Disteso su una barella, in videoconferenza dal carcere di Parma, Totò Riina ha seguito l’udienza, a Firenze, del processo d’appello per la strage del treno 904, in cui è imputato come mandante.
Radio Vaticana - Riina, 87 anni, non era presente in aula a causa delle sue critiche condizioni di salute, argomento questo di forti polemiche negli ultimi giorni, dopo il richiamo della Cassazione al diritto di morire dignitosamente per tutti i detenuti, compreso Riina che sconta 17 ergastoli.
Dichiarazione che ha aperto un aspro dibattito sulla opportunità o meno di scarcerare il boss mafioso. Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, arcidiocesi a cui appartiene Corleone: ascolta
R. – La sentenza della Corte va rispettata, perché non fa altro che ribadire dei principi costituzionali, perché lo Stato nei confronti della barbarie mafiosa non può e non deve amministrare giustizia con spirito di vendetta: deve rispettare la dignità di ogni persona e quindi anche il diritto a morire dignitosamente. Devo dire che però questa sentenza della Corte deve essere ben letta, perché la Corte non dice che deve essere scarcerato, dice che la sentenza del giudice di sorveglianza deve essere meglio motivata per far sì che Riina, al quale si riconosce ancora un ruolo criminale di primo piano, possa rimanere in carcere. In base alla Costituzione, lo Stato deve riservare ad una persona malata un adeguato trattamento di cura, lo Stato non può applicare né la legge del taglione, né la legge del contrappasso, né entrare in una faida perché violenza genera violenza. Detto questo, sentendo anche i vari esperti, le strutture carcerarie odierne, penso forse anche il carcere di Parma, contengono al loro interno delle sezioni ospedaliere attrezzate dove è possibile che la persona sia curata, perché il diritto alla salute e alla cura è un diritto fondamentale della persona. Quindi una persona può morire anche in carcere con una morte dignitosa e non deve necessariamente essere liberato dal carcere.
D. - La polemica si è innestata proprio sul fatto che l’interpretazione di ciò che la Cassazione ha detto poteva far pensare che Riina dovesse morire nel letto di casa sua …
R. - Corleone fa parte della mia diocesi. Sarebbe assurdo che Riina potesse risiedere a Corleone. È già abbastanza strano che qui a Corleone persone dall’estero vengono a visitare non le case dei due santi canonizzati, San Leoluca e San Bernardo da Corleone, ma la casa di Totò Riina. In questo caso ci potrebbe essere il rischio che la sua casa diventi una specie di santuario negativo. Bisogna evitare questo nel modo più assoluto, anche perché Totò Riina è ancora considerato il capo di Cosa Nostra. Fino ad alcuni mesi fa ha rivolto minacce sia al procuratore Nino di Matteo, sia a don Ciotti e poi, soprattutto, non ha mai manifestato la volontà di dissociazione.
D. - Ciò che è stato sottolineato da molti è proprio questo: Totò Riina è un simbolo ed è comunque ancora un personaggio influente della mafia. Lei lo conferma …
R. - Certo lo confermo. Anche se è in fase terminale, il fatto che lui possa liberamente anche soltanto parlare con alcune persone potrebbe essere un problema, potrebbe indicare delle vendette quindi, secondo me, questa è una cosa che va esclusa. Però va trattato con dignità all’interno del carcere o di altre strutture ospedaliere perché il diritto alla salute non si nega a nessuno. Totò Riina è stato più volte invitato dai vescovi, ma soprattutto dai Papi – ricordiamo Papa Giovanni Paolo II e Papa Francesco – alla conversione. I Papi si sono rivolti agli uomini della mafia per invitarli alla conversione. Però vorrei dire che la conversione nel caso del mafioso, certamente non potrà ridare la vita a coloro che sono stati uccisi, ma comporta comunque un impegno fattivo affinché sia debellata la struttura organizzativa della mafia. Per cui è necessario, perché ci sia un’effettiva conversione, che ci si distacchi dalla mafia, si chieda perdono alle vittime e, per quanto è possibile, ci sia la volontà di riparare, altrimenti una presunta conversione sarebbe soltanto qualcosa di parata non una conversione reale. L’invito che io rivolgo, non solo a Totò Riina ma a tutti gli uomini della mafia, è quello dei Papi, l’invito a convertirsi perché come ha detto San Giovanni Paolo II, “un giorno arriverà il giudizio di Dio” e come ha detto Papa Francesco il 21 marzo 2014, “convertitevi per non finire all’inferno. È quello che vi aspetta, se continuate su questa strada”.
