Nella catechesi all’udienza generale, stamattina nell’Aula Paolo VI, proseguendo il tema della speranza cristiana, Francesco presenta la figura biblica di Rachele che piange i suoi figli in esilio e il suo pensiero va a quanti anche oggi sono lontani dalla patria. L’evangelista Matteo cita il brano del profeta Geremia per descrivere la “strage degli innocenti” e il Papa ricorda la triste attualità a causa del potere che ancora disprezza e sopprime la vita. Adriana Masotti: ascolta
Radio Vaticana - Una figura di donna che parla della speranza vissuta nel pianto: è Rachele, la sposa di Giacobbe che muore nel dare alla luce il suo secondogenito.
Nel brano biblico di oggi, da cui prende spunto la catechesi del Papa, il profeta Geremia cita Rachele rivolgendosi agli Israeliti in esilio per consolarli e attraverso Rachele presenta una realtà, dice Francesco, “di dolore e di pianto, ma insieme con una prospettiva di vita impensata”.
Rachele piange per i figli che in un certo senso sono morti andando in esilio:
"Davanti alla tragedia della perdita dei figli, una madre non può accettare parole o gesti di consolazione, che sono sempre inadeguati, mai capaci di lenire il dolore di una ferita che non può e non vuole essere rimarginata. Un dolore proporzionale all’amore. Ogni madre sa tutto questo; e sono tante, anche oggi, le madri che piangono, che non si rassegnano alla perdita di un figlio".
Rachele, prosegue il Papa, non vuole essere consolata e questo ci insegna anche quanta delicatezza ci viene chiesta davanti al dolore altrui:
"Per parlare di speranza a chi è disperato, bisogna condividere la sua disperazione; per asciugare una lacrima dal volto di chi soffre, bisogna unire al suo il nostro pianto. Solo così le nostre parole possono essere realmente capaci di dare un po’ di speranza. E se non posso dire parole così, con il pianto, con il dolore, meglio il silenzio. La carezza, il gesto e niente parole”.
La madre, che aveva accettato di morire al momento del parto, perché il figlio potesse vivere, con il suo pianto è ora principio di vita nuova per i figli esiliati, prigionieri, lontani dalla patria:
"Al dolore e al pianto amaro di Rachele, il Signore risponde con una promessa che adesso può essere per lei motivo di vera consolazione: il popolo potrà tornare dall’esilio e vivere nella fede, libero, il proprio rapporto con Dio. Le lacrime hanno generato speranza. E questo non è facile da capire, ma è vero. Tante volte, nella vita nostra, le lacrime seminano speranza, sono semi di speranza".
Il testo di Geremia, dice ancora il Papa, viene ripreso dall’evangelista Matteo è applicato alla strage degli innocenti mettendoci di fronte alla tragedia dell’uccisione di esseri umani indifesi, all’orrore del potere che disprezza e sopprime la vita. "I bambini di Betlemme morirono a causa di Gesù". E Lui, Agnello innocente, sarebbe poi morto, a sua volta, per tutti.
"Il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini: non dimenticare, questo. Quando qualcuno si rivolge a me e mi fa domande difficili, per esempio: 'Ma mi dica, Padre: perché soffrono i bambini?', davvero, io non so cosa rispondereudienza generale, stamattina nell’Aula Paolo VI.
Soltanto dico: 'Ma guarda il Crocifisso: Dio ci ha dato il Suo Figlio, Lui ha sofferto, e forse lì troverai una risposta. Ma risposte di qua [indica la testa], non ci sono. Soltanto guardando l’amore di Dio che dà Suo Figlio che offre la sua vita per noi, può indicare qualche strada di consolazione”. E per questo diciamo che il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini; ha condiviso ed ha accolto la morte; la sua Parola è definitivamente parola di consolazione, perché nasce dal pianto".
Tanti i bambini ancora vittime di conflitti e violenze: nei saluti ai pellegrini di lingua araba, il Papa si rivolge in particolare a quelli provenienti dalla Giordania, dall’Iraq e dal Medio Oriente dove si continua a morire. Infine, ai pellegrini polacchi ricorda che dopodomani sarà l’Epifania del Signore.
