Come sappiamo, la rimozione del
leader libico Gheddafi ha fatto precipitare la Libia nella situazione
attuale. Si trattò di una vera guerra combattuta con mezzi di gran lunga superiori a quelli messi in campo attualmente contro Isis. Sconcertante che nonostante sia equanimamente riconosciuto che quell'intervento fu un errore, oggi si replichino i raid aerei mantenendo la stessa strategia politica.
di Patrizio Ricci
Nel 2011, i governi della coalizione anti-Gheddafi, per avere 'mani libere', hanno mentito alle proprie comunità nazionali ed hanno condotto una guerra di aggressione vietata dalle singole costituzioni nazionali. Poi, dopo aver devastato la Libia con l'aiuto di una miriade di gruppi armati (molti fortemente caratterizzati dal fondamentalismo islamico), hanno lasciato che questi se la dividessero, riconoscendo i loro rappresentanti non eletti, 'legittimi rappresentanti del popolo libico'.
La devastazione e le violenze nel paese sono continuate per anni fino all'apparizione dei militanti dello Stato Islamico (Isis). Fino ad allora, la Comunità internazionale è rimasta in silenzio, lasciando il paese nel caos più totale, in balìa di 1700 bande armate che se dividevano il potere. Poi, nel 2014, quando il generale Khalifa Belqasim Haftar, sostenendo il governo di Tobruk ha dato il via all'operazione 'Dignità' che mirava a cacciare al Qaeda e le milizie islamiste da Tripoli (sostenuto dal Qatar e dalla Turchia e guidato dai 'Fratelli Musulmani'), non solo si è rifiutata di fornire un qualsiasi aiuto ma ha fatto sapere che le due parti dovevano 'mettersi daccordo'.
La verità è che la situazione era imbarazzante: gli stessi attori della coalizione anti-Gheddafi erano impegnati a replicare una nuova 'impresa' in Siria, perciò non potevano inimicarsi gli amici libici che fornivano armi e uomini. Del resto, i 1.700 messaggi di posta elettronica trapelati della Clinton hanno dimostrato chiaramente come i fatti di Libia e quelli di Siria siano strettamente connessi ed interdipendenti.
Di conseguenza, l'Isis, che ha la stessa matrice ideologica delle milizie islamiste (ma che si distingue da esse solo nella retorica dei media), si è sviluppata in Libia a seguito della politica di chi da anni usa il fondamentalismo islamico per rovesciare o destabilizzare quegli stati che non sono soddisfano le proprie finalità politiche.
Alla fine, il 17 di dicembre 2015, le forti pressioni esercitate dall'Onu e dalla Comunità Internazionale hanno prevalso. A Tripoli si è dato vita ad un governo di unità nazionale guidato da Fayez al Sarraj. Lo scopo principale degli sponsor del governo di al Serraj è che il controllo della Libyan Investment Authority, della National Oil Corporation e della Banca centrale libica, sia in mani amiche. Occorreva, inoltre, che un governo legittimato dall'Onu richiedesse l'intervento militare USA contro l'Isis insediatosi nelle città costiere di Derna e di Sirte.
La soluzione però scontenta tutti: è ritenuta illegittima sia dalle autorità di Tripoli che da quelle di Tobruk. Serraj è così inviso a tutti che dalla Tunisia, è dovuto arrivare via mare. Attualmente il governo si trova nella base navale di Tripoli, strettamente protetto da forze speciali occidentali e milizie amiche. A Mr. Serraj ed al nuovo parlamento non è consentito uscire dalla base di Abusita e a Tripoli chi lo sostiene rischia l'arresto.
Difficile ipotizzare un'evoluzione positiva della situazione libica: attualmente la Comunità Internazionale, per rimediare ai vecchi bombardamenti non trova di meglio che farne dei nuovi. Questi dureranno 30 giorni ma 'se occorre', verranno prolungati. Da parte sua, l'Italia, ha già concesso le sue basi per sferrare gli attacchi. Sconcerta che a differenza della Siria, non si parla di vittime o di corridoi umanitari: dalla caduta di Gheddafi ogni problema 'umanitario' è cessato e le bombe tornano ad essere 'di precisione' e risolvono tutto.
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