Il marketplace lending, con i suoi tempi rapidi e la sua spinta pionieristica, potrebbe essere il volano per fare di Milano la nuova City d'Europa.
WSI - La Brexit entra nel vivo e per l’Italia potrebbe essere un’occasione da non perdere. A dirlo sono gli analisti di Borsa del Credito, secondo cui il settore del marketplace lending potrebbe averne molto da guadagnare. Soprattutto quello extra britannico. Facendo ricorso all’articolo 50 del Trattato di Lisbona, la primo ministro britannico Theresa May ha appena aperto formalmente il processo che porterà la Gran Bretagna fuori dall’Unione.
Il processo durerà due anni e ridefinirà i rapporti tra britannici ed europei: “non si sa ancora se con un canale privilegiato riguardo alla circolazione di merci e persone, seguendo il modello norvegese, o se Londra dovrà confrontarsi con l’Ue come un qualsiasi membro del WTO”, si legge in un report dell’Ufficio Studi di BorsadelCredito.it. “Il fatto epocale è che per la prima volta da quando esiste l’Europa, che ha appena festeggiato il suo sessantesimo compleanno, sarà invocato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che regola l’uscita di uno Stato membro dall’Unione”. Le conseguenze di questa decisione non sono prevedibili, ma qualcuno ha provato a quantificarle. Si tratta del Ceps, il think tank di Bruxelles dell’economista Daniel Gros, che ha elaborato uno studio per conto del Parlamento europeo giungendo alla conclusione che, mentre “per i 27 stati membri le perdite sono per lo più irrisorie, per il Regno Unito sono davvero importanti, dieci volte maggiori in percentuale sul PIL.” In particolare, lo 0,75% del PIL britannico sarà bruciato ogni anno dalla Brexit, contro la perdita di mezzo punto percentuale al massimo da qui al 2030 per i 27 dell’Ue.
Le perdite saranno diverse a seconda del tipo di uscita, soft o hard: ma per l’Unione Europea l’impatto si attesta tra lo 0,11% e lo 0,52% in dieci anni; contro un calo annuo tra l’1,31 e il 4,21% per il Regno Unito, che può toccare quota 7,5% se dalla City dovessero fuggire anche le multinazionali. Che, a partire dalle banche, avevano annunciato qualche intenzione alla fuga, proprio a ridosso del voto che aveva visto il Leave prevalere. Il rischio era stato paventato dal presidente della British Bankers’ Association (BBA) Anthony Browne, che dalle colonne dell’Observer aveva minacciato il trasferimento del quartier generale di tutte le banche, partendo dalle più piccole fino a quelle più importanti, già da questi mesi. Abbastanza comprensibile il motivo: uscendo dall’Ue, Londra non funziona più come hub per l’Europa perché si perde il passaporto europeo, la libertà di vendere servizi e prodotti su tutto il territorio sovranazionale. Un disastro per una città che esporta, sempre secondo i dati del Ceps, 122 miliardi di euro in servizi finanziari oltre i 184 miliardi (pari al 7,5% del PIL) di beni manifatturieri verso l’Europa. La perdita del passaporto impatta anche sul marketplace lending? Le opinioni sono controverse, osserva Borsa del Credito.
“Secondo alcuni, saranno dolori per piattaforme come FundingCircle che è specializzato nei prestiti alle PMI e che sta cercando di sviluppare la sua operatività in Europa. Non solo, sempre secondo la stessa fonte, la Brexit potrebbe bloccare gli investitori privati e soprattutto istituzionali che hanno una modalità di azione risk on-risk off persino più frenetica dei primi – cioè reagiscono tirando i remi in barca al primo accenno di pericolo. Ma l’effetto peggiore sarebbe sui richiedenti: un report di Capitalise afferma che “il 40% delle PMI ha ammesso che la Brexit ha già avuto un impatto sulle sue decisioni di business”: l’incertezza paralizza”. Brexit e la perdita del passaporto europeo rappresentano una brutta notizia anche secondo il sito Pymnts.com per aziende come Prosper, Zopa, Ratesetter e FundingCircle, con l’impatto più duro sulle piccole e medie aziende e la loro volontà di investire chiedendo credito. Effetti che si limiterebbero al mercato inglese. Ma non tutti la pensano così: quanto agli investitori, “il clima era già turbolento prima della Brexit”, come ha detto lo stesso James Meekings, managing director e fondatore di Funding Circle a Bloomberg, a cui la Brexit non sembra far paura da nessun punto di vista perché già prima la società aveva iniziato le sue operazioni in molti Paesi d’Europa “rispettando in ognuno la regolamentazione nazionale: avere o non avere il passaporto cambia poco su come ci comportiamo a Berlino o a Londra.” La questione che la perdita del passaporto possa avere un impatto sul fintech non convince neppure Eileen Burbidge, la regina anglo-americana del venture capital, che crede che le società fintech a necessitare di questa libera circolazione dei servizi siano meno del 20%: la maggior parte non ne ha bisogno per operare in Europa.
“Ma anche se la fuga da Londra del Fintech fosse innescata da una hard Brexit, le altre capitali europee della finanza non avrebbero che da guadagnarne. Chi? Parigi, per esempio. O Berlino, che sta facendo di tutto per attrarre le fuggitive. E che potrà essere scelta anche dalle fintech USA e asiatiche che vogliono espandersi nel Vecchio Continente e sono alla ricerca di un hub da cui muovere”.
E perché allora non Milano? Per Guido Rosa, il presidente dell’associazione italiana delle banche estere, la Brexit è sempre stata un’occasione per fare del capoluogo lombardo la capitale finanziaria del Sud Europa e anche di tutta l’Europa, perché no. E il marketplace lending, con i suoi tempi rapidi e la sua spinta pionieristica, potrebbe essere il volano per fare del capoluogo lombardo la nuova City d’Europa.
