Si riducono gli spazi di manovra, mentre cade il velo sulla stagione riformista del governo. A questo punto c’è il rischio concreto che perfino pareggiare la modesta crescita dell’anno scorso (+0,8%) sia un traguardo ambizioso.
di Lorenzo Carchini
Una doccia fredda sulle già flebili speranze di ripresa dell’economia, un duro colpo per lo strombazzamento pre-referendario del Governo. La crescita zero del Pil nel secondo trimestre interrompe una progressione. Una "piccola" progressione, cominciata nel 2015 dopo tre anni di recessione, che via via ha perso spinta fino a fermarsi .
Quello italiano è il peggior risultato in Europa, insieme alla Francia. Le condizioni per cui i due paesi sono arrivati ad una simile situazione sono però assai diverse: la Francia paga a caro prezzo la stagione di terrore, che ha sconvolto l'agenda governativa, peraltro già afflitta da insostenibili conflitti sociali; l'Italia non ha, fortunatamente, un'emergenza sicurezza neppure paragonabile. Dunque, cosa è successo?
Innanzitutto, lo scenario internazionale non aiuta. Incertezze dei mercati, terrorismo, fenomeni migratori, Brexit, petrolio, crisi dell'ex Bric certo hanno un peso, ma non hanno impedito alla Germania di registrare un trimestre in crescita e previsioni intorno al 2%. A fare difetto, per l'italia, è stata la spinta interna, quella che doveva essere promossa dalle riforme strutturali del Governo, che è clamorosamente mancata.
È così venuta meno la linfa vitale che avrebbe dovuto sollevare l'economia nazionale dalla palude, ma che al contrario non ha risolto le storture del paese, riproponendo vecchi adagi sulla scarsa incidenza economica del pacchetto riforme promosso in questi tre anni.
L'unica crescita si è registrata in materia di debito pubblico, arrivato ad un picco storico: in un solo mese si è arrivati a 7 miliardi toccando i 2.248,8 miliardi di euro. Una zavorra "atavica" che di certo non aiuterà il progetto di Renzi e Padoan di battere i pugni in Europa per una maggior flessibilità.
La coperta era già corta prima che l’Istat certificasse il rallentamento della crescita. Ora si restringe ulteriormente. Lo stesso Padoan parla ora di "vincoli stretti" per la prossima legge di bilancio. Alla ripresa dell’attività, infatti, il Governo dovrà cominciare a ridefinire l’intero quadro delle variabili, in vista della Nota di aggiornamento del Def il prossimo 27 settembre.
Poi si tratterà di mettere a punto il menu della manovra di ottobre, calibrando interventi e coperture. Molti verranno inevitabilmente rinviati, anche perché, a far da sfondo a questo scenario, c'è l'esito del referendum costituzionale ad aumentare le incertezze ed i timori di Palazzo Chigi.
Proprio il referendum di novembre sembra la carta che a questo punto potrebbe far saltare definitivamente il banco. Ad oggi, il premier appare preoccupato solo di non perdere, intento a nascondere la cenere (dell'economia) sotto il tappeto, facendo così aggrovigliare i nodi dei conti pubblici senza provare a scioglierli. Un governare "alla giornata" dannoso sia per i conti pubblici che per la fiducia dei cittadini.
Il Presidente del Consiglio ben sa che qualunque riforma andrà finanziata e, allo stato delle cose, i fondi sono ridotti. Lo stesso taglio Irpef, come annunciato da Padoan, andrà necessariamente posposto, così come dovranno aspettare pensioni e contratti pubblici. Un problema che potrà modificare, non di poco, anche i rapporti di forza in vista del voto costituzionale. Come potrà convogliare ed unire le forze dell'opposizione Pd senza la promessa di un progetto riformista futuro?
di Lorenzo Carchini
Una doccia fredda sulle già flebili speranze di ripresa dell’economia, un duro colpo per lo strombazzamento pre-referendario del Governo. La crescita zero del Pil nel secondo trimestre interrompe una progressione. Una "piccola" progressione, cominciata nel 2015 dopo tre anni di recessione, che via via ha perso spinta fino a fermarsi .
Quello italiano è il peggior risultato in Europa, insieme alla Francia. Le condizioni per cui i due paesi sono arrivati ad una simile situazione sono però assai diverse: la Francia paga a caro prezzo la stagione di terrore, che ha sconvolto l'agenda governativa, peraltro già afflitta da insostenibili conflitti sociali; l'Italia non ha, fortunatamente, un'emergenza sicurezza neppure paragonabile. Dunque, cosa è successo?
Innanzitutto, lo scenario internazionale non aiuta. Incertezze dei mercati, terrorismo, fenomeni migratori, Brexit, petrolio, crisi dell'ex Bric certo hanno un peso, ma non hanno impedito alla Germania di registrare un trimestre in crescita e previsioni intorno al 2%. A fare difetto, per l'italia, è stata la spinta interna, quella che doveva essere promossa dalle riforme strutturali del Governo, che è clamorosamente mancata.
È così venuta meno la linfa vitale che avrebbe dovuto sollevare l'economia nazionale dalla palude, ma che al contrario non ha risolto le storture del paese, riproponendo vecchi adagi sulla scarsa incidenza economica del pacchetto riforme promosso in questi tre anni.
L'unica crescita si è registrata in materia di debito pubblico, arrivato ad un picco storico: in un solo mese si è arrivati a 7 miliardi toccando i 2.248,8 miliardi di euro. Una zavorra "atavica" che di certo non aiuterà il progetto di Renzi e Padoan di battere i pugni in Europa per una maggior flessibilità.
La coperta era già corta prima che l’Istat certificasse il rallentamento della crescita. Ora si restringe ulteriormente. Lo stesso Padoan parla ora di "vincoli stretti" per la prossima legge di bilancio. Alla ripresa dell’attività, infatti, il Governo dovrà cominciare a ridefinire l’intero quadro delle variabili, in vista della Nota di aggiornamento del Def il prossimo 27 settembre.
Poi si tratterà di mettere a punto il menu della manovra di ottobre, calibrando interventi e coperture. Molti verranno inevitabilmente rinviati, anche perché, a far da sfondo a questo scenario, c'è l'esito del referendum costituzionale ad aumentare le incertezze ed i timori di Palazzo Chigi.
Proprio il referendum di novembre sembra la carta che a questo punto potrebbe far saltare definitivamente il banco. Ad oggi, il premier appare preoccupato solo di non perdere, intento a nascondere la cenere (dell'economia) sotto il tappeto, facendo così aggrovigliare i nodi dei conti pubblici senza provare a scioglierli. Un governare "alla giornata" dannoso sia per i conti pubblici che per la fiducia dei cittadini.
Il Presidente del Consiglio ben sa che qualunque riforma andrà finanziata e, allo stato delle cose, i fondi sono ridotti. Lo stesso taglio Irpef, come annunciato da Padoan, andrà necessariamente posposto, così come dovranno aspettare pensioni e contratti pubblici. Un problema che potrà modificare, non di poco, anche i rapporti di forza in vista del voto costituzionale. Come potrà convogliare ed unire le forze dell'opposizione Pd senza la promessa di un progetto riformista futuro?
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