Sinistra in Europa - Quello di ieri è un voto di tendenza nazionale. Nel quale molte forze si sono schierate sul campo, in posizioni anche di compromesso, ma sempre più d’opposizione. Il baricentro sembrerebbe essere stato il centrodestra, che di fatto ha spinto l’avanzata dei Cinque Stelle, anche a costo di polverizzandosi. Un fattore possibilmente importante anche in fase referendaria.
Delle stagioni precedenti, dall'avanzata Pci di metà anni ’70, dell’epoca di Mani Pulite, nel ’93 e della rivoluzione arancione di cinque anni fa restano le vestigia ed alcuni eredi. Un’eredità che, ad esempio, Sala ha rincorso nelle ultime settimane, cercando sempre più di affrancarsi da Renzi. Lo stesso Merola, a Bologna, è espressione di una sinistra chiusa dallo stesso leader in un recinto ideologico, pronto per esser gettato via.
Le due vincitrici di Torino e Roma sono due ragazze, sulla trentina, borghesi, che hanno avuto un proprio percorso professionale separato dalla politica, che anzi sono cresciute in un’epoca, gli anni ’80-’90 in cui i partiti di massa si apprestavano definitivamente a lasciare un vuoto colmato da nuovi modi di fare politica e comunicazione.
Immaginiamoci Virginia Raggi, come scrive Damilano su L’Espresso, che fa il suo ingresso nella stanza che fu dei “sindaci democristiani con i loro soprannomi fantastici, Salvatore Rebecchini, Amerigo Petrucci (il Gattone), Clelio Darida (la Volpe argentata), Nicola Signorello (Pennacchione), fa venire le vertigini”. Da ora lì dentro ci sarà una ragazza che in pochissimi mesi ha accumulato una quantità di voti che nessuno aveva mai visto. E sarà, la sua come quella dell’Appendino, la prova di maturità del Movimento che sembra essere riuscito ad affrancarsi dal comico-padrone che compare, stavolta, solo da una finestra d’hotel a Roma, agitando un appendino nero. I tempi dello Stretto di Messina a nuoto o delle cerchie d’auto fuori dalla villa nel 2013 sembrano lontani anni luce.
Oppure pensiamo a quella Sala Rossa di Torino, la capitale sabauda, che per quasi un quarto di secolo ha visto il centrosinistra come massima espressione politica. Ci voleva un onesto ed infausto veggente come Fassino per perdere l’identità di sinistra, prima (preferendo Marchionne alla CGIL), e l’elezione, poi (e partiva con undici punti di vantaggio al primo turno).
Le parole di Virginia Raggi, meno contenutistica del neo sindaco Appendino, sembrano delineare una strategia del marcare divisi per colpire uniti, secondo le logiche delle diverse situazioni. A Torino, infatti, possiamo parlare di una vittoria politica complessiva, figlia di un’opera di convincimento per certi versi più difficile rispetto a Roma, dove la vittoria era attesa.
In generale, i toni dei Cinque Stelle sembrano diversi da quelli marcatamente grillini delle prime affermazioni elettorali: si mettono punti alle polemiche, si chiede di lavorare, si parla alle opposizioni e si vuole rappresentare tutti i cittadini. E’ mancata la ricerca del nemico, smentendo la visione manichea “buoni/cattivi” presentata dal Pd, dimostrando che è in corso un tentativo per cambiare l'immagine del movimento. Un rinnovamento avviato anche alla luce dell’arroganza di Renzi, sin da referendum trivelle, in cui non ci fu discorso di unità, ma la conta interna, da vincitore contro i vinti.
Troppo premier e poco segretario, l’ex sindaco fiorentino ha commesso molti errori tattici: su tutti la mancata scissione tra l’alleanza in sentato con Verdini ed il territorio, ma anche la riproposizione di un’immagine strabordante di leader, che si è riverberata sui vari candidati. Il tutto rispetto ad un movimento, invece, capace di parlare a tanti e, da oggi, anche mettendo in un cassetto i toni gridati.
Un segnale affatto positivo per l’ormai ex Partito della Nazione, in vista della battaglia referendaria. Renzi dovrà cambiare il modo di comunicare, il limite dello spostamento Pd a centro-destra è forse stato toccato.
La domanda, dunque, diventa: il Pd che si è configurato oggi è dotato di capacità autocritica? La sua classe dirigente lo ha mantenuto? A giudicare dai commenti a cuor leggero dell’onorevole Esposito, mentre scorrevano le prime nefaste sentenze, si direbbe di no.
Riunirsi e parlare adesso diventa una necessità, e non come penserà qualche renziano per un’ulteriore conta interna, piuttosto per fare quello che non è stato fatto mesi fa, cercare di remare tutti nella stessa direzione.