WSI - La Brexit entra nel vivo e per l’Italia potrebbe essere un’occasione da non perdere. A dirlo sono gli analisti di Borsa del Credito, secondo cui il settore del marketplace lending potrebbe averne molto da guadagnare. Soprattutto quello extra britannico. Facendo ricorso all’articolo 50 del Trattato di Lisbona, la primo ministro britannico Theresa May ha appena aperto formalmente il processo che porterà la Gran Bretagna fuori dall’Unione.
Il processo durerà due anni e ridefinirà i rapporti tra britannici ed europei: “non si sa ancora se con un canale privilegiato riguardo alla circolazione di merci e persone, seguendo il modello norvegese, o se Londra dovrà confrontarsi con l’Ue come un qualsiasi membro del WTO”, si legge in un report dell’Ufficio Studi di BorsadelCredito.it. “Il fatto epocale è che per la prima volta da quando esiste l’Europa, che ha appena festeggiato il suo sessantesimo compleanno, sarà invocato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che regola l’uscita di uno Stato membro dall’Unione”. Le conseguenze di questa decisione non sono prevedibili, ma qualcuno ha provato a quantificarle. Si tratta del Ceps, il think tank di Bruxelles dell’economista Daniel Gros, che ha elaborato uno studio per conto del Parlamento europeo giungendo alla conclusione che, mentre “per i 27 stati membri le perdite sono per lo più irrisorie, per il Regno Unito sono davvero importanti, dieci volte maggiori in percentuale sul PIL.” In particolare, lo 0,75% del PIL britannico sarà bruciato ogni anno dalla Brexit, contro la perdita di mezzo punto percentuale al massimo da qui al 2030 per i 27 dell’Ue.
Le perdite saranno diverse a seconda del tipo di uscita, soft o hard: ma per l’Unione Europea l’impatto si attesta tra lo 0,11% e lo 0,52% in dieci anni; contro un calo annuo tra l’1,31 e il 4,21% per il Regno Unito, che può toccare quota 7,5% se dalla City dovessero fuggire anche le multinazionali. Che, a partire dalle banche, avevano annunciato qualche intenzione alla fuga, proprio a ridosso del voto che aveva visto il Leave prevalere. Il rischio era stato paventato dal presidente della British Bankers’ Association (BBA) Anthony Browne, che dalle colonne dell’Observer aveva minacciato il trasferimento del quartier generale di tutte le banche, partendo dalle più piccole fino a quelle più importanti, già da questi mesi. Abbastanza comprensibile il motivo: uscendo dall’Ue, Londra non funziona più come hub per l’Europa perché si perde il passaporto europeo, la libertà di vendere servizi e prodotti su tutto il territorio sovranazionale. Un disastro per una città che esporta, sempre secondo i dati del Ceps, 122 miliardi di euro in servizi finanziari oltre i 184 miliardi (pari al 7,5% del PIL) di beni manifatturieri verso l’Europa. La perdita del passaporto impatta anche sul marketplace lending? Le opinioni sono controverse, osserva Borsa del Credito.
“Secondo alcuni, saranno dolori per piattaforme come FundingCircle che è specializzato nei prestiti alle PMI e che sta cercando di sviluppare la sua operatività in Europa. Non solo, sempre secondo la stessa fonte, la Brexit potrebbe bloccare gli investitori privati e soprattutto istituzionali che hanno una modalità di azione risk on-risk off persino più frenetica dei primi – cioè reagiscono tirando i remi in barca al primo accenno di pericolo. Ma l’effetto peggiore sarebbe sui richiedenti: un report di Capitalise afferma che “il 40% delle PMI ha ammesso che la Brexit ha già avuto un impatto sulle sue decisioni di business”: l’incertezza paralizza”. Brexit e la perdita del passaporto europeo rappresentano una brutta notizia anche secondo il sito Pymnts.com per aziende come Prosper, Zopa, Ratesetter e FundingCircle, con l’impatto più duro sulle piccole e medie aziende e la loro volontà di investire chiedendo credito. Effetti che si limiterebbero al mercato inglese. Ma non tutti la pensano così: quanto agli investitori, “il clima era già turbolento prima della Brexit”, come ha detto lo stesso James Meekings, managing director e fondatore di Funding Circle a Bloomberg, a cui la Brexit non sembra far paura da nessun punto di vista perché già prima la società aveva iniziato le sue operazioni in molti Paesi d’Europa “rispettando in ognuno la regolamentazione nazionale: avere o non avere il passaporto cambia poco su come ci comportiamo a Berlino o a Londra.” La questione che la perdita del passaporto possa avere un impatto sul fintech non convince neppure Eileen Burbidge, la regina anglo-americana del venture capital, che crede che le società fintech a necessitare di questa libera circolazione dei servizi siano meno del 20%: la maggior parte non ne ha bisogno per operare in Europa.
“Ma anche se la fuga da Londra del Fintech fosse innescata da una hard Brexit, le altre capitali europee della finanza non avrebbero che da guadagnarne. Chi? Parigi, per esempio. O Berlino, che sta facendo di tutto per attrarre le fuggitive. E che potrà essere scelta anche dalle fintech USA e asiatiche che vogliono espandersi nel Vecchio Continente e sono alla ricerca di un hub da cui muovere”.
E perché allora non Milano? Per Guido Rosa, il presidente dell’associazione italiana delle banche estere, la Brexit è sempre stata un’occasione per fare del capoluogo lombardo la capitale finanziaria del Sud Europa e anche di tutta l’Europa, perché no. E il marketplace lending, con i suoi tempi rapidi e la sua spinta pionieristica, potrebbe essere il volano per fare del capoluogo lombardo la nuova City d’Europa.
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