È stato a margine della trasmissione Virus - Nomen omen, si potrebbe dire - su Rai Due che si è aperta una delle polemiche più accese degli ultimi tempi in merito alla corretta informazione scientifica.
editoriale di Marco Ferrazzoli
Almanacco della Scienza - CNR - In sostanza, il dj Red Ronnie (nella foto) ha sostenuto la propria contrarietà alle vaccinazioni godendo di un ampio spazio, mentre l'unica voce scientifica presente – Roberto Burioni, virologo dell'Università San Raffaele, collegato in video – è stata confinata in un angusto spazio finale del programma. Complice il successo della reazione postata dallo studioso sui social network e anche l'annuncio della chiusura di Virus da parte della Rai, la vicenda ha sortito un particolare clamore .
Va detto che non siamo certo di fronte a un inedito: in passato episodi analoghi sono stati frequenti e spesso sottaciuti. Ancora nelle ultime settimane diversi programmi e talk show di grande ascolto si sono interessati di omeopatia, alimentazione, problematiche ambiente-salute. La domanda è: come fare ad affermare la posizione della scienza nella comunicazione al grande pubblico quando il consenso popolare non le arride o, addirittura, va a posizioni del tutto contrarie?
Intanto, bisogna modulare. Inammissibile è per esempio che si continui a propagare la bufala del nesso tra vaccini e insorgenza dell'autismo, nata da un articolo scientifico purtroppo pubblicato su Lancet ma poi chiaramente ritirato e smentito, e che da poco è stata finalmente sbugiardata anche dall'inchiesta aperta in merito dalla procura di Trani nel 2014. Per quanto riguarda il generico rischio connesso a tale presidio, invece, pur non potendo essere negato in assoluto, è ampiamente sostenibile in rapporto ai benefici attesi ed è questa valutazione ad aver garantito la vittoria contro patologie anche mortali un tempo diffusissime. Va però ricordato che le politiche di obbligatorietà cambiano da paese a paese e che il target più diffidente è anche quello più abbiente e colto.
Oppure pensiamo all'omeopatia, a favore della quale mancano prove scientifiche: l'assimilazione sostanziale di questi prodotti ai farmaci è immotivata, ma la tolleranza adottata nei loro confronti è in parte spiegabile con la loro innocuità. Ben più inaccettabile è la posizione di chi, e torniamo all'indagine di Trani, sostiene di poter curare omeopaticamente non sindromi leggere e passeggere (dove probabilmente agiscono l'effetto placebo o la remissione spontanea) ma patologie gravi come l'autismo.
Situazione ancora diversa quella della sperimentazione animale, su cui l'Italia deve rivedere una normativa tanto restrittiva da essere stata segnalata dall'Unione Europea, che davvero rischia di impedire un'attività purtroppo necessaria al progresso della scienza ma soprattutto delle cure per tante patologie. Anche qui, però, onestà intellettuale impone di ammettere che le critiche hanno contribuito al miglioramento delle condizioni degli animali oggetto di studio, alla riduzione del loro utilizzo, all'avanzamento di metodologie alternative (le cosiddette 3R, dalle iniziali in inglese).
Non è il muro contro muro a poter affermare una corretta informazione, specialmente quando ampie parti dell'opinione pubblica sostengono tesi scientificamente non corrette. La ricerca, per definizione, non coltiva dogmi e anzi assume la propria imperfezione come base del suo avanzamento: dunque deve essere sempre aperta al confronto con chi sostiene posizioni diverse ed è capace di condurlo. Come produttori e, più modestamente, come comunicatori della conoscenza dobbiamo pertanto evitare, anche quando i risultati sono incoraggianti, toni eccessivamente trionfalistici ed esasperazioni delle potenzialità applicative delle scoperte che, a lungo termine, danneggiano la credibilità del sistema: si pensi alla recente polemica sul cosiddetto “vaccino contro tutti i tumori” di cui ha dato notizia Nature. E non dobbiamo precluderci nessuno strumento di divulgazione: non è utile stigmatizzare Internet e il web 2.0 come regno della “stupidità”, secondo la definizione di Nicholas Carr a cui Derrick de Kerckhove ribatte ora parlando della Rete come di un “nuovo Rinascimento”, e proprio l'esempio di Burioni da cui siamo partiti dimostra che in questo grande contenitore possiamo infilare e veicolare di tutto, quindi bisogna imparare a usarlo bene.
Tanto meno, la soluzione sta nel ridurre gli spazi di comunicazione: la chiusura di Virus non ci fa pertanto gioire, nonostante gli errori di impostazione della puntata sui vaccini che comunque non hanno nulla a che fare con la scelta della Rai.
editoriale di Marco Ferrazzoli
Almanacco della Scienza - CNR - In sostanza, il dj Red Ronnie (nella foto) ha sostenuto la propria contrarietà alle vaccinazioni godendo di un ampio spazio, mentre l'unica voce scientifica presente – Roberto Burioni, virologo dell'Università San Raffaele, collegato in video – è stata confinata in un angusto spazio finale del programma. Complice il successo della reazione postata dallo studioso sui social network e anche l'annuncio della chiusura di Virus da parte della Rai, la vicenda ha sortito un particolare clamore .
