Il referendum diventa un pretesto per un duello in parallelo tra prima Repubblica e il renzismo. Una cosa resta certa: non è spersonalizzabile.
di Lorenzo Carchini
Forse coloro volevano capire qualcosa di più sulla riforma costituzionale ne sarà uscito con le idee un po' confuse, ieri sera da Mentana su La7, in compenso si saranno fatti una cultura sulla riforma agraria del '50. Matteo Renzi, classe 1975, Ciriaco De Mita classe 1928, si sono confrontati non solo sulle ragioni del Sì e del No al referendum del prossimo 4 Dicembre, ma anche quelle di due epoche storiche.
De Mita ha difeso il "prima", di cui ne è la perfetta incarnazione, vista la dipartita di molti compagni d'avventura: la Prima Repubblica, quella in bianco e nero, delle foto sgranate, delle pellicce di visone e degli "occhiali da pentapartito". Una storia della politica profondamente intrecciata con il paese. Il premier, dal canto suo, ha cercato, più che di difendere il "deserto" di cui è padrone, di attaccare ciò che era prima ed i peccati originali di quella stagione. Il tutto condito dal piglio del rottamatore: "Ci avete rubato il presente, adesso speriamo che non succeda lo stesso con il presente".
La generazione delle cicale e quella delle formiche, la politica dell'eterno ritorno (in poltrona) e quella del "fare". Tutto il resto diventa sfondo, persino uno dei migliori giornalisti italiani. Il Referendum diventa un pretesto per un duello in parallelo tra Prima Repubblica e il renzismo. Dopo i primi preamboli, l'irritazione sfocia in aperta polemica, quando Renzi scalda i motori: "Mica sono del Pd dove parla solo lui".
Proprio dalla seconda parte del confronto, il nervosismo prende il sopravvento fra i due ed il confronto si fa serrato. Renzi cerca di troncare con la storia: "voi non siete riusciti a fare la riforma delle istituzioni". De Mita lo avverte: "Chi te lo ha detto che ce la farai? Cautela".
Certo di Costituzione si è discusso e, nel definire "antiestetica" la riforma del Senato e di "politici di serie B" coloro che ne verranno a far parte, De Mita non ha parlato a sproposito, come lo ha accusato il presidente. La discesa sul piano personale è stata, però, il tempo di un botta e risposta: "La mia sensazione è che tu abbia sostituito il vigore del pensiero con la quantificazione delle notizie". Il premier punzecchia la lunga militanza politica dell'ex DC, che ribatte: "Quando la politica è mestiere deve essere breve, quando la politica è pensiero può durare fino alla morte".
Renzi lo accusa per i cambi di partito, ma De Mita è un fiume in piena: "Questa è una volgarità che non mi aspettavo e soprattutto detta da chi in politica le ha inventate tutte. Hai fatto un partito dove parli da solo e le tue relazioni in direzione andrebbero pubblicate per capire a cosa si è ridotta la politica. È un mestiere che vuoi gestire in maniera autoritaria". E conclude: "Io non ho rabbia per te, ho pietà, non sarò mai di quelli che cambiano partito. Sono nato e muoio democristiano tu non so". Il giudizio diventa tombale sul dibattito: "Ha una tale consapevolezza che non vede limiti alla sua arroganza".
Insomma, ieri sera il "vecchio" De Mita ha avuto la capacità di dire quello che diversi oppositori "moderni" pensano dell'attuale Presidente del Consiglio, il tutto con una proprietà di linguaggio e di esperienza che fa loro difetto - pur cadendo in qualche inesattezza di troppo, come sulla fiducia e l'Italicum. Dall'altra parte il premier passa dalle copertine delle riviste alle reti televisive, partecipa a tutti i dibattiti possibili; fa campagna e le occasioni non mancano.