Ogni persona, detenuti compresi, ha dunque il diritto di morire dignitosamente, è l’indicazione che arriva da diverse parti, con la precisazione però che il momento della morte - in questo caso del detenuto Riina - non debba essere a casa, ma in qualsiasi struttura che possa garantire una buona assistenza medica, la vicinanza dei familiari ma anche le condizioni di sicurezza. Al microfono di Fabio Colagrande, Enzo Ciconte, docente di storia della criminalità organizzata all’Università di RomaTre:
R. – Intanto la Cassazione ha rimandato al Tribunale di Bologna la risposta, quindi c’è ancora un passaggio successivo dal punto di vista formale. Dal punto di vista sostanziale, io credo che si dica una cosa corretta, cioè che ogni uomo, anche il peggiore nemico, ha bisogno di una morte dignitosa. Poi è chiaro che bisogna discutere, tenendo conto di due questioni: la questione personale di un uomo, che comunque si chiami, ha il diritto di morire in modo dignitoso; dall’altra parte, le vittime che ricordano quello che Riina ha fatto in tutti gli anni della sua gestione (mafiosa ndr). Naturalmente io non mi immagino – lo dico con molta franchezza – una detenzione domiciliare. Mi immagino una detenzione ospedaliera, magari in un ospedale militare o quant’altro, dove venga assicurata la massima cura a Riina, in modo tale che lui possa trapassare in modo dignitoso. Ma credo che questo si possa ottenere anche con le strutture carcerarie che ci sono in Italia, non c’è solo il carcere dove è attualmente, ma ci sono altre carceri dove Riina può essere curato.
D. – Quindi si può assicurare una cura e una morte dignitosa e, allo stesso tempo, la sicurezza?
R. – Esattamente così. Certo, se viene mandato ai domiciliari la sicurezza non ci sarà. O si mettono 40 carabinieri e militari a presidiare quella casa oppure è chiaro che la sicurezza non è assicurata. Quindi la cosa migliore è assicurare la detenzione di Riina – ripeto – con il massimo rispetto per la sua dignità, in un carcere adeguato. E ci sono in Italia carceri adeguati.
D. – Professor Ciconte, chi è Totò Riina in poche parole?
R. – Totò Riina è stato quello che inventato la strategia stragista, che dal 1979 in poi ha insanguinato le strade d’Italia. Quello che ha ideato le stragi di Falcone e Borsellino e, prima ancora, gli assassinii di tutte le forze militari, magistrati e politici siciliani, da Pio La Torre a Mattarella a Carlo Alberto dalla Chiesa a Costa a Chinnici, l’elenco sarebbe lunghissimo. Non dimentichiamoci i carabinieri, i poliziotti e le persone per bene che sono morte ammazzate proprio perché lui ha ideato questa strategia degli omicidi eccellenti, cioè fare una sfida frontale nei confronti dello Stato italiano.
Radio Vaticana - Riina, 87 anni, non era presente in aula a causa delle sue critiche condizioni di salute, argomento questo di forti polemiche negli ultimi giorni, dopo il richiamo della Cassazione al diritto di morire dignitosamente per tutti i detenuti, compreso Riina che sconta 17 ergastoli.
Dichiarazione che ha aperto un aspro dibattito sulla opportunità o meno di scarcerare il boss mafioso. Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, arcidiocesi a cui appartiene Corleone: ascolta
R. – La sentenza della Corte va rispettata, perché non fa altro che ribadire dei principi costituzionali, perché lo Stato nei confronti della barbarie mafiosa non può e non deve amministrare giustizia con spirito di vendetta: deve rispettare la dignità di ogni persona e quindi anche il diritto a morire dignitosamente. Devo dire che però questa sentenza della Corte deve essere ben letta, perché la Corte non dice che deve essere scarcerato, dice che la sentenza del giudice di sorveglianza deve essere meglio motivata per far sì che Riina, al quale si riconosce ancora un ruolo criminale di primo piano, possa rimanere in carcere. In base alla Costituzione, lo Stato deve riservare ad una persona malata un adeguato trattamento di cura, lo Stato non può applicare né la legge del taglione, né la legge del contrappasso, né entrare in una faida perché violenza genera violenza. Detto questo, sentendo anche i vari esperti, le strutture carcerarie odierne, penso forse anche il carcere di Parma, contengono al loro interno delle sezioni ospedaliere attrezzate dove è possibile che la persona sia curata, perché il diritto alla salute e alla cura è un diritto fondamentale della persona. Quindi una persona può morire anche in carcere con una morte dignitosa e non deve necessariamente essere liberato dal carcere.
D. - La polemica si è innestata proprio sul fatto che l’interpretazione di ciò che la Cassazione ha detto poteva far pensare che Riina dovesse morire nel letto di casa sua …
R. - Corleone fa parte della mia diocesi. Sarebbe assurdo che Riina potesse risiedere a Corleone. È già abbastanza strano che qui a Corleone persone dall’estero vengono a visitare non le case dei due santi canonizzati, San Leoluca e San Bernardo da Corleone, ma la casa di Totò Riina. In questo caso ci potrebbe essere il rischio che la sua casa diventi una specie di santuario negativo. Bisogna evitare questo nel modo più assoluto, anche perché Totò Riina è ancora considerato il capo di Cosa Nostra. Fino ad alcuni mesi fa ha rivolto minacce sia al procuratore Nino di Matteo, sia a don Ciotti e poi, soprattutto, non ha mai manifestato la volontà di dissociazione.
