L’esortazione apostolica di papa Francesco sull’amore nella famiglia invita i pastori e i fedeli ad un discernimento attento delle situazioni familiari c.d. “irregolari” che ne valorizzi gli elementi costruttivi in vista di una maggiore integrazione nella comunità ecclesiale delle persone che vivono situazioni familiari non pienamente rispondenti all’ideale evangelico, alle quali non può essere negato l’aiuto spirituale della Chiesa, ivi compreso, in alcuni casi, l’aiuto dei sacramenti.
di Bartolo Salone
Nella sua esortazione apostolica postsinodale dal titolo “Amoris laetitia”, sulla cura pastorale delle famiglie, pubblicata in occasione della solennità di San Giuseppe il 19 marzo 2016 nel pieno del Giubileo Straordinario della Misericordia, il Papa – raccogliendo le istanze emerse nel corso delle Assemblee sinodali del 2014 e del 2015 dallo stesso volute per approfondire le gravi questioni poste alla società e alla Chiesa dalle trasformazioni socio-culturali involgenti l’istituzione matrimoniale e familiare – ha inteso richiamare la premura della Chiesa, il cui lavoro “assomiglia a quello di un ospedale da campo”, verso “i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito” (n. 291) .
A tal fine il Santo Padre ha indicato – dedicandovi il capitolo VIII dell’Esortazione apostolica – le linee essenziali di quella che potremmo definire come la pastorale dell’ “amore ferito e smarrito”, rimettendone la concreta attuazione ai Pastori delle comunità locali, a cui spetta accompagnare e integrare la fragilità dei fratelli che hanno dovuto affrontare situazioni familiari difficili o che vivono situazioni che non corrispondono pienamente al disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia; e ha ricordato come, mentre alcune forme di unione contraddicono radicalmente l’ideale cristiano (che “si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento” del matrimonio), altre, di cui “la Chiesa non manca di valorizzare gli elementi costruttivi”, “lo realizzano in modo almeno parziale e analogo” (n. 292).
Il punto di partenza della riflessione pastorale proposta da papa Francesco è, quindi, nel senso che – nell’ambito delle situazioni c.d. “irregolari”, in quanto non rispondenti pienamente all’insegnamento evangelico – è possibile rinvenire una pluralità di casi diversi l’uno dall’altro i quali reclamano diversità di giudizio morale e, conseguentemente, di approccio pastorale. In particolare, secondo il Pontefice, nel caso in cui, dopo il fallimento di una prima unione fondata sul matrimonio sacramentale, i coniugi contraggano con altre persone una nuova unione puramente civile, occorre distinguere, poiché “una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si ricadrebbe in nuove colpe” e altra cosa è invece “una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e famiglie intere, o la situazione di qualcuno che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni familiari” (n. 298).
Nella valutazione delle suddette situazioni occorre, in altre termini, evitare qualsiasi forma di moralismo che si fermi a considerare il comportamento esteriore e la violazione della norma morale nella sua oggettività senza tenere in adeguato conto il profilo della colpevolezza e dell’imputabilità della violazione nelle circostanze concrete, dovendosi piuttosto riconoscere che “poiché il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi” (n. 300). Inoltre, nel valutare quali forme di partecipazione alla vita ecclesiale ed eventualmente sacramentale possano essere consentite ai fratelli che si trovano in situazione di “irregolarità”, una particolare attenzione dovrà essere posta ai “condizionamenti” e alle “circostanze attenuanti”, di cui la Chiesa possiede una solida riflessione.
A questo proposito il Papa ricorda che un soggetto, pur conoscendo bene la norma, “può avere grande difficoltà nel comprendere ‘valori insiti nella norma morale’ o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettono di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa”. Pertanto, “non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante” (n. 301). Ne consegue che “a causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa” (n. 305), ivi compreso – si precisa in nota – l’aiuto dei Sacramenti, in particolare il sacramento della Confessione che prepara alla ricezione della Santissima Eucaristia, la quale “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli” (Esort. Ap. “Evangelii Gaudium” 47).
Si apre quindi la possibilità, anche per i divorziati risposati – mentre non vi è dubbio che “le persone divorziate ma non risposate, che spesso sono testimoni della fedeltà matrimoniale, vanno incoraggiate a trovare nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato” (n. 242) – di riaccostarsi ai sacramenti dopo un periodo di accompagnamento spirituale e di attento discernimento sotto la guida dei Pastori che li aiuti a prendere coscienza della realtà della loro situazione davanti a Dio alla luce dei criteri sopra ricordati. In particolare, “il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere” (n. 300). Tuttavia, si tratta di un giudizio da compiersi caso per caso ad opera dei Pastori, il quale non presuppone – come è evidente – l’esistenza di un diritto in quanto tale dei divorziati risposati alla comunione sacramentale. Anzi, ha opportunamente precisato a questo riguardo il Papa come “non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi” (n. 300). Nondimeno, pur allorquando il prudente giudizio dei Pastori della Chiesa dovesse riconoscere che non vi siano i presupposti – avuto riguardo alla particolarità delle situazioni concrete – per l’ammissione alla Santa Comunione da parte di divorziati risposati civilmente, rimane fermo che essi “non devono sentirsi scomunicati”, potendo (e dovendo) comunque esprimersi la loro partecipazione alla vita della Chiesa in modi e in servizi diversi, in modo da poter essere bene integrati nella comunità cristiana (n. 299). Per tale via, la Chiesa di Francesco intende riconfermare la pienezza della verità del matrimonio cristiano e l’ideale evangelico della famiglia e, al contempo, annunciare la misericordia di Dio “che a tutti va incontro senza escludere nessuno” (n. 309), specialmente i suoi figli segnati dall’amore ferito e smarrito.