In questa tornata, l'elettorato si è dimostrato fluido. L’unica eccezione è stato proprio il Pd, incapace d’intercettare questa fluidità. La vittoria di Bologna ne è un chiaro esempio, non tanto il caso di una città bene amministrata, quanto un centro in cui esiste ancora un sistema di potere ramificato, mediamente lontano dal Nazareno, che ha permesso al vittoria di Merola. Una vittoria di resistenza, appunto.
Se questa lettura dovesse rivelarsi azzeccata, inevitabilmente l'elettorato andrà progressivamente erodendosi, col rischio per Renzi di avvitarsi su Milano, su una vittoria "lineare" contro un avversario "simile", ma che non può essere considerato un laboratorio delle nuove rotte di partito, né permetterà di cogliere la tendenza che lo sta colpendo. Il risultato nella città dell’Expo è arrivato solo per l'errore di Parisi nell'aver rifiutato di fornire i nomi della giunta, con conseguenze pesanti sugli incerti, impauriti da un possibile ritorno dei vecchi (Lupi, Gelmini ecc). Un dettaglio che ha fatto la differenza.
La mancanza di un’analisi della sconfitta, rischierebbe di costituire un mancato passaggio probabilmente fatale ad ottobre. Il Pd ha bisogno di una rifondazione ideale e di un modo meno aspro di intendere la leadership, è necessario voltarsi nuovamente a sinistra e vedere i cocci che si sono lasciati indietro. Si chiude forse definitivamente l'epoca della rottamazione renziana ed ora volgere lo sguardo ad ottobre diventa difficile.
Nelle parole a caldo di Chiamparino, infatti, c'è voglia di Congresso. La Direzione si è per ora limitata ad annunciare la riunione del prossimo 24 giugno, quando, alla luce del voto Brexit, il tema Amministative potrebbe essere costretto allo sfondo.
Restano infine aperte alcune domande, che troveranno risposta soltanto nelle prossime settimane. Aspettiamoci, intanto, un Renzi sotto processo, vittima anche del proprio stesso Italicum: nel sistema elettorale che dovevano assicurargli la vittoria, queste amministrative hanno dimostrato che le alternative si sono create, anche in poco tempo. I due “Mattei” (perché anche Salvini non è certo uscito rafforzato dalla notte di ieri) non sono soli in campo e oggi ne abbiamo avuto la conferma.
Renzi si siederà ad un tavolo con la Raggi per ricostruire debito di Roma? Le sarà riservato un comportamento migliore rispetto a quanto fatto con Marino? I 5 Stelle a Torino potranno intervenire in materia di Tav, pur in "articulo mortis"? Questo voto sancisce un riscontro giovanile a favore dei pentastellati? Quanto il modello milanese di destra unita è praticabile altrove, dopo che la sconfitta è comunque arrivata?
Delle stagioni precedenti, dall'avanzata Pci di metà anni ’70, dell’epoca di Mani Pulite, nel ’93 e della rivoluzione arancione di cinque anni fa restano le vestigia ed alcuni eredi. Un’eredità che, ad esempio, Sala ha rincorso nelle ultime settimane, cercando sempre più di affrancarsi da Renzi. Lo stesso Merola, a Bologna, è espressione di una sinistra chiusa dallo stesso leader in un recinto ideologico, pronto per esser gettato via.
Le due vincitrici di Torino e Roma sono due ragazze, sulla trentina, borghesi, che hanno avuto un proprio percorso professionale separato dalla politica, che anzi sono cresciute in un’epoca, gli anni ’80-’90 in cui i partiti di massa si apprestavano definitivamente a lasciare un vuoto colmato da nuovi modi di fare politica e comunicazione.
Immaginiamoci Virginia Raggi, come scrive Damilano su L’Espresso, che fa il suo ingresso nella stanza che fu dei “sindaci democristiani con i loro soprannomi fantastici, Salvatore Rebecchini, Amerigo Petrucci (il Gattone), Clelio Darida (la Volpe argentata), Nicola Signorello (Pennacchione), fa venire le vertigini”. Da ora lì dentro ci sarà una ragazza che in pochissimi mesi ha accumulato una quantità di voti che nessuno aveva mai visto. E sarà, la sua come quella dell’Appendino, la prova di maturità del Movimento che sembra essere riuscito ad affrancarsi dal comico-padrone che compare, stavolta, solo da una finestra d’hotel a Roma, agitando un appendino nero. I tempi dello Stretto di Messina a nuoto o delle cerchie d’auto fuori dalla villa nel 2013 sembrano lontani anni luce.
Oppure pensiamo a quella Sala Rossa di Torino, la capitale sabauda, che per quasi un quarto di secolo ha visto il centrosinistra come massima espressione politica. Ci voleva un onesto ed infausto veggente come Fassino per perdere l’identità di sinistra, prima (preferendo Marchionne alla CGIL), e l’elezione, poi (e partiva con undici punti di vantaggio al primo turno).
