e i loro volti ci chiamano a rinnovare l’impegno per costruire la pace nella giustizia. Per questo vogliamo stare con loro: incontrarli, accoglierli, ascoltarli, per diventare insieme artigiani di pace secondo la volontà di Dio”.
Il vuoto e la risposta
Prima dell’appello, Francesco aveva fatto rimbalzare tra la folla la domanda di Gesù ai discepoli, cuore della liturgia domenicale: “Voi chi dite che io sia?”. Il Papa la personalizza indirizzandola a chi lo ascolta: “Chi è Gesù per ciascuno di noi?”. La risposta della fede, prosegue, non può che essere quella di Pietro, diretta a un mondo che ha “più che mai – ripete – bisogno di Cristo, della sua salvezza, del suo amore misericordioso”:
“Molte persone avvertono un vuoto attorno a sé e dentro di sé - forse alcune volte anche noi -; altre vivono nell’inquietudine e nell’insicurezza a causa della precarietà e dei conflitti. Tutti abbiamo bisogno di risposte adeguate ai nostri profondi interrogativi, ai nostri interrogativi concreti, esistenziali (...) Gesù conosce il cuore dell’uomo come nessun’altro. Per questo lo può sanare, donandogli vita e consolazione”.
Croce: servizio non ornamento
Dopo la domanda ai discepoli, Gesù indica loro, e alla Chiesa ogni giorno, la responsabilità che comporta il riconoscere in Lui il Figlio di Dio, quella della croce da prendere, ciascuno la propria:
“Non si tratta di una croce ornamentale, o una croce ideologica, ma è la croce della vita, è la croce del proprio dovere, la croce del sacrificarsi per gli altri con amore – per i genitori, per i figli, per la famiglia, per gli amici, anche per i nemici – la croce della disponibilità ad essere solidali con i poveri, a impegnarsi per la giustizia e la pace”.
C’è chi non rinnega
Certo, osserva a braccio Francesco, nell’assumere la croce “sempre si perde qualcosa”. E tuttavia…
“…è un perdere, per guadagnare. E ricordiamo tutti i nostri fratelli che ancora oggi mettono in pratica queste parole di Gesù, offrendo il loro tempo, il loro lavoro, la loro fatica e perfino la loro vita per non rinnegare la loro fede in Cristo”.
Preghiere per il Concilio Panortodosso
Dopo l’Angelus, il Papa ha ricordato la Beatificazione di ieri, a Foggia, della mistica del ‘700, Maria Celeste Crostarosa, quindi dalla finestra sulla piazza si è levato un augurio particolare rivolto alle Chiese che aprono a Creta il Concilio Panortodosso:
“Uniamoci alla preghiera dei nostri fratelli ortodossi, invocando lo Spirito Santo perché assista con i suoi doni i Patriarchi, gli Arcivescovi e i Vescovi riuniti in Concilio. E tutti assieme preghiamo la Madonna per tutti i nostri fratelli ortodossi”.
Radio Vaticana - Se si è capaci di dare la risposta che Pietro diede a Gesù – e i cristiani, afferma Papa Francesco, “sono chiamati” a rispondere così – si accetta di caricarsi sulle spalle la “croce del proprio dovere” e della solidarietà “con i poveri”.
Vogliamo stare con i rifugiati
La riflessione che il Papa sviluppa prima di pregare l’Angelus diviene quasi la premessa spirituale dell’appello che segue, l’ennesimo per Francesco, che non perde occasione di radicare nella coscienza del mondo, soprattutto quello di spalle e indifferente, che i rifugiati non sono numeri di una massa da scansare ma “carne di Cristo” da accogliere e aiutare, come invita a fare il motto scelto dall’Onu per la Giornata mondiale del Rifugiato – “Noi stiamo dalla parte di chi è costretto a fuggire” – che Francesco cita alla vigilia dell’evento:
“I rifugiati sono persone come tutti, ma alle quali la guerra ha tolto casa, lavoro, parenti, amici. Le loro storie e i loro volti ci chiamano a rinnovare l’impegno per costruire la pace nella giustizia. Per questo vogliamo stare con loro: incontrarli, accoglierli, ascoltarli, per diventare insieme artigiani di pace secondo la volontà di Dio”.
Il vuoto e la risposta
Prima dell’appello, Francesco aveva fatto rimbalzare tra la folla la domanda di Gesù ai discepoli, cuore della liturgia domenicale: “Voi chi dite che io sia?”. Il Papa la personalizza indirizzandola a chi lo ascolta: “Chi è Gesù per ciascuno di noi?”. La risposta della fede, prosegue, non può che essere quella di Pietro, diretta a un mondo che ha “più che mai – ripete – bisogno di Cristo, della sua salvezza, del suo amore misericordioso”:
“Molte persone avvertono un vuoto attorno a sé e dentro di sé - forse alcune volte anche noi -; altre vivono nell’inquietudine e nell’insicurezza a causa della precarietà e dei conflitti. Tutti abbiamo bisogno di risposte adeguate ai nostri profondi interrogativi, ai nostri interrogativi concreti, esistenziali (...) Gesù conosce il cuore dell’uomo come nessun’altro. Per questo lo può sanare, donandogli vita e consolazione”.
Croce: servizio non ornamento
Dopo la domanda ai discepoli, Gesù indica loro, e alla Chiesa ogni giorno, la responsabilità che comporta il riconoscere in Lui il Figlio di Dio, quella della croce da prendere, ciascuno la propria:
“Non si tratta di una croce ornamentale, o una croce ideologica, ma è la croce della vita, è la croce del proprio dovere, la croce del sacrificarsi per gli altri con amore – per i genitori, per i figli, per la famiglia, per gli amici, anche per i nemici – la croce della disponibilità ad essere solidali con i poveri, a impegnarsi per la giustizia e la pace”.
C’è chi non rinnega
Certo, osserva a braccio Francesco, nell’assumere la croce “sempre si perde qualcosa”. E tuttavia…
“…è un perdere, per guadagnare. E ricordiamo tutti i nostri fratelli che ancora oggi mettono in pratica queste parole di Gesù, offrendo il loro tempo, il loro lavoro, la loro fatica e perfino la loro vita per non rinnegare la loro fede in Cristo”.
Preghiere per il Concilio Panortodosso
Dopo l’Angelus, il Papa ha ricordato la Beatificazione di ieri, a Foggia, della mistica del ‘700, Maria Celeste Crostarosa, quindi dalla finestra sulla piazza si è levato un augurio particolare rivolto alle Chiese che aprono a Creta il Concilio Panortodosso:
“Uniamoci alla preghiera dei nostri fratelli ortodossi, invocando lo Spirito Santo perché assista con i suoi doni i Patriarchi, gli Arcivescovi e i Vescovi riuniti in Concilio. E tutti assieme preghiamo la Madonna per tutti i nostri fratelli ortodossi”.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.