sabato, dicembre 31, 2016
Promesse non mantenute e prospettive politiche al tramonto di un anno difficile, la sfiducia per l'anno che verrà.

di Lorenzo Carchini

"Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce", diceva il venditore di almanacchi del Leopardi. Tradizionalmente, arrivati al 31 Dicembre, arriva il momento di buttar giù qualche conclusione o qualche proposito per l'anno nuovo. Ci siamo arrivati faticosamente, quest'anno, sommersi da un mare di sfiducia  ed inquietudine. Che anno è stato il 2016? E, soprattutto, che anno sarà il 2017?

Il 2016, in Italia e non solo, doveva essere un anno di conferme. A cominciare da quella di Matteo Renzi, rottamatore ed infine rottamato a sua volta. Prima i sondaggi, per la prima volta in calo. Poi è stato il turno delle amministrative, con l'inevitabile sconfitta a Roma, l'inedito derby dei candidati "uguali" a Milano, la debacle di Torino e lo stillicidio nel Sud. Infine una lotta referendaria alienante, fatta da ripensamenti, promesse assurde, ritorni in campo e comitati, che non solo ne hanno sancito un mesto finale di stagione, ma hanno gettato le basi per quello che sarà il 2017: un anno di elezioni - legge elettorale permettendo.

Con l'ex premier, doveva esserci la definitiva affermazione di un'intera comunità, quella della Leopolda e del renzismo. Nata come fabbrica di idee e di "opposizioni", spalla a spalla con Civati, è invece scaduta di anno in anno, sempre più disertata a sinistra, finendo in una kermesse di fedelissimi e facoltosi finanzieri. Un tramonto "narrato" più dagli assenti che dai presenti, dove perfino il partito è sbiadito sullo sfondo.

Doveva essere l'anno del rilancio del sistema Italia, a partire dal lavoro, ed invece siamo già in attesa delle decisioni della Corte il prossimo 11 Gennaio sul famigerato Jobs act, il pacchetto promosso dal ministro Poletti che avrebbe dovuto, da un lato, portare allo scoperto il nero, con i voucher, dall'altro creare flessibilità sul mondo del lavoro. Il risultato è nell'oscillante serie di numeri dell'Istat, nell'impietoso bilancio sulla disoccupazione giovanile, nella crescente assenza di tutele sul posto di lavoro (Almaviva), nelle differenze di genere e nell'indiscriminato sfruttamento che proprio i voucher hanno finito per favorire.

Un capitolo a parte merita il Movimento Cinque Stelle. In un anno di enormi cambiamenti, dal passo di lato di Grillo, la morte di Casaleggio, la crisi del Direttorio ed infine il ritorno dell'ex comico, referendum ed amministrative costituiscono un esame di maturità (ancora in corso), di cui molto si giocherà a Roma. Dalla Roma a Cinque Cerchi alla Roma a Cinque Stelle, il 2016 della capitale è stato l'anno di quello che poteva essere e non è stato. La città resta con i problemi di sempre, da quelli sociali a quelli quotidiani, dal Baobab alle buche.

E' vero, al momento Roma con ogni probabilità è la capitale meno adatta ad ospitare un evento di simile portata, ma l'impressione è stata che i Cinque Stelle abbiano rifiutato di raccogliere una sfida "troppo grande" per loro. Per quanto il tempo sia ancora dalla parte di Virginia Raggi, la sua inadeguatezza è ormai un fatto. Commissariata di fatto dal Movimento, vezzeggiata nelle "segretissime" riunioni, al netto di un'eredità drammatica, sta pagando una giunta che non c'è ed una partenza a rilento.

Mentre all'orizzonte si affacciano le elezioni del prossimo anno, facciamoci il segno della croce e guardiamo l'erba del vicino. L'immagine di un'Italia impantanata e ripiegata su sé stessa è lo specchio di un'ampia fetta di Occidente. Dagli Stati Uniti di Trump, al Regno Unito della Brexit, fino alla futuribile ascesa delle destre radicali, pronte a prendersi la Francia ed avvinghiate ai corpi del mercatino natalizio di Berlino, in Germania. Le tornate elettorali del 2017 ci diranno quanta Europa ci resta.

Così, le democrazie occidentali patiscono la crisi dei tempi. Economicamente, nei redditi stagnanti e nella crescente disuguaglianza. Socialmente, con la destabilizzazione della classe media sotto il doppio impatto della globalizzazione e della rivoluzione digitale. Politicamente, con la pervasiva sensazione di perdita di controllo e di identità contro l'avvento della società aperta, con la crisi degli stati e la prospettiva di almeno un cinquantennio di ondate migratorie. Strategicamente, nella consapevolezza di un declino dell'Occidente e la rinascita di rischi interni ed esterni.

Il 2016 è stato un anno di muri, reali e psicologici, nel quale l'Europa ha proseguito nel non essere né patria né istituzione, riversandosi sui cittadini come organismo economico, ma incapace di giocare una partita unitaria sul piano diplomatico, stretta tra un'America oggi sconosciuta, la Russia di Putin, la Turchia di Erdogan. E', infine, l'Europa che ad Aleppo non c'è, se non con i volontari. E allora evviva i volontari, sale della terra.




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