Come può risultare spersonalizzato il voto? Semplicemente non può, finché noi lo vedremo come tale. Renzi deve rimontare, il tempo stringe e - vuoi la sua personalità prorompente, vuoi un plotone di fedelissimi non molto telegenici - deve spesso cercare il faccia a faccia. Il tutto si riflette sulla sua popolarità, che va a fasi alternate: bene quando critica l'Europa (ma sugli effetti bisognerebbe discutere), meno bene nel frammentato spartito interno.
di Lorenzo Carchini
Forse coloro volevano capire qualcosa di più sulla riforma costituzionale ne sarà uscito con le idee un po' confuse, ieri sera da Mentana su La7, in compenso si saranno fatti una cultura sulla riforma agraria del '50. Matteo Renzi, classe 1975, Ciriaco De Mita classe 1928, si sono confrontati non solo sulle ragioni del Sì e del No al referendum del prossimo 4 Dicembre, ma anche quelle di due epoche storiche.
De Mita ha difeso il "prima", di cui ne è la perfetta incarnazione, vista la dipartita di molti compagni d'avventura: la Prima Repubblica, quella in bianco e nero, delle foto sgranate, delle pellicce di visone e degli "occhiali da pentapartito". Una storia della politica profondamente intrecciata con il paese. Il premier, dal canto suo, ha cercato, più che di difendere il "deserto" di cui è padrone, di attaccare ciò che era prima ed i peccati originali di quella stagione. Il tutto condito dal piglio del rottamatore: "Ci avete rubato il presente, adesso speriamo che non succeda lo stesso con il presente".
La generazione delle cicale e quella delle formiche, la politica dell'eterno ritorno (in poltrona) e quella del "fare". Tutto il resto diventa sfondo, persino uno dei migliori giornalisti italiani. Il Referendum diventa un pretesto per un duello in parallelo tra Prima Repubblica e il renzismo. Dopo i primi preamboli, l'irritazione sfocia in aperta polemica, quando Renzi scalda i motori: "Mica sono del Pd dove parla solo lui".
Proprio dalla seconda parte del confronto, il nervosismo prende il sopravvento fra i due ed il confronto si fa serrato. Renzi cerca di troncare con la storia: "voi non siete riusciti a fare la riforma delle istituzioni". De Mita lo avverte: "Chi te lo ha detto che ce la farai? Cautela".
Certo di Costituzione si è discusso e, nel definire "antiestetica" la riforma del Senato e di "politici di serie B" coloro che ne verranno a far parte, De Mita non ha parlato a sproposito, come lo ha accusato il presidente. La discesa sul piano personale è stata, però, il tempo di un botta e risposta: "La mia sensazione è che tu abbia sostituito il vigore del pensiero con la quantificazione delle notizie". Il premier punzecchia la lunga militanza politica dell'ex DC, che ribatte: "Quando la politica è mestiere deve essere breve, quando la politica è pensiero può durare fino alla morte".
Renzi lo accusa per i cambi di partito, ma De Mita è un fiume in piena: "Questa è una volgarità che non mi aspettavo e soprattutto detta da chi in politica le ha inventate tutte. Hai fatto un partito dove parli da solo e le tue relazioni in direzione andrebbero pubblicate per capire a cosa si è ridotta la politica. È un mestiere che vuoi gestire in maniera autoritaria". E conclude: "Io non ho rabbia per te, ho pietà, non sarò mai di quelli che cambiano partito. Sono nato e muoio democristiano tu non so". Il giudizio diventa tombale sul dibattito: "Ha una tale consapevolezza che non vede limiti alla sua arroganza".
Insomma, ieri sera il "vecchio" De Mita ha avuto la capacità di dire quello che diversi oppositori "moderni" pensano dell'attuale Presidente del Consiglio, il tutto con una proprietà di linguaggio e di esperienza che fa loro difetto - pur cadendo in qualche inesattezza di troppo, come sulla fiducia e l'Italicum. Dall'altra parte il premier passa dalle copertine delle riviste alle reti televisive, partecipa a tutti i dibattiti possibili; fa campagna e le occasioni non mancano.
Come può risultare spersonalizzato il voto? Semplicemente non può, finché noi lo vedremo come tale. Renzi deve rimontare, il tempo stringe e - vuoi la sua personalità prorompente, vuoi un plotone di fedelissimi non molto telegenici - deve spesso cercare il faccia a faccia. Il tutto si riflette sulla sua popolarità, che va a fasi alternate: bene quando critica l'Europa (ma sugli effetti bisognerebbe discutere), meno bene nel frammentato spartito interno.
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