Perchè Sesto? Come ha fatto ad arrivare fin lì? Si addensano le domande intorno al killer di Berlino. Ecco la sua storia, da Lampedusa a Sesto.
Doveva essere un controllo ed invece un'agente in prova ha risposto al fuoco di Anis Amri, uccidendo l'autore della strage del mercato di Natale a Berlino. In corso le indagini, ma le domande adesso diventano molte: perché Amri era a Sesto San Giovanni? Come ci è arrivato? E, soprattutto, come ha fatto ad attraversare indisturbato Germania e Francia, arrivare a Torino ed infine nel milanese?
Come abbiamo avuto modo di scrivere e leggere, la storia di Amri ci dice molto dei malfunzionamenti del sistema d'intelligence europeo, della comunicazione fra le varie agenzie internazionali ed infine dell'intero sistema di gestione dell'enorme fenomeno migratorio che stiamo sperimentando in questi anni.
La vicenda di Berlino e la vita dell'attentatore, stavolta, è una storia anche italiana. Per la precisioni prende origine da Lampedusa. Nell'aprile del 2011 il tunisino giunge su un barcone. È uno dei tanti che scappano da casa, ufficialmente per cercare un futuro migliore. Dice di essere minorenne. Una bugia che gli consente di essere rispedito a casa. Infatti, viene trasferito in una comunità di Belpasso, nel Catanese. Qualche tempo dopo finisce nel carcere di Catania. Assieme ad altri ragazzi ha dato fuoco alla struttura che lo ospita. Si becca una condanna a quattro anni per lesioni, danneggiamento e violenza privata.
Per scontare la pena gira tutta l'isola: Catania, Enna, Sciacca, Agrigento e Palermo. In tutti si distingue per il suo carattere difficile. In quattro anni gli vengono contestate dodici violazioni disciplinari che gli costano 74 giorni d'isolamento. Proprio ad Agrigento, nel 2013, viene annotata la "radicalizzazione" nelle scheda del detenuto Amri. Non solo, l'amministrazione penitenziaria registra la frequentazione del giovane solo con tunisini e le minacce subita da un detenuto cristiano: "Ti taglio la testa".
La parte più oscura della sua storia arriva solo dopo aver scontato la pena. Nel maggio del 2015, tornato in libertà, viene ospitato nel centro nel Cie di Caltanissetta. Dovrebbe arrivare l'espulsione, ma il governo tunisino non collabora: non lo riconosce come cittadino tunisino, in un un comunissimo caso di mancata cooperazione che blocca di fatto ogni procedimento. I dati intanto confluiscono nel Sis (il Sistema di informazione Schengen), che dovrebbe controllare i soggetti "pericolosi" presenti nell'area Schengen.
E' il Luglio 2015 quando Amri lascia la Sicilia e l'Italia. Arriva fino in Germania, dove la radicalizzazione sembra completarsi sotto Abu Walaa, l'iman iracheno e fondamentalista. Il suo arresto porta Amri a uscire dai radar. Di lui si perdono le tracce fino alla strage del mercato natalizio a Berlino.
Il suo nome torna solo dopo l'identificazione attraverso le impronte digitali, nel tir che ha travolto la folla, assieme ai suoi documenti. Mentre giornali e agenzie diffondono foto del ragazzo, lui attraversa tutta la Germania, arriva in Francia, attraversa la Savoia, fino a Torino, indisturbato, sottotraccia. Lì, secondo le prime ricostruzioni, non riuscendo ad entrare in contatto con alcuna cellula jihadista (ma il condizionale è d'obbligo), prende un treno per Milano, arrivando fino a Sesto San Giovanni.
La domanda nasce spontanea: perché proprio nel luogo da cui sarebbe partito il camion della morte? Qual'era il piano di Amri, se ne aveva uno? Da qui partono le indagini, studiando il contenuto di quello zainetto con cui sarebbe ripartito dalla capitale tedesca.
Comunque andrà, la sua storia è una di quelle che non dovremmo dimenticare e che ci racconta molto di quello che non vogliamo sentire sul sistema di gestione del fenomeno migratorio e sulla condivisone d'intelligence volta alla prevenzione (se prevenzione può esistere) nell'Unione Europea.