Va detto che non siamo certo di fronte a un inedito: in passato episodi analoghi sono stati frequenti e spesso sottaciuti. Ancora nelle ultime settimane diversi programmi e talk show di grande ascolto si sono interessati di omeopatia, alimentazione, problematiche ambiente-salute. La domanda è: come fare ad affermare la posizione della scienza nella comunicazione al grande pubblico quando il consenso popolare non le arride o, addirittura, va a posizioni del tutto contrarie?
Intanto, bisogna modulare. Inammissibile è per esempio che si continui a propagare la bufala del nesso tra vaccini e insorgenza dell'autismo, nata da un articolo scientifico purtroppo pubblicato su Lancet ma poi chiaramente ritirato e smentito, e che da poco è stata finalmente sbugiardata anche dall'inchiesta aperta in merito dalla procura di Trani nel 2014. Per quanto riguarda il generico rischio connesso a tale presidio, invece, pur non potendo essere negato in assoluto, è ampiamente sostenibile in rapporto ai benefici attesi ed è questa valutazione ad aver garantito la vittoria contro patologie anche mortali un tempo diffusissime. Va però ricordato che le politiche di obbligatorietà cambiano da paese a paese e che il target più diffidente è anche quello più abbiente e colto.
Oppure pensiamo all'omeopatia, a favore della quale mancano prove scientifiche: l'assimilazione sostanziale di questi prodotti ai farmaci è immotivata, ma la tolleranza adottata nei loro confronti è in parte spiegabile con la loro innocuità. Ben più inaccettabile è la posizione di chi, e torniamo all'indagine di Trani, sostiene di poter curare omeopaticamente non sindromi leggere e passeggere (dove probabilmente agiscono l'effetto placebo o la remissione spontanea) ma patologie gravi come l'autismo.
Situazione ancora diversa quella della sperimentazione animale, su cui l'Italia deve rivedere una normativa tanto restrittiva da essere stata segnalata dall'Unione Europea, che davvero rischia di impedire un'attività purtroppo necessaria al progresso della scienza ma soprattutto delle cure per tante patologie. Anche qui, però, onestà intellettuale impone di ammettere che le critiche hanno contribuito al miglioramento delle condizioni degli animali oggetto di studio, alla riduzione del loro utilizzo, all'avanzamento di metodologie alternative (le cosiddette 3R, dalle iniziali in inglese).
Non è il muro contro muro a poter affermare una corretta informazione, specialmente quando ampie parti dell'opinione pubblica sostengono tesi scientificamente non corrette. La ricerca, per definizione, non coltiva dogmi e anzi assume la propria imperfezione come base del suo avanzamento: dunque deve essere sempre aperta al confronto con chi sostiene posizioni diverse ed è capace di condurlo. Come produttori e, più modestamente, come comunicatori della conoscenza dobbiamo pertanto evitare, anche quando i risultati sono incoraggianti, toni eccessivamente trionfalistici ed esasperazioni delle potenzialità applicative delle scoperte che, a lungo termine, danneggiano la credibilità del sistema: si pensi alla recente polemica sul cosiddetto “vaccino contro tutti i tumori” di cui ha dato notizia Nature. E non dobbiamo precluderci nessuno strumento di divulgazione: non è utile stigmatizzare Internet e il web 2.0 come regno della “stupidità”, secondo la definizione di Nicholas Carr a cui Derrick de Kerckhove ribatte ora parlando della Rete come di un “nuovo Rinascimento”, e proprio l'esempio di Burioni da cui siamo partiti dimostra che in questo grande contenitore possiamo infilare e veicolare di tutto, quindi bisogna imparare a usarlo bene.
Tanto meno, la soluzione sta nel ridurre gli spazi di comunicazione: la chiusura di Virus non ci fa pertanto gioire, nonostante gli errori di impostazione della puntata sui vaccini che comunque non hanno nulla a che fare con la scelta della Rai.
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È presente 1 commento
Uno dei problemi è l'incapacità assoluta di dialogare. Anche a Virus il discorso, pur con tutti i limiti sopra evidenziati, avrebbe avuto un altro andamento se si fosse "dialogato". Urlare, parlare sopra gli altri, non finire di lasciare esprimere un concetto, ribattere senza usare la stessa metodica rende il "dialogo" una chimera. E quindi rischia di far diventare, di fatto, certi ambienti di "serie B". D'altra parte è anche vero che le ricerche valide, le argomentazioni scientifiche o anche solo le posizioni degli scienziati sono veramente difficili, se non impossibili, da trovare in rete. Trasformando quest'ultimo ambiente in una riserva per fanatici ignoranti che, per quante ricerche possano fare, non troveranno alternative serie. A meno d'iscriversi a siti d'élite, con accesso e fruizione a pagamento: ovvero l'esatto opposto della conoscenza libera, della diffusione della cultura per tutti. Se non sbaglio, c'è un detto informatico che trovo quanto mai azzeccato per descrivere questa situazione: "garbage in, garbage out" Se in una biblioteca lasci solo le pseudo informazioni di pseudo scienza, sarà veramente difficile avere uno scienziato reale!
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