La prima volta della Cina come ospitante dell'incontro tra i grandi della Terra, l'affermazione di Pechino come vera potenza mondiale ed interlocutore credibile nel mondo. Resta però il problema di ogni documento conclusivo: promesse impegnative sulla carta e ancor più difficili da applicare. Ne abbiamo parlato con il giornalista e scrittore, esperto di Cina, Simone Pieranni.
Intervista di Lorenzo Carchini
Un G20 "principalmente utile per la Cina". Così Simone Pieranni, giornalista,scrittore, fondatore dell'agenzia China Files e redattore per gli esteri de Il Manifesto, ha descritto l'ultimo G20 tenutosi a Hangzhou. Un incontro le cui aspettative non erano altissime e l'attenzione era perlopiù dedicata alle situazioni internazionali di grande urgenza, come la Siria.
Si è così trattato di un "sostanziale successo della Cina", che è riuscita a mettere all'ordine del giorno alcuni temi come la globalizzazione e la necessità di una global governance, da molto tempo cari a Pechino.
Condizioni, quelle poste dai cinesi, atte a favorire i paesi in via di sviluppo, perché essi possano ottenere un maggior peso internazionale, promuovendo la Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), la piattaforma economica con la quale lanciare la sfida al Fondo Monetario Internazionale ed agli Stati Uniti.
Cina protagonista anche nella redazione del documento finale. Secondo Pieranni, infatti, "la Cina si distingue per documenti in cui vengono annunciate grandi riforme, grandi obiettivi, ma poi nella pratica non viene mai specificato come arrivarci". Ovvero, parlare di crescita, ma mantenere assunti neoliberisti.
La Cina resta, dunque, un paese protezionista all'interno, con un mercato "molto difficile per le aziende straniere", del quale si conosce poco e con aziende di stato fortemente difese, ma che, al di fuori, "si muove con maggior forza anche in situazioni dove prima aveva un ruolo di secondo piano", riscrivendo gli equilibri geopolitici internazionali. E forse è qui, per quello che Pieranni chiama "Hangzhou consensus", che quest'ultimo G20 verrà ricordato.
Un G20 "principalmente utile per la Cina". Così Simone Pieranni, giornalista,scrittore, fondatore dell'agenzia China Files e redattore per gli esteri de Il Manifesto, ha descritto l'ultimo G20 tenutosi a Hangzhou. Un incontro le cui aspettative non erano altissime e l'attenzione era perlopiù dedicata alle situazioni internazionali di grande urgenza, come la Siria.
Si è così trattato di un "sostanziale successo della Cina", che è riuscita a mettere all'ordine del giorno alcuni temi come la globalizzazione e la necessità di una global governance, da molto tempo cari a Pechino.
Condizioni, quelle poste dai cinesi, atte a favorire i paesi in via di sviluppo, perché essi possano ottenere un maggior peso internazionale, promuovendo la Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), la piattaforma economica con la quale lanciare la sfida al Fondo Monetario Internazionale ed agli Stati Uniti.
Cina protagonista anche nella redazione del documento finale. Secondo Pieranni, infatti, "la Cina si distingue per documenti in cui vengono annunciate grandi riforme, grandi obiettivi, ma poi nella pratica non viene mai specificato come arrivarci". Ovvero, parlare di crescita, ma mantenere assunti neoliberisti.
La Cina resta, dunque, un paese protezionista all'interno, con un mercato "molto difficile per le aziende straniere", del quale si conosce poco e con aziende di stato fortemente difese, ma che, al di fuori, "si muove con maggior forza anche in situazioni dove prima aveva un ruolo di secondo piano", riscrivendo gli equilibri geopolitici internazionali. E forse è qui, per quello che Pieranni chiama "Hangzhou consensus", che quest'ultimo G20 verrà ricordato.
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