Ad Assisi la scuola di formazione giornalistica Ucsi per "Vedere, comprendere, narrare". Intervista al gesuita consulente ecclesiastico Francesco Occhetta.
Radio Vaticana - E’ in corso ad Assisi la scuola di formazione giornalistica dell’Ucsi, l’Unione Cattolica Stampa Italiana. In occasione di questo evento è stato lanciato il nuovo sito dell’associazione Ucsi.it. La tre giorni di lavori è incentrata sul trinomio "Vedere, comprendere, narrare" su cui si sofferma il padre gesuita Francesco Occhetta, consulente ecclesiastico nazionale dell'Ucsi, intervistato da Alessandro Gisotti.
R. – Il primo è il vedere. Sorprendentemente nella Scrittura esce che vede solo chi conosce interiormente. Il Vangelo di Marco, al capitolo 10, pone come ultimo miracolo di Gesù proprio il miracolo del cieco perché ridonandogli la vista il Signore gli permette di diventare il primo discepolo che lo seguirà sotto la Croce per vedere cosa Lui farà per noi. Questo è fondamentale. Allora, il giornalismo deve recuperare una "vista interiore" che gli permetta di vedere la realtà situandola e situandosi però costruendo in comunione, permettendo che tutto quello che si dice è comunque vero perché lo si vede. La seconda dimensione è quella del comprendere, quindi io comprendo ciò che è la somma di un’esperienza che io vivo, per cui è la rielaborazione di come io vedo e che posso comprendere e quindi trasmettere. Ed è per questo che due giornalisti che vedono la stessa cosa la ripetono in maniera diversa perché vedono in maniera diversa. E poi il narrare - che oggi è un verbo fondamentale, lo usa anche la politica… - attiene alla capacità di parlare della vita delle persone e di entrare fondamentalmente nei problemi che vivono e anche nelle gioie e nelle speranze, come dice il Concilio Vaticano II, per poter accompagnare la loro vita.
D. - Che cosa il giornalista credente può dare oggi come contributo alla comunicazione e anche a questo sviluppo di vedere-comprendere-narrare?
R. – Il giornalista credente deve dare a mio giudizio un’antropologia, un’etica di fondo che permette di approfondire e rendere liberi gli interlocutori davanti a una notizia. Molte volte infatti si può essere schiavi o ci si può vendere davanti ad alcune notizie. Per cui giornalismo ha una responsabilità incredibile e proprio in questo momento in cui la politica è abbastanza debole il giornalismo può spostare anche i consensi e quindi è fondamentalmente questo: rendere libere le persone per far sì che loro scelgano.
D. – E’ stato annunciato il tema del Messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del prossimo anno. Balza questo binomio, "speranza e fiducia". Come in un mondo dove sembra che le cattive notizie facciano più rumore di quelle buone, un giornalista può dare speranza e fiducia alla società a cui parla e che racconta?
R. – La speranza, diceva Aldo Moro, è "la certezza delle cose future", per cui anche davanti alla morte c’è sempre una vita che va oltre e quindi noi la dobbiamo annunciare. Il credere si basa su questo! La fiducia è fondamentale per il giornalismo perché è su legami di fiducia che oggi si costruisce una notizia, non sulla quantità di informazioni che arrivano, ma sulla qualità delle persone con cui tu sei in relazione che ti possono aiutare a capire come leggere la realtà.
Radio Vaticana - E’ in corso ad Assisi la scuola di formazione giornalistica dell’Ucsi, l’Unione Cattolica Stampa Italiana. In occasione di questo evento è stato lanciato il nuovo sito dell’associazione Ucsi.it. La tre giorni di lavori è incentrata sul trinomio "Vedere, comprendere, narrare" su cui si sofferma il padre gesuita Francesco Occhetta, consulente ecclesiastico nazionale dell'Ucsi, intervistato da Alessandro Gisotti.
R. – Il primo è il vedere. Sorprendentemente nella Scrittura esce che vede solo chi conosce interiormente. Il Vangelo di Marco, al capitolo 10, pone come ultimo miracolo di Gesù proprio il miracolo del cieco perché ridonandogli la vista il Signore gli permette di diventare il primo discepolo che lo seguirà sotto la Croce per vedere cosa Lui farà per noi. Questo è fondamentale. Allora, il giornalismo deve recuperare una "vista interiore" che gli permetta di vedere la realtà situandola e situandosi però costruendo in comunione, permettendo che tutto quello che si dice è comunque vero perché lo si vede. La seconda dimensione è quella del comprendere, quindi io comprendo ciò che è la somma di un’esperienza che io vivo, per cui è la rielaborazione di come io vedo e che posso comprendere e quindi trasmettere. Ed è per questo che due giornalisti che vedono la stessa cosa la ripetono in maniera diversa perché vedono in maniera diversa. E poi il narrare - che oggi è un verbo fondamentale, lo usa anche la politica… - attiene alla capacità di parlare della vita delle persone e di entrare fondamentalmente nei problemi che vivono e anche nelle gioie e nelle speranze, come dice il Concilio Vaticano II, per poter accompagnare la loro vita.
D. - Che cosa il giornalista credente può dare oggi come contributo alla comunicazione e anche a questo sviluppo di vedere-comprendere-narrare?
R. – Il giornalista credente deve dare a mio giudizio un’antropologia, un’etica di fondo che permette di approfondire e rendere liberi gli interlocutori davanti a una notizia. Molte volte infatti si può essere schiavi o ci si può vendere davanti ad alcune notizie. Per cui giornalismo ha una responsabilità incredibile e proprio in questo momento in cui la politica è abbastanza debole il giornalismo può spostare anche i consensi e quindi è fondamentalmente questo: rendere libere le persone per far sì che loro scelgano.
D. – E’ stato annunciato il tema del Messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del prossimo anno. Balza questo binomio, "speranza e fiducia". Come in un mondo dove sembra che le cattive notizie facciano più rumore di quelle buone, un giornalista può dare speranza e fiducia alla società a cui parla e che racconta?
R. – La speranza, diceva Aldo Moro, è "la certezza delle cose future", per cui anche davanti alla morte c’è sempre una vita che va oltre e quindi noi la dobbiamo annunciare. Il credere si basa su questo! La fiducia è fondamentale per il giornalismo perché è su legami di fiducia che oggi si costruisce una notizia, non sulla quantità di informazioni che arrivano, ma sulla qualità delle persone con cui tu sei in relazione che ti possono aiutare a capire come leggere la realtà.
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