In un clima da guerra civile, tra promotori e detrattori di Papa Francesco, ci si interroga sul perché continuare a dividere piuttosto che a unire.
di Dario Cataldo
Lettere accusatorie, "dubia" sollevati, assordanti silenzi accompagnati da tacite prese di posizione. Il gioco delle parti continua ad animare le vicende vaticane, utili a creare chiaroscuri ancora più marcati. Tra chi sventola il vessillo della tradizione, invocando il Papa Emerito, e chi innalza lo stendardo del progresso, applaudendo Papa Francesco, il dibattito è concitato. Forse, la diplomatica azione ecclesiale, nella sua plurimillenaria storia, ha sempre scoraggiato le dimissioni papali per paura di ripercussioni interne, come quelle attuali.
Le divisioni, all'interno e all'esterno della Chiesa, non sono di certo una novità. Le sue Istituzioni sono fatte da uomini e, come tali, soggetti all'errore. L'imperfezione è un tratto distintivo che ci qualifica e ci distingue gli uni dagli altri. Le critiche però hanno sempre la memoria corta.
Le accuse contro Papa Francesco non solo le stesse mosse nei confronti di Papa Benedetto XVI, così come quelle a Papa Giovanni Paolo II non sono le stesse rivolte a Papa Montini - tralasciando la breve parentesi del mai dimenticato Papa Luciani. Ma pur sempre di accuse si tratta.
Anche la politica ha il suo peso: con Bergoglio piovono critiche dalla destra conservatrice; con Ratzinger dalla sinistra integralista. L'attuale Papa è accusato di incoraggiare lo Ius Soli, le politiche sociali e dimenticare la dottrina cristiana. Benedetto era tacciato di essere troppo "teologico", imprigionato in "discorsi di esegesi ed ermeneutica bibblica".
Francesco è accusato di strizzare l'occhio all'Islam; Benedetto di fissare dei paletti con i "fratelli musulmani". Un ping pong mediatico che non contribuisce al bene della Chiesa cattolica, ma solo a creare polemiche, foraggiate da pseudovaticanisti, attratti più dal gossip che dalla cronaca.
In tale turbine di accusa e difesa, che prende vita dai mass-media e divampa sui social network, ha senso parlare di coerenza? Oppure, forse, sarebbe opportuno che si facesse un passo indietro per il bene della Chiesa?
Siamo d'accordo: il pontificato di Papa Francesco non è quello del Papa Emerito. Forse, ciò che rende vulnerabile il percorso di Bergoglio, è la leggerezza nel trattare tematiche articolate. Di certo, se sono tali, un'analisi più approfondita sarebbe stata opportuna, piuttosto che rivolvere il tutto con esortazioni non vincolate al Magistero.
Ecco, forse si tratta proprio di questo: l'approccio "soft" su questioni pregnanti della vita cristiana, che hanno sparigliato le carte, creando divisione piuttosto che unione.
Questo però è il destino dei Successori di Pietro, i quali per troppa ortodossia o per troppa ortoprassi, sono soggetti a critiche dalle eterne fazioni antagoniste.
di Dario Cataldo
Lettere accusatorie, "dubia" sollevati, assordanti silenzi accompagnati da tacite prese di posizione. Il gioco delle parti continua ad animare le vicende vaticane, utili a creare chiaroscuri ancora più marcati. Tra chi sventola il vessillo della tradizione, invocando il Papa Emerito, e chi innalza lo stendardo del progresso, applaudendo Papa Francesco, il dibattito è concitato. Forse, la diplomatica azione ecclesiale, nella sua plurimillenaria storia, ha sempre scoraggiato le dimissioni papali per paura di ripercussioni interne, come quelle attuali.
Le divisioni, all'interno e all'esterno della Chiesa, non sono di certo una novità. Le sue Istituzioni sono fatte da uomini e, come tali, soggetti all'errore. L'imperfezione è un tratto distintivo che ci qualifica e ci distingue gli uni dagli altri. Le critiche però hanno sempre la memoria corta.
Le accuse contro Papa Francesco non solo le stesse mosse nei confronti di Papa Benedetto XVI, così come quelle a Papa Giovanni Paolo II non sono le stesse rivolte a Papa Montini - tralasciando la breve parentesi del mai dimenticato Papa Luciani. Ma pur sempre di accuse si tratta.
Anche la politica ha il suo peso: con Bergoglio piovono critiche dalla destra conservatrice; con Ratzinger dalla sinistra integralista. L'attuale Papa è accusato di incoraggiare lo Ius Soli, le politiche sociali e dimenticare la dottrina cristiana. Benedetto era tacciato di essere troppo "teologico", imprigionato in "discorsi di esegesi ed ermeneutica bibblica".
Francesco è accusato di strizzare l'occhio all'Islam; Benedetto di fissare dei paletti con i "fratelli musulmani". Un ping pong mediatico che non contribuisce al bene della Chiesa cattolica, ma solo a creare polemiche, foraggiate da pseudovaticanisti, attratti più dal gossip che dalla cronaca.
In tale turbine di accusa e difesa, che prende vita dai mass-media e divampa sui social network, ha senso parlare di coerenza? Oppure, forse, sarebbe opportuno che si facesse un passo indietro per il bene della Chiesa?
Siamo d'accordo: il pontificato di Papa Francesco non è quello del Papa Emerito. Forse, ciò che rende vulnerabile il percorso di Bergoglio, è la leggerezza nel trattare tematiche articolate. Di certo, se sono tali, un'analisi più approfondita sarebbe stata opportuna, piuttosto che rivolvere il tutto con esortazioni non vincolate al Magistero.
Ecco, forse si tratta proprio di questo: l'approccio "soft" su questioni pregnanti della vita cristiana, che hanno sparigliato le carte, creando divisione piuttosto che unione.
Questo però è il destino dei Successori di Pietro, i quali per troppa ortodossia o per troppa ortoprassi, sono soggetti a critiche dalle eterne fazioni antagoniste.
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