L'articolo del Newsweek che scuote la campagna. Il candidato repubblicano avrebbe fatto affari a Cuba, aggirando l'embargo. Le prove.
Dal Newsweek la notizia in copertina che potrebbe avere nuovi importanti effetti sulla campagna elettorale americana. Alcune compagnie possedute da Donald Trump avrebbero condotto segretamente affari con la Cuba di Fidel Castro, nonostante lo stretto regime di embargo da parte degli Stati Uniti, che rendeva illegale qualunque trattativa col paese comunista. A dimostrarlo, secondo la popolare rivista, diverse interviste ad ex collaboratori del miliardario newyorkese e documenti riservati.
Trump avrebbe investito nell'isola almeno 68mila dollari nel 1998, epoca nella quale anche un solo penny investito nell'area caraibica doveva tassativamente avere il benestare di Washington. La compagnia, però non li avrebbe spesi direttamente, bensì attraverso una compagnia di consulenze chiamata Seven Arrows Investment and Development Corp. Il tutto con l'approvazione del tycoon. Una volta sull'isola e compiute le spese d'impresa, la compagnia avrebbe istruito la Trump Hotels & Casino Resorts Inc. su come legalizzare il tutto, collegandolo ad attività di beneficenza.
Il pagamento avvenne poco prima che Trump lanciasse la sua prima sfida alla Casa Bianca, allora con il Reform Party (fondato nel 1995 da Ross Perot). Nel primo giorno della campagna, viaggio fino a Miami, per parlare con la comunità cubana e giurò che avrebbe sostenuto l'embargo e non avrebbe speso un centesimo a Cuba fino alla caduta di Castro. Non fece alcuna menzione, invece, del fatto che da mesi aveva rimborsato i suoi consulenti per i soldi spesi segretamente a L'Avana.
Stando alle leggi allora vigenti, l'unico sistema per cui potessero essere fatti investimenti a Cuba era nella forma di un ente di beneficenza straniero. La compagnia di Trump, però, non avendo ottenuto alcuna licenza dall'Office of Foreign Assets Control (OFAC), avrebbe violato la legge federale. L'agenzia ha chiarito che le possibilità che venissero concesse licenze a nome di un casino erano "essentially zero".
Poco dopo il viaggio cubano, diverse compagnie europee si sarebbero messe in contatto col magnate per poter coordinare degli investimenti attraverso la Trump Hotels e a Washington, un gruppo bipartisan di senatori, funzionari ed ex segretari di stato, avrebbero chiesto all'allora presidente Bill Clinton di mitigare la sua posizione sull'embargo, magari decretandone la fine. Secondo gli intervistati, la funzione stessa del viaggio, serviva appositamente come leva per costringere il governo a mitigare i rapporti con Cuba. Una condotta illegale che, secondo gli esperti, se scoperta dall'OFAC avrebbe dovuto portare ad informare il Dipartimento di Giustizia.
La prova schiacciante è il conto presentato alla Trump Hotels di 68mila dollari risalente all'8 Febbraio 1999. Un documento abbastanza pasticciato ed impreciso, nel quale si suppone la possibilità di licenze after-the-fact (non previste dalla legge), di sanzioni da parte della Casa Bianca (mentre l'unica agenzia addetta è l'OFAC) e si storpia anche il nome della Caritas Cuba (Carinas nel documento) molto attiva nell'area caraibica.
Un'occasione, per Trump, dettata anche dalle enormi perdite che stava patendo la sua compagnia. Con un rosso da 39,7 milioni ed un crollo sul mercato dell'80%, la ricerca di partner era disperata e la compagnia di consulenze Seven Arrows servì proprio a quello scopo, perfino a Cuba. Il tutto rischiando pochissimo, considerando le difficoltà di staff affrontate cronicamente dall'OFAC, che difficilmente avrebbero permesso un'indagine accurata.
Dal Newsweek la notizia in copertina che potrebbe avere nuovi importanti effetti sulla campagna elettorale americana. Alcune compagnie possedute da Donald Trump avrebbero condotto segretamente affari con la Cuba di Fidel Castro, nonostante lo stretto regime di embargo da parte degli Stati Uniti, che rendeva illegale qualunque trattativa col paese comunista. A dimostrarlo, secondo la popolare rivista, diverse interviste ad ex collaboratori del miliardario newyorkese e documenti riservati.
Trump avrebbe investito nell'isola almeno 68mila dollari nel 1998, epoca nella quale anche un solo penny investito nell'area caraibica doveva tassativamente avere il benestare di Washington. La compagnia, però non li avrebbe spesi direttamente, bensì attraverso una compagnia di consulenze chiamata Seven Arrows Investment and Development Corp. Il tutto con l'approvazione del tycoon. Una volta sull'isola e compiute le spese d'impresa, la compagnia avrebbe istruito la Trump Hotels & Casino Resorts Inc. su come legalizzare il tutto, collegandolo ad attività di beneficenza.
Il pagamento avvenne poco prima che Trump lanciasse la sua prima sfida alla Casa Bianca, allora con il Reform Party (fondato nel 1995 da Ross Perot). Nel primo giorno della campagna, viaggio fino a Miami, per parlare con la comunità cubana e giurò che avrebbe sostenuto l'embargo e non avrebbe speso un centesimo a Cuba fino alla caduta di Castro. Non fece alcuna menzione, invece, del fatto che da mesi aveva rimborsato i suoi consulenti per i soldi spesi segretamente a L'Avana.
Stando alle leggi allora vigenti, l'unico sistema per cui potessero essere fatti investimenti a Cuba era nella forma di un ente di beneficenza straniero. La compagnia di Trump, però, non avendo ottenuto alcuna licenza dall'Office of Foreign Assets Control (OFAC), avrebbe violato la legge federale. L'agenzia ha chiarito che le possibilità che venissero concesse licenze a nome di un casino erano "essentially zero".
Poco dopo il viaggio cubano, diverse compagnie europee si sarebbero messe in contatto col magnate per poter coordinare degli investimenti attraverso la Trump Hotels e a Washington, un gruppo bipartisan di senatori, funzionari ed ex segretari di stato, avrebbero chiesto all'allora presidente Bill Clinton di mitigare la sua posizione sull'embargo, magari decretandone la fine. Secondo gli intervistati, la funzione stessa del viaggio, serviva appositamente come leva per costringere il governo a mitigare i rapporti con Cuba. Una condotta illegale che, secondo gli esperti, se scoperta dall'OFAC avrebbe dovuto portare ad informare il Dipartimento di Giustizia.
La prova schiacciante è il conto presentato alla Trump Hotels di 68mila dollari risalente all'8 Febbraio 1999. Un documento abbastanza pasticciato ed impreciso, nel quale si suppone la possibilità di licenze after-the-fact (non previste dalla legge), di sanzioni da parte della Casa Bianca (mentre l'unica agenzia addetta è l'OFAC) e si storpia anche il nome della Caritas Cuba (Carinas nel documento) molto attiva nell'area caraibica.
Un'occasione, per Trump, dettata anche dalle enormi perdite che stava patendo la sua compagnia. Con un rosso da 39,7 milioni ed un crollo sul mercato dell'80%, la ricerca di partner era disperata e la compagnia di consulenze Seven Arrows servì proprio a quello scopo, perfino a Cuba. Il tutto rischiando pochissimo, considerando le difficoltà di staff affrontate cronicamente dall'OFAC, che difficilmente avrebbero permesso un'indagine accurata.
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