Regole, crescita e migrazioni segnano la frattura del trio Renzi-Hollande-Merkel. Il premier italiano assente alla conferenza congiunta: "La Germania non rispetta le regole". Poi rincara: "Qui si sono dette le solite cose".
di Lorenzo Carchini
Da Ventotene a Bratislava. Se nel post-Brexit si poteva pensare che l'Italia avrebbe giovato di un ruolo di primo piano sullo scenario europeo, la conferenza stampa Hollande-Merkel di ieri segna una brusca frenata. Anzi un ritorno al passato, ai sorrisi affatto nascosti tra la Cancelliera e Sarkozy. Uno smacco che il premier Renzi ha cercato di ribaltare sin da ieri, al termine del vertice.
"Non potevo fare una conferenza stampa con loro se non condivido le loro conclusioni su economia e migranti". Le parole del Presidente del Consiglio mostrano posizioni ai limiti della frattura, sopratutto perché riguardano i due temi maggiormente a cuore dell'Italia. Da un lato, le regole del deficit, sulle quali Renzi e Padoan continuano a spingere ora più che mai, considerati i dati non troppo lusinghieri sullo stato del paese, dall'alto i flussi migratori dall'Africa sui quali parte dell'Europa, prossima alle tornate elettorali, non sembra intenzionata ad intervenire, limitandosi agli ambigui rapporti con la Turchia.
"Così come i Paesi devono rispettare le regole del deficit, allo stesso modo si devono rispettare altre regole, come quella sul surplus commerciale. E ci sono alcuni Paesi che non la rispettano, il principale è la Germania". Renzi davanti ai microfoni carica il primo colpo. "O l'Unione Europea fa gli accordi con i Paesi africani, o li facciamo da soli. Secondo noi sarebbe molto meglio che fosse l'Europa a intervenire, ma se l'Ue decide che questa non è la priorità, occorre intervenire noi". Ecco servito il secondo, stavolta sull'immigrazione.
Dall'altra parte, la Cancelliera ha cercato la via della distensione, parlando di un vertice avvenuto in un'atmosfera buona e costruttiva. Così in compagnia di Hollande, nella discussa conferenza stampa a favore di opinione pubblica, ha proclamato il raggiungimento di una roadmap in vista di Roma. Quello che doveva essere il vertice dell'Italia, uno dei principali successi diplomatici di Renzi - stavolta lui in favore di telecamere - e che ora rischia il più classico effetto boomerang: "Se a Roma facciamo un buco nell'acqua la figuraccia la faccio io".
Come si può dargli torto? L'Italia tutta si aspetta molto da quell'incontro, che potrebbe avere effetti decisivi sul futuro del paese. Il Presidente al momento ha ancora delle carte in mano, ma la cui forza è tutta da verificare.
Una si chiama Jean Claude Juncker, che si è sì molto avvicinato alle posizioni italiane in materia di flessibilità, ma che dalla Brexit è uscito molto indebolito, con il "suo" Partito Popolare pronto a volgere lo sguardo verso altri rampanti leader dell'austerità; su tutti il finlandese Katainen, vice-presidente della Commissione, in patria accusato di essere fra i principali responsabili della grave recessione che ha fatto schizzare il debito al 60% del Pil ed ha aumentato la disoccupazione.
L'altra è l'incontro ad Ottobre con il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che potrebbe fare da sponda sia verso il primo incontro di Bruxelles, pochi giorni dopo, che in direzione di Roma, rafforzando la vicinanza tra i due paesi anche sul fronte TTIP. Obama, però, sarà alle ultime settimane di mandato, con una forza politica e diplomatica già ora ampiamente ridotta e due candidati pronti a succedergli che hanno mostrato di volgere lo sguardo lontano da Bruxelles, spostando definitivamente il baricentro verso il Pacifico (o al massimo lo stretto di Bering).
di Lorenzo Carchini
Da Ventotene a Bratislava. Se nel post-Brexit si poteva pensare che l'Italia avrebbe giovato di un ruolo di primo piano sullo scenario europeo, la conferenza stampa Hollande-Merkel di ieri segna una brusca frenata. Anzi un ritorno al passato, ai sorrisi affatto nascosti tra la Cancelliera e Sarkozy. Uno smacco che il premier Renzi ha cercato di ribaltare sin da ieri, al termine del vertice.
"Non potevo fare una conferenza stampa con loro se non condivido le loro conclusioni su economia e migranti". Le parole del Presidente del Consiglio mostrano posizioni ai limiti della frattura, sopratutto perché riguardano i due temi maggiormente a cuore dell'Italia. Da un lato, le regole del deficit, sulle quali Renzi e Padoan continuano a spingere ora più che mai, considerati i dati non troppo lusinghieri sullo stato del paese, dall'alto i flussi migratori dall'Africa sui quali parte dell'Europa, prossima alle tornate elettorali, non sembra intenzionata ad intervenire, limitandosi agli ambigui rapporti con la Turchia.
"Così come i Paesi devono rispettare le regole del deficit, allo stesso modo si devono rispettare altre regole, come quella sul surplus commerciale. E ci sono alcuni Paesi che non la rispettano, il principale è la Germania". Renzi davanti ai microfoni carica il primo colpo. "O l'Unione Europea fa gli accordi con i Paesi africani, o li facciamo da soli. Secondo noi sarebbe molto meglio che fosse l'Europa a intervenire, ma se l'Ue decide che questa non è la priorità, occorre intervenire noi". Ecco servito il secondo, stavolta sull'immigrazione.
Dall'altra parte, la Cancelliera ha cercato la via della distensione, parlando di un vertice avvenuto in un'atmosfera buona e costruttiva. Così in compagnia di Hollande, nella discussa conferenza stampa a favore di opinione pubblica, ha proclamato il raggiungimento di una roadmap in vista di Roma. Quello che doveva essere il vertice dell'Italia, uno dei principali successi diplomatici di Renzi - stavolta lui in favore di telecamere - e che ora rischia il più classico effetto boomerang: "Se a Roma facciamo un buco nell'acqua la figuraccia la faccio io".
Come si può dargli torto? L'Italia tutta si aspetta molto da quell'incontro, che potrebbe avere effetti decisivi sul futuro del paese. Il Presidente al momento ha ancora delle carte in mano, ma la cui forza è tutta da verificare.
Una si chiama Jean Claude Juncker, che si è sì molto avvicinato alle posizioni italiane in materia di flessibilità, ma che dalla Brexit è uscito molto indebolito, con il "suo" Partito Popolare pronto a volgere lo sguardo verso altri rampanti leader dell'austerità; su tutti il finlandese Katainen, vice-presidente della Commissione, in patria accusato di essere fra i principali responsabili della grave recessione che ha fatto schizzare il debito al 60% del Pil ed ha aumentato la disoccupazione.
L'altra è l'incontro ad Ottobre con il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che potrebbe fare da sponda sia verso il primo incontro di Bruxelles, pochi giorni dopo, che in direzione di Roma, rafforzando la vicinanza tra i due paesi anche sul fronte TTIP. Obama, però, sarà alle ultime settimane di mandato, con una forza politica e diplomatica già ora ampiamente ridotta e due candidati pronti a succedergli che hanno mostrato di volgere lo sguardo lontano da Bruxelles, spostando definitivamente il baricentro verso il Pacifico (o al massimo lo stretto di Bering).
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