A 33 anni dalla strage mafiosa che fece scempio di Barbara Rizzo e dei suoi due gemellini Salvatore e Giuseppe Asta, la strada da percorrere è quella indicata dalla rete del “Non ti scordar di me”.
di Rino Giacalone
Liberainformazione - C’è una autobomba che continua ad esplodere e ad uccidere. È quella che il 2 aprile del 1985 fece scempio delle vite di Barbara Rizzo e dei suoi due figlioletti di sei anni, i gemellini Salvatore e Giuseppe Asta.
Quell’auto imbottita di tritolo era destinata al sostituto procuratore Carlo Palermo, da appena 40 giorni a Trapani, e alla sua scorta, le vittime di quell’eccidio mafioso morirono facendo da scudo a quel magistrato e agli agenti.
Ma quel “botto” lo si continua a sentire ogni qualvolta c’è chi dinanzi al potere di Cosa nostra e di tutte le mafie si gira dall’altra parte. A 33 anni dalla strage, il 2 aprile a Pizzolungo, dove la mafia azionò il timer, innescando l’esplosione di quella miscela esplosiva identica a quella utilizzata in altri attentati , da quello contro il treno rapido 904 a quello del 1989 contro Giovanni Falcone tentato nella sua villa all’Addaura di Palermo, sino ad arrivare all’attentato mortale contro Paolo Borsellino nel 1992, il ricordo di Barbara, Salvatore e Giuseppe ancora una volta è stato segnato da parole vere e sincere, prive di retorica e lontane da ogni genere di sottovalutazione, per riuscire ad annientare definitivamente quel botto. Una cerimonia, quella della commemorazione, svoltasi lo scorso 2 aprile, sobria ma efficace.
È vero: la mafia non ha vinto, ma oggi continua a non essere sconfitta, nonostante i pesanti colpi inferti, ha una capacità rigenerativa incredibile perché trova la sua forza grazie a una parte della società che continua a essere indifferente, o a seminare dubbi e diffondere bugie. E a Pizzolungo ogni giorno su quel luogo di morte c’è invece quell’altra parte di società che vuole impegnarsi facendo memoria e chiedendo a tutti il cambiamento. Da tre anni il luogo della strage è diventato luogo di impegno, qui è nato il parco della memoria e dell’impegno civile, luogo dove si ricorda ma si tracciano i percorsi che segnano la rivoluzione contro Cosa nostra.
Certo, vero non dovrebbe essere una rivoluzione ma un comportamento ordinario, ma è rivoluzione perché purtroppo le mafie continuano ad esserci. A 33 anni da quella strage siamo ancora con i familiari delle vittime, con Margherita, figlia e sorella di chi fu dilaniato da quel tritolo, in attesa di verità e giustizia. Quell’autobomba è da porre lungo quella linea insanguinata che Cosa nostra ha allungato in tutto il Paese sulla via della perdurante connivenza con quella parte di istituzioni complici e corrotte, doveva anche comprendere il sangue di quel magistrato, Carlo Palermo, che come altri aveva deciso di combattere le connivenze che potevano esserci anche dentro la magistratura e che per questo doveva essere ucciso. Non spetta solo alla magistratura e alle forze dell’ordine disvelare verità e rendere giustizia, ma oggi dinanzi a chi dice che la mafia è sconfitta, dopo averne addirittura negato l’esistenza davanti ai copi straziati, c’è un compito preciso che spetta alla società civile.
Pizzolungo oggi insegna tante cose. “Si è passati – dice Margherita Asta – dal far ricordo e memoria a esprimere ogni giorno voglia di riscatto e cambiamento, la mafia voleva che questo luogo restasse luogo di morte, in mano alla retorica del ricordo che per anni è stato solo passerella dei potenti e di certi poteri, oggi Pizzolungo è nelle mani di tanti giovani, di comunità, associazioni che, grazie all’impegno che il Comune di Erice ha ritrovato da 10 anni a questa parte, fanno rete, che non sono dalla parte di chi sostiene che la mafia non ci appartiene o che la lotta alla mafia appartiene solo a magistrati, poliziotti, carabinieri, forze dell’ordine in genere.
È bello veder che qui ci sono scuole e giovani, ma anche adulti, che arrivano da ogni parte d’Italia per conoscere e costruire un nuovo impegno, che qui vengono a costruire il riscatto contro rassegnazione e indifferenza che sono i desideri dei mafiosi di vecchia e nuova generazione. E’ giusto – continua Margherita Asta – ricordare le vittime, tutte le vittime innocenti delle mafie ma è giusto ricordare il lavoro dei vivi, di chi quotidianamente affronta e contrasta la mafia e che per questo sono spesso oggetto di attacchi e denigrazioni, oggetto di false accuse, perché fanno il loro dovere. E’ bello vedere che qui a Pizzolungo non c’è giorno in cui questo impegno viene portato avanti e sviluppato”. A 33 anni dalla strage a Pizzolungo lo scorso 2 aprile si è avvertito come il pericolo dell’infiltrazione mafiosa resta. Tante cose belle e buone vengono compiute, ma guai a non essere realisti. “C’è una mafia – afferma Salvatore Inguì coordinatore provinciale di Libera – che continua vivere con un certo consenso sociale, c’è l’humus mafioso che continua a bagnare questa nostra terra, c’è chi inneggia ancora alla mafia, c’è chi sparge luoghi comuni e falsità, c’è chi dice che i problemi di ogni giorno sono conseguenza dello Stato che ha attaccato la mafia, purtroppo non è vero che la mafia perde consenso. Come non è vero che contro questa realtà non si faccia niente. Lontano da palcoscenici e riflettori Libera con tanti altri parla ogni giorno ai giovani quanto agli adulti. Pochi lo sanno ma la rivoluzione i familiari delle vittime delle mafie la stanno portando dentro i carceri dove vanno a incontrare anche i killer dei loro congiunti, consegnano una speranza viva e spiegano a quei killer che le loro azioni non sono state per nulla eroiche e che bisogna semmai girare pagina. Non c’è in corso nessuna gara su chi è più antimafioso dell’altro, la gara che compiano ogni giorno è quella che porta in tanti a fare il proprio dovere. La mafia vuole che ognuno di noi non si preoccupi dell’altro, noi e non solo noi di Libera, abbiamo scelto di occuparci dell’altro, anche di chi è in carcere a scontare condanne per i delitti di mafia”.
