Dopo i recenti test militari avvenuti il 23 aprile e il 9 luglio la Corea del Nord ha lanciato ancora una volta un missile balistico da un sottomarino.
Radio Vaticana - Il Comando del Pacifico degli Stati Uniti ha rintracciato il missile caduto al largo delle coste giapponesi, sul Mar del Giappone. Da quando il leader Kim Jong-un è salito al potere nel 2011, la nazione ha testato più di 30 missili. Il premier giapponese Shinzo Abe definisce l’iniziativa della Corea del Nord “una grave minaccia alla nostra sicurezza nazionale; è un atto oltraggioso che compromette gravemente la pace e la stabilità nella regione”.
Si tratta, dunque, dell'ennesimo lancio effettuato dalla Corea del Nord in aperta violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite contro l'impiego da parte del regime di Pyongyang di questo tipo di tecnologia militare.
Secondo alcuni esperti, il lancio del missile potrebbe essere collegato anche all’attività annuale di esercitazioni militari che vedono impegnate le forze sudcoreane e Usa, che solitamente provocano proteste da parte nordcoreana. Michele Ungolo ha sentito Antonio Fiori, professore associato del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali all'Università degli studi di Bologna: ascolta
R. – Bisogna guardare naturalmente anche allo scenario complessivo che ci dice che in questo momento nella zona ci sono un paio di appuntamenti particolarmente densi di significato. Il primo: gli esercizi militari che i coreani del Sud assieme agli americani nella zona non vedono di buon occhio perché li considerano come delle prove di attacco a loro danni. Il secondo riguarda questo incontro trilaterale che Giappone, Corea del Sud e Cina stanno tenendo e che naturalmente viene visto con timore da Pyongyang, perché è naturale che quando persino i cinesi incontrano gli altri Paesi dell’area per parlare eventualmente anche della pericolosità della Corea del Nord, questa reagisce in questo modo.
D. - Si tratta di una provocazione oppure è una strategia adottata dalla politica nordcoreana per far comprendere che la nazione è lì e non teme nessuno?
R. - Si tratta di una strategia. Si tratta della solita strategia “vi faccio vedere che io non temo quello che state facendo”, neanche quando si tratta di nazioni che stanno acquisendo nuovo equipaggiamento militare come la Corea del Sud, che ha ovviamente da poco avuto la conferma della disponibilità del sistema antimissile da parte degli Stati Uniti. La Corea del Nord ovviamente reagisce a tutti questi elementi di disturbo cercando di far capire agli altri attori che non teme alcun tipo di provocazione, anzi, di essere militarmente preparata a qualunque tipo di sollecitazione.
D. - In che modo si possono descrivere le azioni estreme messe in atto dai leader nordcoreani che si sono susseguiti negli anni?
R. - Fondamentalmente le chiavi di lettura sono riferibili a due binari paralleli naturalmente: la percepita minaccia esterna - e questa è facilmente rinvenibile se si pensa alle azioni che in particolare modo hanno messo in atto nei confronti della Corea del Nord, cioè azioni soprattutto volte a isolamento del Paese. Quindi il Paese vuole uscire in qualche maniera da quel tipo di isolamento che per Pyongyang è particolarmente dannoso dal punto di vista della vivibilità -, e dall’altra parte invece c’è una minaccia interna legata a doppio nodo con la minaccia esterna perché nel caso in cui dovesse in qualche maniera avverarsi questa sorta di minaccia esterna, cioè prendere forma con un attacco ai danni della Corea del Nord, l’indiziato principale che potrebbe in qualche maniera pagarne le conseguenze è la famiglia Kim.
D. - Come si può fronteggiare la politica estrema di Pyongyang?
R. - Ci sono molti studi che non fanno altro che creare scenari futuri che naturalmente sono molteplici; potrebbe esserci una riproposizione di quello che è avvenuto in Iraq, potrebbe essere un attacco improvviso degli Stati Uniti dei loro alleati. Altri scenari futuri potrebbero essere quelli che vedono gli altri Paesi attuare una politica diversa da quella che ormai si sta attuando da diversi anni e cioè quella dell’isolamento e del frazionamento della Corea del Nord che, secondo me, non è assolutamente pagante. Invece si dovrebbe, a mio avviso, andare verso un maggiore coinvolgimento della Corea del Nord a livello internazionale e un maggiore avvicinamento alla Corea del Nord.