Doveva essere un controllo ed invece un'agente in prova ha risposto al fuoco di Anis Amri, uccidendo l'autore della strage del mercato di Natale a Berlino. In corso le indagini, ma le domande adesso diventano molte: perché Amri era a Sesto San Giovanni? Come ci è arrivato? E, soprattutto, come ha fatto ad attraversare indisturbato Germania e Francia, arrivare a Torino ed infine nel milanese?
Come abbiamo avuto modo di scrivere e leggere, la storia di Amri ci dice molto dei malfunzionamenti del sistema d'intelligence europeo, della comunicazione fra le varie agenzie internazionali ed infine dell'intero sistema di gestione dell'enorme fenomeno migratorio che stiamo sperimentando in questi anni.
La vicenda di Berlino e la vita dell'attentatore, stavolta, è una storia anche italiana. Per la precisioni prende origine da Lampedusa. Nell'aprile del 2011 il tunisino giunge su un barcone. È uno dei tanti che scappano da casa, ufficialmente per cercare un futuro migliore. Dice di essere minorenne. Una bugia che gli consente di essere rispedito a casa. Infatti, viene trasferito in una comunità di Belpasso, nel Catanese. Qualche tempo dopo finisce nel carcere di Catania. Assieme ad altri ragazzi ha dato fuoco alla struttura che lo ospita. Si becca una condanna a quattro anni per lesioni, danneggiamento e violenza privata.
Per scontare la pena gira tutta l'isola: Catania, Enna, Sciacca, Agrigento e Palermo. In tutti si distingue per il suo carattere difficile. In quattro anni gli vengono contestate dodici violazioni disciplinari che gli costano 74 giorni d'isolamento. Proprio ad Agrigento, nel 2013, viene annotata la "radicalizzazione" nelle scheda del detenuto Amri. Non solo, l'amministrazione penitenziaria registra la frequentazione del giovane solo con tunisini e le minacce subita da un detenuto cristiano: "Ti taglio la testa".
La parte più oscura della sua storia arriva solo dopo aver scontato la pena. Nel maggio del 2015, tornato in libertà, viene ospitato nel centro nel Cie di Caltanissetta. Dovrebbe arrivare l'espulsione, ma il governo tunisino non collabora: non lo riconosce come cittadino tunisino, in un un comunissimo caso di mancata cooperazione che blocca di fatto ogni procedimento. I dati intanto confluiscono nel Sis (il Sistema di informazione Schengen), che dovrebbe controllare i soggetti "pericolosi" presenti nell'area Schengen.
E' il Luglio 2015 quando Amri lascia la Sicilia e l'Italia. Arriva fino in Germania, dove la radicalizzazione sembra completarsi sotto Abu Walaa, l'iman iracheno e fondamentalista. Il suo arresto porta Amri a uscire dai radar. Di lui si perdono le tracce fino alla strage del mercato natalizio a Berlino.
Il suo nome torna solo dopo l'identificazione attraverso le impronte digitali, nel tir che ha travolto la folla, assieme ai suoi documenti. Mentre giornali e agenzie diffondono foto del ragazzo, lui attraversa tutta la Germania, arriva in Francia, attraversa la Savoia, fino a Torino, indisturbato, sottotraccia. Lì, secondo le prime ricostruzioni, non riuscendo ad entrare in contatto con alcuna cellula jihadista (ma il condizionale è d'obbligo), prende un treno per Milano, arrivando fino a Sesto San Giovanni.
La domanda nasce spontanea: perché proprio nel luogo da cui sarebbe partito il camion della morte? Qual'era il piano di Amri, se ne aveva uno? Da qui partono le indagini, studiando il contenuto di quello zainetto con cui sarebbe ripartito dalla capitale tedesca.
Comunque andrà, la sua storia è una di quelle che non dovremmo dimenticare e che ci racconta molto di quello che non vogliamo sentire sul sistema di gestione del fenomeno migratorio e sulla condivisone d'intelligence volta alla prevenzione (se prevenzione può esistere) nell'Unione Europea.
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