Il legale, all'uscita non chiarisce se sarà infine interrogato. Per cosa è accusato? La ricostruzione.
Colloquio di una decina di minuti oggi a Palazzo di Giustizia a Milano tra l'avvocato Salvatore Scuto, legale del sindaco Giuseppe Sala, e i vertici della Procura milanese, il Procuratore generale Roberto Alfonso, e il Procuratore aggiunto Felice Isnardi. "E' stato un colloquio sereno e proficuo, come da prassi - ha commentato Scuto - abbiamo interloquito in via generale". Sala sarà interrogato? "Nei prossimi giorni - ha risposto - potremo soddisfare tutte le vostre curiosità".
Queste le parole dopo l'uscita del sindaco autosospeso Sala, che lasciano aperte ancora molte domande. Così come l'intera inchiesta. Di cosa è accusato, con precisione? Come si è sviluppato questo filone di indagine-bis, dopo lo stop nel 2014?
Siamo davanti ad una vicenda "strana", tipicamente italiana, nelle quali le lotte intestine tra membri delle amministrazioni s'intrecciano in un fitto groviglio burocratico e giudiziario. Secondo la ricostruzione del settimanale L'Espresso, l'attuale primo cittadino sarebbe indagato per aver firmato un atto amministrativo del 17 maggio 2012, che in realtà era stato scritto solo tredici giorni più tardi, il 30 maggio 2012.
Un atto preparato dai funzionari regionali sotto ad Antonio Rognoni, l'ex manager dei grandi appalti della Regione Lombardia, fedelissimo dell'allora governatore Formigoni. All'epoca, però, sarebbe stata in corso una vera e propria guerra burocratica proprio fra Rognoni e lo staff di Sala, che si sarebbe conclusa nel giro di mesi, con le manette per il manager.
Diversi i filoni dell'inchiesta. Il più importante riguarda la Piastra alla base dell'EXPO 2015: la struttura di fondo a cui si appoggiano tutti i padiglioni e costruzioni. La gara d'appalto avvenne tra dicembre 2011 e maggio 2012, dopo anni di liti interne al centrodestra tra la Regione di Formigoni e il Comune dell'allora sindaco Letizia Moratti. A gestire gli atti la Infrastutture Lombarde, controllata della Regione diretta da Rognoni, "consulente tecnico-amministrativo" alla società Expo 2015, guidata invece da Sala.
Una gara avvenuta con grave ritardo, col rischio di non finire i lavori in tempo. Secondo gli inquirenti, proprio questo sarebbe stato il peccato originale dell'Expo: i tempi troppo ridotti che hanno imposto procedure d'urgenza.
L'appalto viene assegnato alla Mantovani spa, con vantaggioso ribasso del 41% sulla base d'asta. Sala, quando il suo staff gli comunica che ha vinto la Mantovani, chiede ai suoi collaboratori se si tratti di un'impresa seria. I dirigenti di Expo gli spiegano che è una grande azienda, con mezzo miliardo di fatturato, e che sta realizzando il Mose di Venezia. Era il 2012, la Guardia di Finanza stava intercettando tutti.
La Mantovani non doveva vincere, così comincia il "ricatto" di Rognoni (che avrebbe preferito la cordata Gravio-Impregilo). I progetti naufragano, cambiano in continuazione ed i prezzi lievitano. La ditta viene avvicinata da Pizzarotti, imprenditore, che aveva proposto in sede d'asta un ribasso del 20%, perché lascino, promettendo in cambio denaro. Di qui il secondo filone dell'inchiesta, sull'ipotesi di un tentativo, fallito, di truccare la gara ormai aggiudicata e la concessione di aumenti di prezzo.
In tutto ciò il ruolo di Sala appare secondario. Eppure affatto trascurabile. Le intercettazioni di Rognoni e dei suoi collaboratori mostrano che il 15 maggio 2012 erano stati nominati solo cinque titolari della procedura di gara, senza le due riserve. Non solo, due commissari sarebbero stati incompatibili perché già con incarichi in Expo. A regola avrebbero dovuto dimettersi, a costo di invalidare tutte le procedure dell'appalto e non finire in tempo i lavori. Che fare? Un documento redatto e corretto, ma retrodatato: pronto il 30 maggio, ma datato 17. E qui sta l'intoppo: Sala era consapevole di firmare un atto falsificato da altri?