Radio Vaticana - Il Comando del Pacifico degli Stati Uniti ha rintracciato il missile caduto al largo delle coste giapponesi, sul Mar del Giappone. Da quando il leader Kim Jong-un è salito al potere nel 2011, la nazione ha testato più di 30 missili. Il premier giapponese Shinzo Abe definisce l’iniziativa della Corea del Nord “una grave minaccia alla nostra sicurezza nazionale; è un atto oltraggioso che compromette gravemente la pace e la stabilità nella regione”.
Si tratta, dunque, dell'ennesimo lancio effettuato dalla Corea del Nord in aperta violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite contro l'impiego da parte del regime di Pyongyang di questo tipo di tecnologia militare.
Secondo alcuni esperti, il lancio del missile potrebbe essere collegato anche all’attività annuale di esercitazioni militari che vedono impegnate le forze sudcoreane e Usa, che solitamente provocano proteste da parte nordcoreana. Michele Ungolo ha sentito Antonio Fiori, professore associato del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali all'Università degli studi di Bologna: ascolta
R. – Bisogna guardare naturalmente anche allo scenario complessivo che ci dice che in questo momento nella zona ci sono un paio di appuntamenti particolarmente densi di significato. Il primo: gli esercizi militari che i coreani del Sud assieme agli americani nella zona non vedono di buon occhio perché li considerano come delle prove di attacco a loro danni. Il secondo riguarda questo incontro trilaterale che Giappone, Corea del Sud e Cina stanno tenendo e che naturalmente viene visto con timore da Pyongyang, perché è naturale che quando persino i cinesi incontrano gli altri Paesi dell’area per parlare eventualmente anche della pericolosità della Corea del Nord, questa reagisce in questo modo.
D. - Si tratta di una provocazione oppure è una strategia adottata dalla politica nordcoreana per far comprendere che la nazione è lì e non teme nessuno?
R. - Si tratta di una strategia. Si tratta della solita strategia “vi faccio vedere che io non temo quello che state facendo”, neanche quando si tratta di nazioni che stanno acquisendo nuovo equipaggiamento militare come la Corea del Sud, che ha ovviamente da poco avuto la conferma della disponibilità del sistema antimissile da parte degli Stati Uniti. La Corea del Nord ovviamente reagisce a tutti questi elementi di disturbo cercando di far capire agli altri attori che non teme alcun tipo di provocazione, anzi, di essere militarmente preparata a qualunque tipo di sollecitazione.
D. - In che modo si possono descrivere le azioni estreme messe in atto dai leader nordcoreani che si sono susseguiti negli anni?
R. - Fondamentalmente le chiavi di lettura sono riferibili a due binari paralleli naturalmente: la percepita minaccia esterna - e questa è facilmente rinvenibile se si pensa alle azioni che in particolare modo hanno messo in atto nei confronti della Corea del Nord, cioè azioni soprattutto volte a isolamento del Paese. Quindi il Paese vuole uscire in qualche maniera da quel tipo di isolamento che per Pyongyang è particolarmente dannoso dal punto di vista della vivibilità -, e dall’altra parte invece c’è una minaccia interna legata a doppio nodo con la minaccia esterna perché nel caso in cui dovesse in qualche maniera avverarsi questa sorta di minaccia esterna, cioè prendere forma con un attacco ai danni della Corea del Nord, l’indiziato principale che potrebbe in qualche maniera pagarne le conseguenze è la famiglia Kim.
D. - Come si può fronteggiare la politica estrema di Pyongyang?
R. - Ci sono molti studi che non fanno altro che creare scenari futuri che naturalmente sono molteplici; potrebbe esserci una riproposizione di quello che è avvenuto in Iraq, potrebbe essere un attacco improvviso degli Stati Uniti dei loro alleati. Altri scenari futuri potrebbero essere quelli che vedono gli altri Paesi attuare una politica diversa da quella che ormai si sta attuando da diversi anni e cioè quella dell’isolamento e del frazionamento della Corea del Nord che, secondo me, non è assolutamente pagante. Invece si dovrebbe, a mio avviso, andare verso un maggiore coinvolgimento della Corea del Nord a livello internazionale e un maggiore avvicinamento alla Corea del Nord.
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