Il Segretario: "Sì al Mattarellum". Ma alla fase zen non crede nessuno. Cuperlo: "Serve una guida diversa". Speranza si fa avanti, Giachetti: "Hai la faccia come il c...".
Un'ora di monologo, un solo tema: il Mattarellum. Questo il riassunto del discorso di ieri di Matteo Renzi all'assemblea del Pd. Un'ora nella quale l'ex premier ha cercato in ogni modo di mascherare la voglia di una rivincita immediata. Niente congresso anticipato, niente primarie, niente giro d'Italia in camper. Eppure la sensazione, evidente, è che la presenza dell'attuale presidente del Consiglio Gentiloni, a fianco, sia stato l'unico motivo a farlo desistere dall'affondo.
La voglia di elezioni immediate per Renzi è giustificata dalla sua stessa condizione. Un governo fino a fine legislatura comporterebbe la creazione di nuove correnti, che finirebbero per lasciarlo fuori dalla partita. Al contrario, un esecutivo debole - come è, con la spada di Damocle dei verdiniani al Senato - con vista sulle elezioni, gli permetterebbe un rilancio in tempi brevissimi.
Il Mattarellum diventa un'arma con cui stanare i partiti: "chi ha paura di votare sono gli altri", ovvero, chi vuole votare mi segua. Ma chi lo seguirà? Berlusconi non lo vuole (e al momento non può partecipare alla partita in prima persona - vedi legge Severino); Grillo lo voleva, ma la valanga dei No al referendum lo avrebbe convinto ad appoggiare un Italicum anche al Senato; Salvini, pur di andare al voto anticipato sarebbe disposto anche ad accettare i collegi uninominali.
In realtà, i costituzionalisti dicono che i tempi saranno molto più lunghi col Mattarellum rispetto a quelli previsti. Con i cambiamenti demografici dal '93 che richiederebbero una completa rianalisi dei collegi, secondo Quagliariello, si andrebbe fino ad Ottobre. Ma anche l'agenda internazionale non va incontro al voto anticipato: a Marzo, a Roma, ci sarà la prima uscita internazionale di Donald Trump come presidente Usa, l'Italia non può arrivarci in piena campagna elettorale.
La legge elettorale che porta il nome dell'attuale capo di Stato di fatto archiviò il proporzionale della Prima Repubblica. Oggi potrebbe tornare in auge e a cavalcarlo è proprio il segretario "rottamatore". "Ho avuto voglia di mollare", ha detto "ma il patto tra noi è che nessuno qui ha il diritto di abbandonare il proprio posto di guardia come sentinella e riprendere il Paese". Eccolo rientrare dalla finestra.
Dopo domenica difficilmente Renzi può aver pensato di lasciare, piuttosto ha "rosicato": ha perso proprio fra coloro che pensava di avere dalla propria parte: i giovani. Inoltre, è stato confermato come Roma costituisca per lui un confine: sotto, al Sud, non arriva perché più dura è la realtà, meno forte è la sua narrazione ed altri sono i leader del centrosinistra (Emiliano, totale antitesi del "suo" De Luca).
Così i 19 milioni di No, nel monologo, diventano "Prima Repubblica", spernacchiati dalle canzoni di Zalone. La "fase zen" è un autoproclama, nulla è cambiato nella testa di Renzi. Non c'è vera autocritica, lo "straperso" si traduce in un "non abbiamo comunicato bene, o meglio, voi elettori non avete capito".
La verità è che le correnti Pd non sono poche, ma non sono abbastanza organizzate da poter davvero impensierire la leadership renziana. Un voto in Aprile o Giugno comporterebbe un immediato appoggio all'ex premier come unico candidato "possibile" in un partito ancora non pronto. Magari anche con l'idea di vincere, se la Grande Armée dei 5 Stelle dovesse impantanarsi a Roma.
Un'ora di monologo, un solo tema: il Mattarellum. Questo il riassunto del discorso di ieri di Matteo Renzi all'assemblea del Pd. Un'ora nella quale l'ex premier ha cercato in ogni modo di mascherare la voglia di una rivincita immediata. Niente congresso anticipato, niente primarie, niente giro d'Italia in camper. Eppure la sensazione, evidente, è che la presenza dell'attuale presidente del Consiglio Gentiloni, a fianco, sia stato l'unico motivo a farlo desistere dall'affondo.
La voglia di elezioni immediate per Renzi è giustificata dalla sua stessa condizione. Un governo fino a fine legislatura comporterebbe la creazione di nuove correnti, che finirebbero per lasciarlo fuori dalla partita. Al contrario, un esecutivo debole - come è, con la spada di Damocle dei verdiniani al Senato - con vista sulle elezioni, gli permetterebbe un rilancio in tempi brevissimi.
Il Mattarellum diventa un'arma con cui stanare i partiti: "chi ha paura di votare sono gli altri", ovvero, chi vuole votare mi segua. Ma chi lo seguirà? Berlusconi non lo vuole (e al momento non può partecipare alla partita in prima persona - vedi legge Severino); Grillo lo voleva, ma la valanga dei No al referendum lo avrebbe convinto ad appoggiare un Italicum anche al Senato; Salvini, pur di andare al voto anticipato sarebbe disposto anche ad accettare i collegi uninominali.
In realtà, i costituzionalisti dicono che i tempi saranno molto più lunghi col Mattarellum rispetto a quelli previsti. Con i cambiamenti demografici dal '93 che richiederebbero una completa rianalisi dei collegi, secondo Quagliariello, si andrebbe fino ad Ottobre. Ma anche l'agenda internazionale non va incontro al voto anticipato: a Marzo, a Roma, ci sarà la prima uscita internazionale di Donald Trump come presidente Usa, l'Italia non può arrivarci in piena campagna elettorale.
La legge elettorale che porta il nome dell'attuale capo di Stato di fatto archiviò il proporzionale della Prima Repubblica. Oggi potrebbe tornare in auge e a cavalcarlo è proprio il segretario "rottamatore". "Ho avuto voglia di mollare", ha detto "ma il patto tra noi è che nessuno qui ha il diritto di abbandonare il proprio posto di guardia come sentinella e riprendere il Paese". Eccolo rientrare dalla finestra.
Dopo domenica difficilmente Renzi può aver pensato di lasciare, piuttosto ha "rosicato": ha perso proprio fra coloro che pensava di avere dalla propria parte: i giovani. Inoltre, è stato confermato come Roma costituisca per lui un confine: sotto, al Sud, non arriva perché più dura è la realtà, meno forte è la sua narrazione ed altri sono i leader del centrosinistra (Emiliano, totale antitesi del "suo" De Luca).
Così i 19 milioni di No, nel monologo, diventano "Prima Repubblica", spernacchiati dalle canzoni di Zalone. La "fase zen" è un autoproclama, nulla è cambiato nella testa di Renzi. Non c'è vera autocritica, lo "straperso" si traduce in un "non abbiamo comunicato bene, o meglio, voi elettori non avete capito".
La verità è che le correnti Pd non sono poche, ma non sono abbastanza organizzate da poter davvero impensierire la leadership renziana. Un voto in Aprile o Giugno comporterebbe un immediato appoggio all'ex premier come unico candidato "possibile" in un partito ancora non pronto. Magari anche con l'idea di vincere, se la Grande Armée dei 5 Stelle dovesse impantanarsi a Roma.
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