Le parole di Virginia Raggi, meno contenutistica del neo sindaco Appendino, sembrano delineare una strategia del marcare divisi per colpire uniti, secondo le logiche delle diverse situazioni. A Torino, infatti, possiamo parlare di una vittoria politica complessiva, figlia di un’opera di convincimento per certi versi più difficile rispetto a Roma, dove la vittoria era attesa.
In generale, i toni dei Cinque Stelle sembrano diversi da quelli marcatamente grillini delle prime affermazioni elettorali: si mettono punti alle polemiche, si chiede di lavorare, si parla alle opposizioni e si vuole rappresentare tutti i cittadini. E’ mancata la ricerca del nemico, smentendo la visione manichea “buoni/cattivi” presentata dal Pd, dimostrando che è in corso un tentativo per cambiare l'immagine del movimento. Un rinnovamento avviato anche alla luce dell’arroganza di Renzi, sin da referendum trivelle, in cui non ci fu discorso di unità, ma la conta interna, da vincitore contro i vinti.
Troppo premier e poco segretario, l’ex sindaco fiorentino ha commesso molti errori tattici: su tutti la mancata scissione tra l’alleanza in sentato con Verdini ed il territorio, ma anche la riproposizione di un’immagine strabordante di leader, che si è riverberata sui vari candidati. Il tutto rispetto ad un movimento, invece, capace di parlare a tanti e, da oggi, anche mettendo in un cassetto i toni gridati.
Un segnale affatto positivo per l’ormai ex Partito della Nazione, in vista della battaglia referendaria. Renzi dovrà cambiare il modo di comunicare, il limite dello spostamento Pd a centro-destra è forse stato toccato.
La domanda, dunque, diventa: il Pd che si è configurato oggi è dotato di capacità autocritica? La sua classe dirigente lo ha mantenuto? A giudicare dai commenti a cuor leggero dell’onorevole Esposito, mentre scorrevano le prime nefaste sentenze, si direbbe di no.
Riunirsi e parlare adesso diventa una necessità, e non come penserà qualche renziano per un’ulteriore conta interna, piuttosto per fare quello che non è stato fatto mesi fa, cercare di remare tutti nella stessa direzione.
In questa tornata, l'elettorato si è dimostrato fluido. L’unica eccezione è stato proprio il Pd, incapace d’intercettare questa fluidità. La vittoria di Bologna ne è un chiaro esempio, non tanto il caso di una città bene amministrata, quanto un centro in cui esiste ancora un sistema di potere ramificato, mediamente lontano dal Nazareno, che ha permesso al vittoria di Merola. Una vittoria di resistenza, appunto.
Se questa lettura dovesse rivelarsi azzeccata, inevitabilmente l'elettorato andrà progressivamente erodendosi, col rischio per Renzi di avvitarsi su Milano, su una vittoria "lineare" contro un avversario "simile", ma che non può essere considerato un laboratorio delle nuove rotte di partito, né permetterà di cogliere la tendenza che lo sta colpendo. Il risultato nella città dell’Expo è arrivato solo per l'errore di Parisi nell'aver rifiutato di fornire i nomi della giunta, con conseguenze pesanti sugli incerti, impauriti da un possibile ritorno dei vecchi (Lupi, Gelmini ecc). Un dettaglio che ha fatto la differenza.
La mancanza di un’analisi della sconfitta, rischierebbe di costituire un mancato passaggio probabilmente fatale ad ottobre. Il Pd ha bisogno di una rifondazione ideale e di un modo meno aspro di intendere la leadership, è necessario voltarsi nuovamente a sinistra e vedere i cocci che si sono lasciati indietro. Si chiude forse definitivamente l'epoca della rottamazione renziana ed ora volgere lo sguardo ad ottobre diventa difficile.
Nelle parole a caldo di Chiamparino, infatti, c'è voglia di Congresso. La Direzione si è per ora limitata ad annunciare la riunione del prossimo 24 giugno, quando, alla luce del voto Brexit, il tema Amministative potrebbe essere costretto allo sfondo.
Restano infine aperte alcune domande, che troveranno risposta soltanto nelle prossime settimane. Aspettiamoci, intanto, un Renzi sotto processo, vittima anche del proprio stesso Italicum: nel sistema elettorale che dovevano assicurargli la vittoria, queste amministrative hanno dimostrato che le alternative si sono create, anche in poco tempo. I due “Mattei” (perché anche Salvini non è certo uscito rafforzato dalla notte di ieri) non sono soli in campo e oggi ne abbiamo avuto la conferma.
Renzi si siederà ad un tavolo con la Raggi per ricostruire debito di Roma? Le sarà riservato un comportamento migliore rispetto a quanto fatto con Marino? I 5 Stelle a Torino potranno intervenire in materia di Tav, pur in "articulo mortis"? Questo voto sancisce un riscontro giovanile a favore dei pentastellati? Quanto il modello milanese di destra unita è praticabile altrove, dopo che la sconfitta è comunque arrivata?
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