lunedì, giugno 19, 2017
Imprese sul piede di guerra in seguito alle indiscrezioni stampa, finora non confermate, in base alle quali il Governo sarebbe al lavoro su un decreto per innalzare l’età pensionabile a 67 anni dagli attuali 66 anni e 7 mesi a partire dal 2019.
 
di Mariangela Tessa

WSI - Il decreto dovrebbe essere emanato dopo l’estate ed è legato all’aumento della speranza di vita dopo i 65 anni, che si sta allungando sia per gli uomini sia per le donne. La notizia ha immediatamente scatenato un coro di polemiche. Tra i contrari al possibile decreto, ci sarebbe anche Unimpresa che, tramite il suo presidente, Maria Concetta Cammarata ha fatto sapere:

“Un eventuale nuovo intervento sulla previdenza con l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni a partire dal 2019 penalizza sia i lavoratori sia le aziende. Per i lavoratori si allungherebbe ancora di più la vita lavorativa oltre le aspettative a lungo pianificate; per le aziende, si creerebbe ancora una volta un quadro di incertezza, con costi maggiori e con l’impossibilità di procedere al necessario ricambio occupazionale del quale trarrebbe benefici l’intera economia italiana.

La certezza del diritto, soprattutto in campo fiscale e nel settore della previdenza, è un valore imprescindibile per chi fa impresa. Le continue riforme – ha aggiunto la vicepresidente di Unimpresa – così come i provvedimenti scritti male e in fretta, non gettano le basi per poter fare investimenti. E invece, negli ultimi anni, si sono susseguiti continui interventi normativi, in alcuni casi una vera e propria tela di Penelope, che hanno confuso le aziende del Paese”.

Se è vero che l’innalzamento dei requisiti previdenziali è un percorso già in atto in altri Paesi, sarebbe davvero difficile leggere la decisione come popolare, soprattutto perché arriverebbe a ridosso delle elezioni politiche.

Nel frattempo, si sta lavorando a misure che potrebbero accompagnare il decreto, facendo da paracadute. Come l’Ape, l’anticipo pensionistico che ha debuttato sabato nella versione social, cioè quella riservata alle categorie deboli, come disoccupati, invalidi e persone che hanno svolto le attività gravose.


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