D. - Ciò che è stato sottolineato da molti è proprio questo: Totò Riina è un simbolo ed è comunque ancora un personaggio influente della mafia. Lei lo conferma …
R. - Certo lo confermo. Anche se è in fase terminale, il fatto che lui possa liberamente anche soltanto parlare con alcune persone potrebbe essere un problema, potrebbe indicare delle vendette quindi, secondo me, questa è una cosa che va esclusa. Però va trattato con dignità all’interno del carcere o di altre strutture ospedaliere perché il diritto alla salute non si nega a nessuno. Totò Riina è stato più volte invitato dai vescovi, ma soprattutto dai Papi – ricordiamo Papa Giovanni Paolo II e Papa Francesco – alla conversione. I Papi si sono rivolti agli uomini della mafia per invitarli alla conversione. Però vorrei dire che la conversione nel caso del mafioso, certamente non potrà ridare la vita a coloro che sono stati uccisi, ma comporta comunque un impegno fattivo affinché sia debellata la struttura organizzativa della mafia. Per cui è necessario, perché ci sia un’effettiva conversione, che ci si distacchi dalla mafia, si chieda perdono alle vittime e, per quanto è possibile, ci sia la volontà di riparare, altrimenti una presunta conversione sarebbe soltanto qualcosa di parata non una conversione reale. L’invito che io rivolgo, non solo a Totò Riina ma a tutti gli uomini della mafia, è quello dei Papi, l’invito a convertirsi perché come ha detto San Giovanni Paolo II, “un giorno arriverà il giudizio di Dio” e come ha detto Papa Francesco il 21 marzo 2014, “convertitevi per non finire all’inferno. È quello che vi aspetta, se continuate su questa strada”.
Ogni persona, detenuti compresi, ha dunque il diritto di morire dignitosamente, è l’indicazione che arriva da diverse parti, con la precisazione però che il momento della morte - in questo caso del detenuto Riina - non debba essere a casa, ma in qualsiasi struttura che possa garantire una buona assistenza medica, la vicinanza dei familiari ma anche le condizioni di sicurezza. Al microfono di Fabio Colagrande, Enzo Ciconte, docente di storia della criminalità organizzata all’Università di RomaTre:
R. – Intanto la Cassazione ha rimandato al Tribunale di Bologna la risposta, quindi c’è ancora un passaggio successivo dal punto di vista formale. Dal punto di vista sostanziale, io credo che si dica una cosa corretta, cioè che ogni uomo, anche il peggiore nemico, ha bisogno di una morte dignitosa. Poi è chiaro che bisogna discutere, tenendo conto di due questioni: la questione personale di un uomo, che comunque si chiami, ha il diritto di morire in modo dignitoso; dall’altra parte, le vittime che ricordano quello che Riina ha fatto in tutti gli anni della sua gestione (mafiosa ndr). Naturalmente io non mi immagino – lo dico con molta franchezza – una detenzione domiciliare. Mi immagino una detenzione ospedaliera, magari in un ospedale militare o quant’altro, dove venga assicurata la massima cura a Riina, in modo tale che lui possa trapassare in modo dignitoso. Ma credo che questo si possa ottenere anche con le strutture carcerarie che ci sono in Italia, non c’è solo il carcere dove è attualmente, ma ci sono altre carceri dove Riina può essere curato.
D. – Quindi si può assicurare una cura e una morte dignitosa e, allo stesso tempo, la sicurezza?
R. – Esattamente così. Certo, se viene mandato ai domiciliari la sicurezza non ci sarà. O si mettono 40 carabinieri e militari a presidiare quella casa oppure è chiaro che la sicurezza non è assicurata. Quindi la cosa migliore è assicurare la detenzione di Riina – ripeto – con il massimo rispetto per la sua dignità, in un carcere adeguato. E ci sono in Italia carceri adeguati.
D. – Professor Ciconte, chi è Totò Riina in poche parole?
R. – Totò Riina è stato quello che inventato la strategia stragista, che dal 1979 in poi ha insanguinato le strade d’Italia. Quello che ha ideato le stragi di Falcone e Borsellino e, prima ancora, gli assassinii di tutte le forze militari, magistrati e politici siciliani, da Pio La Torre a Mattarella a Carlo Alberto dalla Chiesa a Costa a Chinnici, l’elenco sarebbe lunghissimo. Non dimentichiamoci i carabinieri, i poliziotti e le persone per bene che sono morte ammazzate proprio perché lui ha ideato questa strategia degli omicidi eccellenti, cioè fare una sfida frontale nei confronti dello Stato italiano.
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