di Bartolo Salone
Nella sua esortazione apostolica postsinodale dal titolo “Amoris laetitia”, sulla cura pastorale delle famiglie, pubblicata in occasione della solennità di San Giuseppe il 19 marzo 2016 nel pieno del Giubileo Straordinario della Misericordia, il Papa – raccogliendo le istanze emerse nel corso delle Assemblee sinodali del 2014 e del 2015 dallo stesso volute per approfondire le gravi questioni poste alla società e alla Chiesa dalle trasformazioni socio-culturali involgenti l’istituzione matrimoniale e familiare – ha inteso richiamare la premura della Chiesa, il cui lavoro “assomiglia a quello di un ospedale da campo”, verso “i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito” (n. 291) .
A tal fine il Santo Padre ha indicato – dedicandovi il capitolo VIII dell’Esortazione apostolica – le linee essenziali di quella che potremmo definire come la pastorale dell’ “amore ferito e smarrito”, rimettendone la concreta attuazione ai Pastori delle comunità locali, a cui spetta accompagnare e integrare la fragilità dei fratelli che hanno dovuto affrontare situazioni familiari difficili o che vivono situazioni che non corrispondono pienamente al disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia; e ha ricordato come, mentre alcune forme di unione contraddicono radicalmente l’ideale cristiano (che “si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento” del matrimonio), altre, di cui “la Chiesa non manca di valorizzare gli elementi costruttivi”, “lo realizzano in modo almeno parziale e analogo” (n. 292).
Il punto di partenza della riflessione pastorale proposta da papa Francesco è, quindi, nel senso che – nell’ambito delle situazioni c.d. “irregolari”, in quanto non rispondenti pienamente all’insegnamento evangelico – è possibile rinvenire una pluralità di casi diversi l’uno dall’altro i quali reclamano diversità di giudizio morale e, conseguentemente, di approccio pastorale. In particolare, secondo il Pontefice, nel caso in cui, dopo il fallimento di una prima unione fondata sul matrimonio sacramentale, i coniugi contraggano con altre persone una nuova unione puramente civile, occorre distinguere, poiché “una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si ricadrebbe in nuove colpe” e altra cosa è invece “una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e famiglie intere, o la situazione di qualcuno che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni familiari” (n. 298).
Nella valutazione delle suddette situazioni occorre, in altre termini, evitare qualsiasi forma di moralismo che si fermi a considerare il comportamento esteriore e la violazione della norma morale nella sua oggettività senza tenere in adeguato conto il profilo della colpevolezza e dell’imputabilità della violazione nelle circostanze concrete, dovendosi piuttosto riconoscere che “poiché il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi” (n. 300). Inoltre, nel valutare quali forme di partecipazione alla vita ecclesiale ed eventualmente sacramentale possano essere consentite ai fratelli che si trovano in situazione di “irregolarità”, una particolare attenzione dovrà essere posta ai “condizionamenti” e alle “circostanze attenuanti”, di cui la Chiesa possiede una solida riflessione.
A questo proposito il Papa ricorda che un soggetto, pur conoscendo bene la norma, “può avere grande difficoltà nel comprendere ‘valori insiti nella norma morale’ o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettono di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa”. Pertanto, “non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante” (n. 301). Ne consegue che “a causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa” (n. 305), ivi compreso – si precisa in nota – l’aiuto dei Sacramenti, in particolare il sacramento della Confessione che prepara alla ricezione della Santissima Eucaristia, la quale “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli” (Esort. Ap. “Evangelii Gaudium” 47).
Si apre quindi la possibilità, anche per i divorziati risposati – mentre non vi è dubbio che “le persone divorziate ma non risposate, che spesso sono testimoni della fedeltà matrimoniale, vanno incoraggiate a trovare nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato” (n. 242) – di riaccostarsi ai sacramenti dopo un periodo di accompagnamento spirituale e di attento discernimento sotto la guida dei Pastori che li aiuti a prendere coscienza della realtà della loro situazione davanti a Dio alla luce dei criteri sopra ricordati. In particolare, “il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere” (n. 300). Tuttavia, si tratta di un giudizio da compiersi caso per caso ad opera dei Pastori, il quale non presuppone – come è evidente – l’esistenza di un diritto in quanto tale dei divorziati risposati alla comunione sacramentale. Anzi, ha opportunamente precisato a questo riguardo il Papa come “non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi” (n. 300). Nondimeno, pur allorquando il prudente giudizio dei Pastori della Chiesa dovesse riconoscere che non vi siano i presupposti – avuto riguardo alla particolarità delle situazioni concrete – per l’ammissione alla Santa Comunione da parte di divorziati risposati civilmente, rimane fermo che essi “non devono sentirsi scomunicati”, potendo (e dovendo) comunque esprimersi la loro partecipazione alla vita della Chiesa in modi e in servizi diversi, in modo da poter essere bene integrati nella comunità cristiana (n. 299). Per tale via, la Chiesa di Francesco intende riconfermare la pienezza della verità del matrimonio cristiano e l’ideale evangelico della famiglia e, al contempo, annunciare la misericordia di Dio “che a tutti va incontro senza escludere nessuno” (n. 309), specialmente i suoi figli segnati dall’amore ferito e smarrito.
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