Colloquio di una decina di minuti oggi a Palazzo di Giustizia a Milano tra l'avvocato Salvatore Scuto, legale del sindaco Giuseppe Sala, e i vertici della Procura milanese, il Procuratore generale Roberto Alfonso, e il Procuratore aggiunto Felice Isnardi. "E' stato un colloquio sereno e proficuo, come da prassi - ha commentato Scuto - abbiamo interloquito in via generale". Sala sarà interrogato? "Nei prossimi giorni - ha risposto - potremo soddisfare tutte le vostre curiosità".
Queste le parole dopo l'uscita del sindaco autosospeso Sala, che lasciano aperte ancora molte domande. Così come l'intera inchiesta. Di cosa è accusato, con precisione? Come si è sviluppato questo filone di indagine-bis, dopo lo stop nel 2014?
Siamo davanti ad una vicenda "strana", tipicamente italiana, nelle quali le lotte intestine tra membri delle amministrazioni s'intrecciano in un fitto groviglio burocratico e giudiziario. Secondo la ricostruzione del settimanale L'Espresso, l'attuale primo cittadino sarebbe indagato per aver firmato un atto amministrativo del 17 maggio 2012, che in realtà era stato scritto solo tredici giorni più tardi, il 30 maggio 2012.
Un atto preparato dai funzionari regionali sotto ad Antonio Rognoni, l'ex manager dei grandi appalti della Regione Lombardia, fedelissimo dell'allora governatore Formigoni. All'epoca, però, sarebbe stata in corso una vera e propria guerra burocratica proprio fra Rognoni e lo staff di Sala, che si sarebbe conclusa nel giro di mesi, con le manette per il manager.
Diversi i filoni dell'inchiesta. Il più importante riguarda la Piastra alla base dell'EXPO 2015: la struttura di fondo a cui si appoggiano tutti i padiglioni e costruzioni. La gara d'appalto avvenne tra dicembre 2011 e maggio 2012, dopo anni di liti interne al centrodestra tra la Regione di Formigoni e il Comune dell'allora sindaco Letizia Moratti. A gestire gli atti la Infrastutture Lombarde, controllata della Regione diretta da Rognoni, "consulente tecnico-amministrativo" alla società Expo 2015, guidata invece da Sala.
Una gara avvenuta con grave ritardo, col rischio di non finire i lavori in tempo. Secondo gli inquirenti, proprio questo sarebbe stato il peccato originale dell'Expo: i tempi troppo ridotti che hanno imposto procedure d'urgenza.
L'appalto viene assegnato alla Mantovani spa, con vantaggioso ribasso del 41% sulla base d'asta. Sala, quando il suo staff gli comunica che ha vinto la Mantovani, chiede ai suoi collaboratori se si tratti di un'impresa seria. I dirigenti di Expo gli spiegano che è una grande azienda, con mezzo miliardo di fatturato, e che sta realizzando il Mose di Venezia. Era il 2012, la Guardia di Finanza stava intercettando tutti.
La Mantovani non doveva vincere, così comincia il "ricatto" di Rognoni (che avrebbe preferito la cordata Gravio-Impregilo). I progetti naufragano, cambiano in continuazione ed i prezzi lievitano. La ditta viene avvicinata da Pizzarotti, imprenditore, che aveva proposto in sede d'asta un ribasso del 20%, perché lascino, promettendo in cambio denaro. Di qui il secondo filone dell'inchiesta, sull'ipotesi di un tentativo, fallito, di truccare la gara ormai aggiudicata e la concessione di aumenti di prezzo.
In tutto ciò il ruolo di Sala appare secondario. Eppure affatto trascurabile. Le intercettazioni di Rognoni e dei suoi collaboratori mostrano che il 15 maggio 2012 erano stati nominati solo cinque titolari della procedura di gara, senza le due riserve. Non solo, due commissari sarebbero stati incompatibili perché già con incarichi in Expo. A regola avrebbero dovuto dimettersi, a costo di invalidare tutte le procedure dell'appalto e non finire in tempo i lavori. Che fare? Un documento redatto e corretto, ma retrodatato: pronto il 30 maggio, ma datato 17. E qui sta l'intoppo: Sala era consapevole di firmare un atto falsificato da altri?
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