“Per le strade delle vostre città e di molte località, dice, sfileranno solenni cortei dei Magi. Partecipando a queste manifestazioni ricordate a tutti che Gesù, nato a Betlemme è presente nel mondo, è vicino a noi, ci porta la salvezza e vuole abitare nel cuore di ciascuno".
Nel brano biblico di oggi, da cui prende spunto la catechesi del Papa, il profeta Geremia cita Rachele rivolgendosi agli Israeliti in esilio per consolarli e attraverso Rachele presenta una realtà, dice Francesco, “di dolore e di pianto, ma insieme con una prospettiva di vita impensata”.
Rachele piange per i figli che in un certo senso sono morti andando in esilio:
"Davanti alla tragedia della perdita dei figli, una madre non può accettare parole o gesti di consolazione, che sono sempre inadeguati, mai capaci di lenire il dolore di una ferita che non può e non vuole essere rimarginata. Un dolore proporzionale all’amore. Ogni madre sa tutto questo; e sono tante, anche oggi, le madri che piangono, che non si rassegnano alla perdita di un figlio".
Rachele, prosegue il Papa, non vuole essere consolata e questo ci insegna anche quanta delicatezza ci viene chiesta davanti al dolore altrui:
"Per parlare di speranza a chi è disperato, bisogna condividere la sua disperazione; per asciugare una lacrima dal volto di chi soffre, bisogna unire al suo il nostro pianto. Solo così le nostre parole possono essere realmente capaci di dare un po’ di speranza. E se non posso dire parole così, con il pianto, con il dolore, meglio il silenzio. La carezza, il gesto e niente parole”.
La madre, che aveva accettato di morire al momento del parto, perché il figlio potesse vivere, con il suo pianto è ora principio di vita nuova per i figli esiliati, prigionieri, lontani dalla patria:
"Al dolore e al pianto amaro di Rachele, il Signore risponde con una promessa che adesso può essere per lei motivo di vera consolazione: il popolo potrà tornare dall’esilio e vivere nella fede, libero, il proprio rapporto con Dio. Le lacrime hanno generato speranza. E questo non è facile da capire, ma è vero. Tante volte, nella vita nostra, le lacrime seminano speranza, sono semi di speranza".
Il testo di Geremia, dice ancora il Papa, viene ripreso dall’evangelista Matteo è applicato alla strage degli innocenti mettendoci di fronte alla tragedia dell’uccisione di esseri umani indifesi, all’orrore del potere che disprezza e sopprime la vita. "I bambini di Betlemme morirono a causa di Gesù". E Lui, Agnello innocente, sarebbe poi morto, a sua volta, per tutti.
"Il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini: non dimenticare, questo. Quando qualcuno si rivolge a me e mi fa domande difficili, per esempio: 'Ma mi dica, Padre: perché soffrono i bambini?', davvero, io non so cosa rispondereudienza generale, stamattina nell’Aula Paolo VI.
Soltanto dico: 'Ma guarda il Crocifisso: Dio ci ha dato il Suo Figlio, Lui ha sofferto, e forse lì troverai una risposta. Ma risposte di qua [indica la testa], non ci sono. Soltanto guardando l’amore di Dio che dà Suo Figlio che offre la sua vita per noi, può indicare qualche strada di consolazione”. E per questo diciamo che il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini; ha condiviso ed ha accolto la morte; la sua Parola è definitivamente parola di consolazione, perché nasce dal pianto".
Tanti i bambini ancora vittime di conflitti e violenze: nei saluti ai pellegrini di lingua araba, il Papa si rivolge in particolare a quelli provenienti dalla Giordania, dall’Iraq e dal Medio Oriente dove si continua a morire. Infine, ai pellegrini polacchi ricorda che dopodomani sarà l’Epifania del Signore.
“Per le strade delle vostre città e di molte località, dice, sfileranno solenni cortei dei Magi. Partecipando a queste manifestazioni ricordate a tutti che Gesù, nato a Betlemme è presente nel mondo, è vicino a noi, ci porta la salvezza e vuole abitare nel cuore di ciascuno".
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