Tradotto, semmai ce ne fosse bisogno, è “cercare – per dirlo con le parole del Vescovo di Trapani mons. Pietro Maria Fragnelli – un sentiero di giustizia per ogni essere umano”.
“Le vittime di Pizzolungo – sottolinea il presidente vicario del Tribunale di Trapani il giudice Antonio Cavasino – e tutte le altre vittime impongono a tutti noi l’obbligo a seguire la via del riscatto semplicemente adempiendo ai nostri doveri, ognuno per la sua parte di responsabilità, tornare a Pizzolungo per me dopo 33 anni dalla strage significa prendere coscienza che qui oggi, e ogni giorno, con tanti giovani, si costruisce il cambiamento e dunque non è stato vano il sacrificio di Barbara, Salvatore e Giuseppe”.
È stupido chi dice che questo impegno non aiuta a raggiungere verità e giustizia. Chi dice questo dà una mano alla mafia. In modo consapevole o anche pericolosamente inconsapevole. Accade ancora questo. Il laboratorio dell’impegno civico nato a Pizzolungo dieci anni addietro con il “Non ti scordar di me” non ha mai nascosto a nessuno che quella strage attende verità e giustizia. Ma si ha ben chiaro lo scenario, la strage di Pizzolungo è da inserire nell’ambito della strategia di attacco alle Istituzioni condotta dalla mafia anche per favorire quei poteri occulti nascosti all’interno dello stesso Stato democratico. Poteri che avevano, ed hanno, come unico fine quello di condizionare la Democrazia e togliere ai cittadini spazi di libertà sanciti dalla Costituzione.
Il nostro è un Paese che nella sua crescita e formazione è stato segnato da “trattative” condotte da uomini dello Stato con le varie forme di criminalità. Pizzolungo è prova di una di queste trattative. I mafiosi hanno goduto di rapporti con pezzi delle istituzioni, dei servizi deviati, della massoneria. La strage di Pizzolungo è frutto di quegli accordi che nel tempo la mafia trapanese è riuscita a stringere, i denari guadagnati dai mafiosi trapanesi col narcotraffico, ma anche gestendo imprese e pezzi dell’economia, sono serviti anche ad alimentare il potere di certi politici, il potere delle banche in mano ai collusi. La strage di Pizzolungo è una vicenda giudiziaria dove si trova un mix di fatti che restano attuali, gli accordi tra i poteri occulti, i traffici di droga e di armi, c’è tangentopoli e corruzione.
Il botto di Pizzolungo doveva essere e fu potente per soggiogare non solo quei pezzi di magistratura e forze dell’ordine impegnate a combattere Cosa nostra, ma anche la società. Questo da anni lo abbiamo capito bene. E le conseguenze di quel botto in questo senso continuano ad esistere grazie anche a una informazione che spesso ha scelto di non raccontare o di raccontare bugie. È una scelta precisa il fatto di fare incrociare da tre anni il ricordo delle vittime di Pizzolungo con quello dedicato ad un grande giornalista quale era Santo Della Volpe, tra i pochi ad avere compreso l’essenza criminale della mafia trapanese.
Quest’anno, il 5 aprile, a ricordare Santo Della Volpe ci sarà il presidente del sindacato nazionale dei giornalisti Beppe Giulietti che assieme al segretario dell’Usigrai Vittorio Di Trapani, al direttore di Libera Informazione Lorenzo Frigerio e al presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, Giulio Francese, verranno a premiare gli studenti che si sono cimentati nello scrivere articoli giornalistici sul tema della lotta alle mafie e alla corruzione. Mafie e corruzione che rappresentano la connivenza attuale delle mafie con parte delle istituzioni, della politica e dell’economia dei nostri tempi. Una connivenza che permette alla mafia oggi di non sparare più ma di usare l’arma della denigrazione dei vivi che combattono tutte le mafie. Una connivenza che però non cancella le classiche capacità mafiose.
La mafia trapanese è quella che mafia che sa sparare bene quando è ora di sparare e sa votare bene quando è ora di votare. Non scordiamoci allora dei morti ammazzati, dei vivi che inseguono i mafiosi, e della mafia che riesce sempre a farsi stato. Pizzolungo 33 anni dopo è tutto questo.
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