9 miliardi in meno rispetto all’anno prima: il mercato delle armi convenzionali ha comunque fruttato nel 2015 un colossale giro d’affari di 80 miliardi di dollari.
Radio Vaticana - Al primo posto tra i venditori si confermano gli Stati Uniti, mentre tra gli acquirenti a guidare la classifica è il Katar. Lo documenta uno studio condotto dal Centro ricerche del Congresso di Washington, pubblicato ieri. Roberta Gisotti ha intervistato Laura Zeppa, ricercatrice e consulente per i Rapporti istituzionali dell’Archivio Disarmo. ascolta
La metà le hanno vendute al resto del mondo gli Stati Uniti, registrando pure aumento di 4 miliardi. Al secondo posto distanziata, è la Francia, con 15 miliardi e un incremento di ben 9 miliardi. Al terzo e quarto posto la Russia con 11,1 miliardi, in leggero calo di 100 milioni, e la Cina ferma a 6 miliardi. Tra gli acquirenti in cima alla lista il Qatar che ne ha acquistate per 17 miliardi, seguita da Egitto con 12 miliardi, Arabia Saudita con 8 miliardi.
Altri buoni compratori: Corea del Sud, Pakistan, Israele, Emirati Arabi Uniti, Iraq.
D. - Dunque l’industria degli armamenti gode di ottima salute, nonostante il lieve calo, che sarebbe dovuto però alla crisi globale. Ma a che punto siamo con le politiche di disarmo? Laura Zeppa:
R. – Il settore purtroppo non conosce crisi: ci sono delle tendenze al ribasso determinate da una crisi economica generale, però questo settore rimane fiorente. Naturalmente, c’è un tentativo di controllo, da parte di tantissimi enti, organizzazioni non governative, associazioni e anche degli stessi Stati che sono sensibili a tale tematica; però poi prevale sempre la politica dell’incrementare, questo settore, spesse volte sotto forma di ricerca perché si dice, facendo ricerca militare poi ci saranno anche degli sviluppi nella ricerca civile. In realtà si prosegue perché le industrie militari ci sono, sono fiorenti e forse non si prospettano altri mercati e quindi le attenzioni economiche e politiche si rivolgono ad incrementare questo settore, che – ripeto - è fiorente.
D. – L’Unione Europea, in particolare, che cosa ha fatto e che cosa sta facendo?
R. – Sta prendendo fortemente in considerazione la possibilità di inserire nei propri bilanci una notevole parte dei propri fondi proprio per lo sviluppo della ricerca nel settore militare. Una recente Risoluzione del Parlamento Europeo del 22 novembre scorso – omnicomprensiva di diverse tematiche riguardanti la Difesa europea – mostra proprio come, forse anche alla luce delle recente elezioni americane, l’Unione Europea stia prendendo seriamente in considerazione di divenire sempre più un soggetto indipendente o almeno meno dipendente da quelle che sono le risorse degli Stati Uniti. E forse questa intenzione da parte dell’Unione Europea di impiegare parte delle proprie risorse nella ricerca militare – cosa che finora non era mai successa – si sta proprio inserendo in questo tentativo di far fronte ad una eventuale venuta meno di una partecipazione da parte degli Stati Uniti.
D. – Dott.ssa Zeppa, gli affari e gli interessi che sono dietro al commercio delle armi hanno sempre ragione su ogni altra istanza per pacificare questo nostro pianeta…
R. – L’interesse monetario, economico e il potere che si crea e che scaturisce da questo mercato – in questo momento – sembra predominare su tutti quanti gli altri interessi. Però, in realtà, non è la soluzione per far fronte a questo momento di grande crisi e di grande sensazione di insicurezza. Anzi è un alimentare in più dell’insicurezza, di cui normalmente questo commercio di armi è il primo beneficiario: si sta autoalimentando con la stessa paura che esso genera.
Radio Vaticana - Al primo posto tra i venditori si confermano gli Stati Uniti, mentre tra gli acquirenti a guidare la classifica è il Katar. Lo documenta uno studio condotto dal Centro ricerche del Congresso di Washington, pubblicato ieri. Roberta Gisotti ha intervistato Laura Zeppa, ricercatrice e consulente per i Rapporti istituzionali dell’Archivio Disarmo. ascolta
La metà le hanno vendute al resto del mondo gli Stati Uniti, registrando pure aumento di 4 miliardi. Al secondo posto distanziata, è la Francia, con 15 miliardi e un incremento di ben 9 miliardi. Al terzo e quarto posto la Russia con 11,1 miliardi, in leggero calo di 100 milioni, e la Cina ferma a 6 miliardi. Tra gli acquirenti in cima alla lista il Qatar che ne ha acquistate per 17 miliardi, seguita da Egitto con 12 miliardi, Arabia Saudita con 8 miliardi.
Altri buoni compratori: Corea del Sud, Pakistan, Israele, Emirati Arabi Uniti, Iraq.
D. - Dunque l’industria degli armamenti gode di ottima salute, nonostante il lieve calo, che sarebbe dovuto però alla crisi globale. Ma a che punto siamo con le politiche di disarmo? Laura Zeppa:
R. – Il settore purtroppo non conosce crisi: ci sono delle tendenze al ribasso determinate da una crisi economica generale, però questo settore rimane fiorente. Naturalmente, c’è un tentativo di controllo, da parte di tantissimi enti, organizzazioni non governative, associazioni e anche degli stessi Stati che sono sensibili a tale tematica; però poi prevale sempre la politica dell’incrementare, questo settore, spesse volte sotto forma di ricerca perché si dice, facendo ricerca militare poi ci saranno anche degli sviluppi nella ricerca civile. In realtà si prosegue perché le industrie militari ci sono, sono fiorenti e forse non si prospettano altri mercati e quindi le attenzioni economiche e politiche si rivolgono ad incrementare questo settore, che – ripeto - è fiorente.
D. – L’Unione Europea, in particolare, che cosa ha fatto e che cosa sta facendo?
R. – Sta prendendo fortemente in considerazione la possibilità di inserire nei propri bilanci una notevole parte dei propri fondi proprio per lo sviluppo della ricerca nel settore militare. Una recente Risoluzione del Parlamento Europeo del 22 novembre scorso – omnicomprensiva di diverse tematiche riguardanti la Difesa europea – mostra proprio come, forse anche alla luce delle recente elezioni americane, l’Unione Europea stia prendendo seriamente in considerazione di divenire sempre più un soggetto indipendente o almeno meno dipendente da quelle che sono le risorse degli Stati Uniti. E forse questa intenzione da parte dell’Unione Europea di impiegare parte delle proprie risorse nella ricerca militare – cosa che finora non era mai successa – si sta proprio inserendo in questo tentativo di far fronte ad una eventuale venuta meno di una partecipazione da parte degli Stati Uniti.
D. – Dott.ssa Zeppa, gli affari e gli interessi che sono dietro al commercio delle armi hanno sempre ragione su ogni altra istanza per pacificare questo nostro pianeta…
R. – L’interesse monetario, economico e il potere che si crea e che scaturisce da questo mercato – in questo momento – sembra predominare su tutti quanti gli altri interessi. Però, in realtà, non è la soluzione per far fronte a questo momento di grande crisi e di grande sensazione di insicurezza. Anzi è un alimentare in più dell’insicurezza, di cui normalmente questo commercio di armi è il primo beneficiario: si sta autoalimentando con la stessa paura che esso genera.
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